23
Lug
2018

Google, la Commissione UE e l’Orient Express

Il teorema della Commissione europea nel caso Android ha l’aspetto di un giallo molto particolare: abbiamo un colpevole (Google), un’arma del delitto (il tying di Google Search e Chrome sui device, gli accordi di esclusiva coi produttori), ma non c’è alcuna vittima. Come emerge chiaramente dal comunicato della Commissione – al momento l’unica fonte di informazione sui contenuti del procedimento – il principale capo d’accusa verso l’azienda americana è quello di aver offerto prodotti migliori rispetto ai concorrenti. Il benessere sociale è del tutto assente dal ragionamento: il termine “consumatori” compare un’unica volta nel lungo testo diffuso dalla DG Comp, e solo per dire che a causa delle condotte di Google “sono stati negati i benefici della concorrenza nell’importante sfera del mobile”. In quale modo ciò possa essere accaduto rimane avvolto nel mistero.

L’aspetto peculiare di questa vicenda è l’assenza di una credibile teoria del danno, al di là della ripetizione autoreferenziale e assertiva sulla cattiveria di Google. La stessa ricostruzione dei fatti, per quanto chiara, lascia un senso di vuoto: le condotte imputate a Big G possono o non posso avere natura anticompetitiva, a seconda dei contesti in cui si collocano. Ma la descrizione del contesto (cioè del mercato rilevante) appare costruita proprio per far emergere delle responsabilità, come in un gioco di ombre cinesi. Solo che, quando si tenta di accendere la luce, l’illusione finisce e resta quello che dicevamo: un colpevole, un’arma del delitto, ma nessuna vittima.

Come Hercule Poirot sull’Orient Express, allora, bisogna cambiare prospettiva. Gli economisti hanno dedicato fiumi di parole ai cosiddetti fallimenti del mercato. E’ proprio l’esistenza di queste imperfezioni che giustifica l’intervento pubblico in vari ambiti. Tuttavia, l’onere della prova grava tradizionalmente su chi propone l’intervento, che deve essere proporzionale al presunto fallimento e, soprattutto, non deve essere tale da generare distorsioni nel mercato superiori a quelle che intende correggere. Naturalmente, può accadere che sia il mercato stesso a trovare soluzioni spontanee ai suoi stessi fallimenti; e non di rado il progresso tecnologico contribuisce a superare problemi che, precedentemente, sembravano insormontabili in assenza di politiche pubbliche. L’economia digitale ne è un caso scuola: grazie alla sua natura, essa determina una diffusa riduzione dei costi di transazione, che a sua volta rende obsoleta molta parte della regolamentazione. Le asimmetrie informative e in qualche misura la produzione di beni pubblici hanno oggi un volto molto meno preoccupante rispetto al passato, proprio perché le piattaforme online offrono una risposta “dal basso”.

Ed è proprio attraverso questa chiave interpretativa che forse si può dare un senso al nostro giallo insensato. Sull’Orient Express, Poirot ha dovuto mettere assieme gli indizi per scoprire che l’assassinio era stato perpetrato dai passeggeri: nel caso Google, invece il detective non trova il cadavere per una ragione opposta. L’economia digitale – di cui Google è ovviamente una delle manifestazioni più ingombranti – rende meno necessaria l’attività regolatoria. La vittima non sta tra i consumatori e nemmeno tra i potenziali concorrenti, ma sui banchi della giuria. La Commissione non è intervenuta a tutela dei consumatori o dei potenziali concorrenti di Google, ma si è mossa per tutelare se stessa contro la sempre minore necessità di regolamentazione, cioè contro la sua stessa crescente irrilevanza: più che un caso di legittima difesa, ricorda Bava Beccaris che spara sulla folla.

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