30
Giu
2013

Addio a Kenneth Minogue, una mente libera

Pubblicato su Libero, 30 giugno 2013

“Una popolazione che affidi il suo ordine morale ai governi, per quanto impeccabile sia la motivazione, diventerà dipendente e servile”. Questo sino ad ora – fra tragedie e conquiste, deviazioni di percorso e fughe in avanti – è ciò che secondo Kenneth Minogue la cultura occidentale è riuscita ad evitare nella storia dell’umanità. L’azione morale individuale – imparare a vivere secondo i propri errori – è l’essenza della libertà e l’educazione di Stato è l’esatto contrario. Minogue è morto venerdì scorso all’età di 82 anni. Era un filosofo politico liberal-conservatore, uno dei più brillanti del Novecento e di quest’inizio di Duemila. Era diventato famoso con la pubblicazione da giovanissimo di La mente liberal, un saggio che analizzava la deriva del liberalismo classico verso la cultura liberal de sinistra: “una forma di idealismo sentimentale che incoraggia la dipendenza dal governo e promuove l’autocommiserazione e l’obbedienza, piuttosto che la fiducia in sé stessi”.

Dopo quasi 50 anni aveva chiuso il cerchio della sua opera pubblicando La mente servile. Lo scorso anno, proprio in occasione della presentazione italiana di quel libro, concesse un’intervista a Libero. Una sua fonte di preoccupazione era “l’allargamento delle competenze statali ad ambiti come la lotta ai vizi, che trasforma i nostri problemi morali in soluzioni politico-morali decise dallo Stato”. È la presunzione degli utopisti e dei governanti, quella che Antonio Rosmini chiamava perfettismo, “quel baldanzoso pregiudizio che crede possibile il perfetto nelle cose umane, e che sacrifica i beni presenti alla immaginata futura perfezione”. Minogue chiamava questo progetto “moralismo politico”, cioè il tentativo di sostituire la politica con il giudizio morale e viceversa. Quest’idea implica che la comunità nazionale o l’umanità debbano allinearsi ad una determinata concezione di morale, decisa dalla politica, che diventa “giustizia”. O meglio, giustizia sociale. Lo Stato ed il potere politico auspicano una società davvero giusta, in cui non esisterebbero il crimine, l’avidità o la povertà grazie ad una perfetta integrazione sociale.

Il compito della politica diventa quello di “liberare” gli uomini dai problemi e, visto che il potere politico cresce all’aumentare dei bisogni delle persone, nascono sempre nuove categorie di presunti oppressi che chiedono aiuto e benefici al grande apparato di distribuzione della “giustizia”. Se la giustificazione del potere statale diventa la “liberazione” dalle sofferenze e dalle difficoltà della vita, il suo scopo è che gli oppressi, i poveri e i bisognosi non perdano quella condizione e che restino sempre dipendenti dalla politica. “La promessa è la giustizia, il prezzo da pagare è la libertà”. Ciò non vuol dire che le persone diventino volontariamente schiave, ma che rinunciano alla propria indipendenza in cambio di qualche piccolo beneficio a breve termine. “L’essenza della mente servile è la disponibilità ad accettare indicazioni esterne in cambio del sollievo dal peso di esercitare virtù come la libertà, la responsabilità, il risparmio e la prudenza”. Libertà è responsabilità, questa è la grande lezione di Ken Minogue.

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3 Responses

  1. Mike

    I fatti danno pienamente ragione a Minogue. Siamo ormai degli “schiavi di Stato”. Abbiamo consentito allo Stato di prendersi la nostra libertà in cambio di un pasto caldo e di un tetto. La giustizia sociale è il vero oppio dei popoli.

  2. Fabrizio de Paoli

    Mike, pasto caldo che oltretutto a quanto pare, non è nemmeno in grado di dare.
    Incomincerei ad interrogarci sulla “utilità” di uno stato “moralmente socialista”.
    Un saluto .

  3. Carlo Ghiringhelli

    La scuola della parola passivizzante da tempo in Occidente ha favorito la trasformazione del cittadino in suddito obbediente e servile. Grazie, Minogue.

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