7
Feb
2010

Di Grecia e slippery slopes – parte II

Questo post non parla della Grecia: parla di pensatori che in alcuni casi forse non si sono mai neanche pensati a vicenda, e che hanno analizzato determinate dinamiche in contesti diversi e esprimendosi in linguaggi diversi, giungendo però a conclusioni simili. Certi fenomeni generano spontaneamente un processo che porta alla concentrazione del potere politico e alla limitazione della libertà, una china scivolosa in cui i paesi occidentali sono caduti da oltre un secolo, senza mostrare ancora alcuna intenzione di venirne fuori, a tutto vantaggio delle elite politiche e delle lobby organizzate. Gli strumenti concettuali necessari a capire questi fenomeni di “slippery slopes” sono molto diversi: si potrebbe parlare di inconsistenza temporale (Kydland e Prescott), di equilibri di Nash in paradossi del prigioniero, di logica dell’interventismo (Mises), di effetto ratchet (Higgs), di “storia naturale del Potere” (Jouvenel), di tragedia dei beni comuni (Hardin) o di teoria delle slippery slopes (Rizzo e Whitman).

Esempi di chine scivolose

Se nel 1919, 1923 e 1927 non si fossero salvati manu monetari i mercati dalla recessione, non si sarebbe venuta a creare la bolla la cui esplosione generò la crisi che successivamente Hoover e Roosevelt resero strutturale con le loro politiche irresponsabili. Idem si potrebbe dire della politica della Fed dal 1987 (primo intervento anticiclico dell’Era Greenspan) al 2010, passando per il 1990 e il 2001, con fermate aggiuntive come LTCM e il millennium bug. Cosa ne sarebbe stato della crisi attuale se nel 2002 la Fed non avesse seguito i consigli di Krugman, che sosteneva la necessità di creare una bolla immobiliare per sostenere la domanda aggregata? Sono evidenti gli incentivi perversi: i politici creano problemi e quindi acquisiscono potere, Krugman dà consigli suicidi e grazie alla crisi vince il Nobel.

Nel caso studiato da Mises, il controllo dei prezzi, l’inflazione monetaria genera proteste, i prezzi finali vengono controllati, i produttori spostano risorse verso altre produzioni più proficue, e per evitare ciò si estendono i controlli dei prezzi a tutta la filiera dei fattori di input, fino a controllare centralmente tutta la produzione (siccome ciò è totalmente inefficiente, in genere ci si limita a dare soldi ai produttori per continuare ad operare in perdita).

Nel caso di pavimento, anziché tetto, ai prezzi, come nel mercato del lavoro, abbiamo prima disoccupazione tra i più poveri, poi assegni per la disoccupazione che aumentano ulteriormente la disoccupazione, e infine l’espansione della Pubblica Amministrazione, che soffoca con tasse e regolamentazioni l’intera economia e impedisce la crescita, per dare un lavoro fittizio a chi, se non si fosse iniziata la corsa verso il baratro dell’interventismo economico, un lavoro l’avrebbe avuto comunque, e non fittizio.

Nel caso del moral hazard, il fenomeno prende una forma molto subdola: un’assicurazione incentiva l’assunzione del rischio, che genera una bolla di “rischio” che nel lungo termine provoca l’indebolimento dell’assicurato, che a quel punto sarà pronto ad accettare qualsiasi cosa pur di sopravvivere. Questa è la logica che potrebbe vedersi all’opera con la Grecia: la rete di protezione rilassa i vincoli che impediscono ai politici di comprare voti tramite debito pubblico, e questo fa aumentare l’instabilità fiscale dei singoli paesi; dopo un po’, questi potrebbero trovarsi costretti ad evolvere verso l’alto sempre maggiori poteri, con la conseguenza che l’Unione Europea potrebbe diventare uno Stato-Nazione, e i singoli paesi i suoi vassalli. Il Trattato di Maastricht sarebbe dovuto servire ad impedire ciò, ma se non è osservato, e se non ci sono gli strumenti necessari a farlo rispettare, nel medio termine si penserà necessariamente a conferire un tale potere a qualche organismo centrale.

Tecnocratico, pragmatico ed utilitarista: dunque miope

I ragionamenti di cui sopra sono in genere quasi interamente trascurati per via di una certa abitudine di pensiero che imperversa nella mentalità occidentale da moltissimo tempo. Questa mentalità si potrebbe chiamare tecnocratica, pragmatica oppure utilitarista, e si basa sul vedere ogni problema come separato e analizzare ogni soluzione solo negli effetti di breve termine. Secondo il tecnocrate, ogni problema va visto come un problema puramente tecnico, con premesse e conseguenze più o meno oggettivamente verificabili: purtroppo però nelle scienze umane i fatti non esistono, perché sono sempre costrutti a forte contenuto teorico, e in genere le uniche conseguenze ed imputazioni causali che si possono tracciare sono quelle immediate e visibili. Il risultato è che si tenderà spontaneamente a trascurare sia le cause remote che le conseguenze di lungo termine, e si tenderà a focalizzare l’attenzione su “ciò che si vede” (nei termini di Bastiat) e non su “ciò che non si vede”.

L’importanza dei principi

I principi si possono vedere come istituzioni che servono per ristrutturare il gioco dell’interazione sociale in modo tale da prevenire o comunque minimizzare fenomeni di slippery slopes. I principi risolvono un problema epistemico fondamentale: consentono di internalizzare le conseguenze di lungo termine, che altrimenti sarebbero invisibili. Le regole servono a ottenere soluzioni efficienti quando queste sono temporalmente inconsistenti.

E’ di conseguenza di fondamentale importanza, per comprendere e rafforzare l’insistenza, tipicamente liberale, sulle regole, che si analizzino le ragioni del sottoporre i governi a principi rigidi. Se non si tiene conto di queste dinamiche, ci si vedrà costretti a concentrare il potere e limitare la libertà d’azione del resto della società, in quanto un sistema decentrato e basato sulla coordinazione interindividuale è in grado di funzionare bene soltanto se gli incentivi sono ragionevolmente allineati: l’esistenza stessa di un salvatore di ultima istanza è sufficiente (se ci sono aspettative riguardo il suo intervento) a generare le premesse di una crisi. Le conseguenze di lungo termine di questi meccanismi sono deleterie per la libertà e l’autonomia della società, anche se l’elite al potere ovviamente ci guadagnerà (e questa è un’altra componente del problema).

Vogliamo una politica che non sia disfunzionale, invece che continuare ad imitare il leggendario cane che si morde la coda, rincorrendo con palliativi politici di breve termine le conseguenze di lungo termine dei palliativi politici precedenti? Occorre cominciare a riflettere nuovamente sull’importanza dei principi, quelli che la politica odia avere, e quelli senza i quali la politica darebbe risultati ancora peggiori di quelli a cui siamo abituati, e occorre andare oltre l’analisi delle contingenze del breve termine: i principi servono a modificare la struttura del gioco per rendere le soluzioni di equilibrio migliori, e la buona politica, in condizioni normali, è la soluzione efficiente del paradosso del prigioniero, ed è per questo che non la si osserva praticamente mai. Può esistere, ma è improbabile: meglio non contarci. La politica, del resto, è l’unica istituzione umana che deve la sua espansione ai suoi fallimenti.

8 Responses

  1. sartori gualtiero

    Chiaro, semplice, logico.
    Ma mi chiedo, tra un rassicurante Big Brother e la non facile Libertà,
    cosa sceglie la gente, ieri, oggi, domani, sempre ?
    Rassegnamoci dunque, e prepariamoci al peggio
    ( estote parati, avrebbero forse detto i Romani, quelli veri, quelli seri ).

  2. giorgio arfaras

    Lei afferma: “la politica, del resto, è l’unica istituzione umana che deve la sua espansione ai suoi fallimenti”. Funziona così forse perchè non è misurabile. Si trova sempre un ambito in cui non è fallita, e si sceglie quello. Per un esempio, fra i molti: il debito pubblico italiano negli anni settanta ed ottanta è esploso, ma si può sempre dire che così “si è contenuto il comunismo”. Asserzione che è vera, ma forse falsa, oppure un pò vera ed un pò falsa …

  3. Pietro Monsurrò

    Di ragionamenti del tipo “sarebbe stato peggio se” è piena la politica. I controfattuali sono un problema epistemico in molti ambiti e non è colpa della politica se esistono: in alcuni casi sono fondati. Mi rimane però il dubbio che in molti casi sia l’ultima spiaggia di chi non vuole guardare la realtà.

    Se la DC distrugge i conti pubblici per rimanere al governo, quando l’alternativa era un governo più a sinistra, mi sembra una vittoria di Pirro: alla fine non si capisce la differenza tra l’avere i comunisti al governo e avere le loro politiche realizzate dalla DC.

    Chiaramente, se il problema non era questo, ma cose più importanti, magari una rivoluzione rossa, allora in qualche modo la DC ha scelto il male minore: non che nel caso in esame ci creda molto.

    Faccio una lunga serie di casi in cui si è usato un argomento simile:

    – Meglio Mussolini che i comunisti: forse è vero, e, anzi, dato che all’epoca i comunisti erano comunisti sul serio probabilmente la preccupazione era molto fondata. Certo però che la medicina ha praticamente ucciso il paziente…
    – Keynes ha salvato la democrazia occidentale: ammesso che ciò sia vero (la depressione ha “provocato” le dittature? Russia e Italia già lo erano da tempo, e la Germania era un inferno dal 1919, senza soluzione di continuità), non bisogna dimenticare che l’ha salvata da una malattia provocata dalle stesse politiche che proponeva lui stesso. C’erano modi migliori di “salvarla”: ad esempio prevenire.

    Ora, indubbiamente non tutti i problemi sono di origine politica, ma la bottom line è che ogni volta che si cerca la soluzione nella politica, si dà un dito e si perde il braccio, e che molti dei problemi che la politica dice di risolvere sono stati creati dalle politiche precedenti.

  4. eonia

    Riguardo l’ultimo concetto “la politica, del resto, è l’unica istituzione umana che deve la sua espansione ai suoi fallimenti”, mi pare sia una verità pragmatica anche se delle volte include certi paradossi assiomatici.
    Prendendo ad esempio la Grecia che fino l’ottobre scorso, se non sbaglio, godeva di un potere politico diverso rispetto all’attuale, si sentivano echi di malcontento politico ma questo fatto era dovuto principalmente a due tre scandali nazionali che galvanizzavano la popolazione dalla mattina a sera con tavoli rotondi e discussioni. Non che gli scandali riguardassero l’esistenza del singolo cittadino o minacciassero la sua sicurezza ma erano un arma politica di opposizione.
    Quando l’opposizione è diventata governo e probabilmente è scemata la discussione sui media, sono saltate fuori le vere falle.
    Suppongo che il governo precedente sia andato in vacanza godendosi il meritato riposo dopo anni di governo passando il cerino all’attuale, che letteralmente fremeva.
    Opposizione/governo non avrebbe voluto trovarsi nell’attuale situazione con sit-in sotto il parlamento h24/24, non avrebbe voluto vedere strade chiuse dai trattori fra Grecia Bulgaria, non avrebbe voluto sostenere esami e dictat dai rappresentanti UE, né sentirsi gridare che deve ridurre il deficit drasticamente.
    Eppure paradossalmente si è trovato a capeggiare una situazione ingovernabile. Voleva governare e godere dei benefici che il potere offre (assioma) e si trova prigioniero da una parte dalla protesta dei cittadini e dall’altra dal gruppo di appartenenza. E non può neppure dimettersi. Come continuare?
    Conferendo fette di potere ad organismi interni o esteri?
    Grosso dilemma.
    Qualsiasi sia la scelta, fosse anche combinata, alla fine avrà allargato le maglie sia all’interno che all’estero per conferire peso politico.

    Anche nell’ultimo paragrafo dell’intervento del sig. Monsurrò, trovo delle verità vere.
    L’altro giorno leggevo che varie lobby ambientaliste americane stanno incitando la popolazione in vari Stati per la qualità ambientale in cui vivono. Sono pronte ad intervenire presso il Congresso per avere lo stanziamento di fondi per l’ambiente, se no
    si rivolgeranno presso i tribunali. I quali dovrebbero spendere tempo e denaro dei contribuenti per acquisire materiale su cui poter dare una risposta.
    A Copenhagen non si erano riuniti i politici?

  5. Pietro M.

    @sartori gualtiero
    Io distinguerei due tipologie di problemi, quelli psicologici (la preferenza per la servitù rispetto alla libertà) da quelli politici (la natura del gioco politico che tende ad espandere naturalmente il dominio della servitù su quello della libertà).

    Se anche le persone preferissero la libertà alla servitù, per come funziona la politica difficilmente riuscirebbero a realizzare una tale preferenza: il voto informato e ragionevole non esiste (razionalità e informazione non danno benefici privati all’elettore), e quindi abbiamo una massa di voti basati su pregiudizi malinformati. Inoltre non esistono strumenti per garantire che il rapporto principale/agente, cioè elettore/eletto, sia privo di enormi problemi di enforcement e accountability. Le decisioni le prendono i politici e le fanno per il loro interesse: i costi di tranazione per difendersi dalla politica sono enormi rispetto ai vantaggi e solo le lobby possono permetterseli: i privilegi sono beni privati, la libertà è un bene pubblico.

    Poi c’è ovviamente il vantggio psicologico di essere servo, ma non bisogna sopravvalutarlo: Io non credo che lo stato abbia le dimensioni che ha perché c’è domanda di servizi pubblici. Le dimensioni sono legate a problemi di principal/agent (è impossibile vincolare i politici) e al fatto che chiedere privilegi e usare servizi gratuiti è sempre conveniente ai margini, perché “lo stato è l’illusione mediante la quale tutti pensano di vivere a spese degli altri”.

    Se eliminassimo (non credo sia possibile) certe inefficienze della scelta pubblica, probabilmente la domanda di coercizione statale si ridurrebbe molto in moltissimi campi.

  6. giorgio arfaras

    Per come stanno andando le cose in economia, nei prossimi tempi si avrà più politica, non meno politica. Dove tagliare le spese e dove incrementare le entrate per portare sotto controllo il debito pubblico, alla fine è decisione dei politici sotto la pressione degli “interessi organizzati”. La politica tornerà ad essere percepita come la più importante delle attività, quella che prepara la strada della “salvezza” oppure della “dannazione”. Un campanello d’allarme è il credito intellettuale di cui gode la Cina, perchè è molto statalizzata. A maggior ragione, come dei Marrani che si rifiutano di mangiare la carne di porco, bisogna continuare questi dibattiti.

  7. eonia

    Mi è piaciuto questo breve sunto del sig. Monsurrò riguardo la politica e la psicologia che la supporta. Come non essere d’accordo sulla domanda coercitiva statale. Il viatico del potere incondizionato sotto tutte le forme dei poteri conosciuti sin ora, terreni e divini.
    Viatico che lavorando con garbo e gentilezza riesce per fino a mutarti il lessico ed anche il modo di pensare. Basta educare ed insistere.
    Che cosa si può voler di più dalla vita?
    Essere dissidenti ad oltranza?
    Beh, anche se nessuno te lo dice o te lo fa notare, sicuramente sai da te di essere borderline.

  8. Pietro M.

    @giorgio arfaras
    Io sono altrettanto preoccupato della confusione tra “libero mercato” e “stati uniti d’america”… rischia di rovinare la reputazione del libero mercato (già non eccelsa, nonostante gli studi del Cato sull’improving state of the world di Goklany e gli straordinari successi economici degli ultimi due secoli), come il gold exchange standard manipolato degli anni ’20 rovinò il gold standard e come il sistema bancario iperregolamentato americano dell’Ottocento rovinò il free banking (Scozia e Canada non videro mai grossi fallimenti, inter alia, perché non avevano il divieto del branch banking che caratterizzava USA e UK).

    Bel problema: se i liberali fanno gli schizzinosi, non si fanno alleati; se non lo sono, si vedono abbinati a politiche illiberali, come quelle della Fed.

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