19
Dic
2023

Consigli di lettura per il 2024 (prima parte)

Anche quest’anno, in prossimità del Natale, l’IBL propone alcuni consigli di lettura, da regalare in occasione delle festività oppure da regalarsi per iniziare il nuovo anno in buona compagnia. Libri che hanno a cuore le nostre libertà, che ci aiutano a non dimenticare le lezioni della Storia e che possono farci riflettere sui problemi e le questioni che caratterizzano i nostri tempi.


PNRR. La grande abbuffata, di Tito Boeri e Roberto Perotti (Feltrinelli, 2023)

Il PNRR ieri, oggi e domani. Così potrebbe sintetizzarsi il tema del libro di Boeri e Perotti. I due economisti forniscono un’ampia analisi del Piano, dalla sua genesi alla situazione attuale fino alle prospettive per il futuro.

L’Italia è il paese che ha ricevuto più risorse dal programma europeo Next Generation EU, che alimenta il PNRR. La scommessa era che “gli investimenti finanziati da queste risorse, e le riforme di sistema previste dal Pnrr”, aumentassero il tasso di crescita dell’economia italiana, permettendo così di ridurre il rapporto fra il debito pubblico e il prodotto interno lordo.

“Stiamo vincendo o perdendo questa scommessa?”, si chiedono i due economisti. “In che misura ci sono stati errori nella progettazione del PNRR? Era davvero necessario prendere a prestito così tanti soldi? Quanto erano realistici gli obiettivi che ci siamo posti? Abbiamo davvero creato le condizioni per realizzare un piano di investimenti pubblici senza precedenti? Saremo in grado di attuare le riforme fondamentali per la riuscita del PNRR? Come sono ripartite le responsabilità degli errori fra i tre governi che si sono sin qui succeduti nella gestione del PNRR? Quali i possibili correttivi?.

Il libro fornisce risposte a queste domande. Tra le altre cose, l’Italia ha voluto prendere troppe risorse a prestito, ha avuto troppo poco tempo per programmare come spenderle e ora ha troppo poco tempo per spenderle efficacemente. Nella programmazione di tanti investimenti pubblici in pochi anni non si è tenuto conto della capacità di spesa delle amministrazioni, né si è intervenuti per migliorarla concretamente. Sono state previste riforme senza una valutazione preventiva, con la conseguenza che alcune sono bloccate e altre non saranno realizzate. Alcuni obiettivi del PNRR sono totalmente irrealistici, così come gli impatti che essi dovrebbero produrre in termini di crescita economica, con un’enorme sopravvalutazione degli effetti di riforme e investimenti sul PIL. Né si è pensato a come si sarebbero dovuti reperire i fondi necessari per mantenere e gestire le strutture create con le risorse del Piano.

Perché “la grande abbuffata”? Perché si è pensato solo a prendere quanti più soldi possibile, senza preoccuparsi di valutare anticipatamente se potesse esserne fatto un impiego efficiente, cioè idoneo a produrre i risultati sperati. Oggi bisogna abbandonare la convinzione che è possibile “trasformare un’idea confusa o non realistica in un buon investimento”.

“Rischiamo di trovarci a essere un paese più indebitato di prima senza avere affrontato efficacemente i problemi strutturali che hanno pesato per decenni sul declino economico dell’Italia”.

Vitalba Azzollini, fellow IBL


La Scuola di Chicago, di Nicola Giocoli (IBL Libri, 2023)

Il libro sulla Scuola di Chicago è un’opera da leggere prima tutta d’un fiato, come l’evolversi di una storia di cui non si vede l’ora di vedere il lieto fine. Successivamente può essere utilizzata nell’approfondire temi specifici.

Per la prima volta nel libro si usa l’epiteto di Scuola di Chicago non tanto per conferire un marchio, come avviene solitamente – marchio che peraltro di solito non suona affatto benevolo – ma per ricomprendere sotto lo stesso cappello studiosi anche piuttosto diversi tra loro. Si pensi alle capacità divulgative di Milton Friedman, di contro alla complessità tecnica – a volte quasi illeggibile, per i non addetti ai lavori – di Robert Lucas e degli altri esponenti c.d. “delle aspettative razionali”. Interessante anche lo spazio dedicato ad autori meno noti ma storicamente assai rilevanti, come Aaron Director. Belle pagine sono dedicate a Economics and law e ai seminari di economia per giudici, idea che anche a distanza di anni meriterebbe di essere replicata in molti contesi diversi.

Quale il file rouge della Scuola di Chicago che in sintesi emerge? A mio avviso la contrapposizione a Keynes, troppo spesso considerato superficialmente nel dibattito un economista simil liberale, a dispetto della ovvia tendenza statalista.

Andrea Battista, consigliere d’amministrazione IBL


Le più belle pagine, scelte da Italo Calvino, di Tommaso Landolfi (Adelphi, 2001 [1982])

Italo Calvino non ha bisogno del centenario, e delle celebrazioni di rito, per essere “riscoperto”. Ma l’occasione può essere utile per visitare autori ai quali Calvino si è appassionato, e che rischiano purtroppo di cadere nell’oblio. Ed ecco la raccolta di scritti di Tommaso Landolfi che proprio Calvino curò nel 1982, riedita da Adelphi nel 2001.

Secondo Calvino, solo di Landolfi e di D’Annunzio “si può dire che scrissero al cospetto della lingua italiana tutta intera, passata e presente, disponendone con competenza e mano sicura come d’un patrimonio inesauribile cui attingere con dovizia e con piacere continuo”.

Quanto ai contenuti, “in un’opera come quella di Tommaso Landolfi la prima regola del gioco che si stabilisce tra autore e lettore è che presto o tardi ci si deve aspettare una sorpresa; e che questa sorpresa non sarà mai gradevole o consolante, ma avrà l’effetto, nel più blando dei casi, di un’unghia che stride contro un vetro….”.

Volendo scegliere una delle straordinarie prove di maestria raccolte nel volume, vien da suggerire La passeggiata, in cui Landolfi si diede la regola di usare il massimo numero possibile di parole desuete. Molti non compresero il gioco, tanto che lo stesso Landolfi poi sbeffeggiò i critici che avevano immaginato fossero parole inventate (Conferenza personalfilologicodrammatica con implicazioni). Ma sono tutti scritti da assaporare uno per uno, alla riscoperta di uno dei maggiori scrittori italiani del Novecento.

Natale D’Amico, membro del comitato d’indirizzo IBL


Alexander Hamilton, di Ron Chernow (Apollo, 2020 [2004])

È un peccato che la storiografia sui padri fondatori degli Stati Uniti non sia tradotta in Italia. Eppure, la vita di ciascuno di essi fu molto interessante, perfino avventurosa, al punto che da quella di Alexander Hamilton hanno tratto un musical di strepitoso successo, ispirato proprio dal libro di Chernow.

È un peccato per almeno due motivi: perché in un’unica irripetibile generazione si intrecciarono le vite di persone all’apparenza normali che improvvisamente si scoprirono eccezionali teorici della politica e statisti (e nessuno di essi ebbe mai mire da dittatore); e perché le vite di John e Abigail Adams, Thomas Jefferson e Sally Hemings, James Madison, George Mason, Alexander e Eliza Hamilton, George Washington, Benjamin Franklin e sua sorella Jane Mecom, sono narrate in modo straordinario.

Consiglio di iniziare dalla biografia su Hamilton (è in inglese). Poiché gli spoiler interessanti su Hamilton potrebbero essere tanti, mi limito a citare un episodio che riguarda lui e Aaron Burr (e chi sa un po’ di storia, sa il ruolo che quest’ultimo ebbe nella vita di Hamilton), in cui entrambi fanno squadra nel difendere un poveretto ingiustamente accusato dell’orrendo omicidio di una giovinetta da lui corteggiata che abitava nella sua stessa locanda.

Paolo Di Betta, fellow onorario IBL


La moralità del diritto, di Lon L. Fuller (Giuffrè, 1986 [1964])

All’interno della cultura giuridica europea prevale da tempo una prospettiva giuspositivista che riconduce il diritto alla mera validità. Di conseguenza, ogni richiamo al diritto naturale è ritenuto illegittimo e fuori luogo, poiché confonderebbe il piano della scienza con quello di preferenze ideologiche del tutto soggettive.

Proprio per queste ragioni può essere opportuno prendere sul serio uno dei maggiori filosofi del diritto statunitense del Novecento, Lon L. Fuller, che anche grazie a un confronto serrato con H.L.A. Hart, ha sviluppato una versione assai originale e interessante del diritto naturale, sviluppando tesi molto lontane da ogni forma di razionalismo sei-settecentesco.

In un testo come The Morality of Law, del 1964, lo studioso americano ha portato critiche acute al formalismo teorico dei giuspositivisti, volti a privilegiare la configurazione astratta sulla sostanza, le procedure sui casi, le questioni tecniche su quelle riguardanti il contenuto. Al tempo stesso, egli ha delineato una versione del tutto nuova del diritto naturale nel momento in cui ha evidenziato come, entro il procedere di qualsivoglia ordinamento positivo, sia implicito il costante riferimento a elementi che per forza di cose non possono essere del tutto arbitrari e imposti dal legislatore.

Raccontando l’apologo di un Re che voleva fare leggi senza rispettare la moralità intrinseca al diritto, Fuller ha portato un attacco decisivo ai dogmi giuspositivisti. In effetti, non possono essere davvero norme quelle regole “giuridiche” che non sono intelligibili, sono segrete, hanno un effetto retroattivo, sono contraddittorie, avanzano pretese che nessuno può soddisfare, mutano di continuo e sono applicate tradendo di continuo il testo.

I criteri che Fuller evoca sono in linea di massima accettati dalla maggior parte dei pratici del diritto e anche dai più normativisti tra i teorici del diritto, ma questo ci dice che non vi è ordinamento che in un modo o nell’altro non sottenda una propria implicita moralità.

Secondo Fuller esiste dunque un principio del bisogno comune (principle of common need) che ci permette di riconoscere non soltanto quei tratti condivisi da ogni giusnaturalismo, ma anche taluni elementi essenziali del diritto in quanto tale. Per certi aspetti, quella di Fuller è una contestazione “formalistica” del formalismo giuspositivista, che nel suo relativismo s’è reso incapace di comprendere il diritto in alcuni elementi cruciali.

In Italia Fuller è arrivato grazie all’edizione del suo testo più famoso: per iniziativa di Alessandro Dal Brollo e delle edizioni Giuffrè. In seguito di questo autore s’è occupato in modo particolare Andrea Porciello, che ha proposto in lingua italiana molti scritti dello studioso americano e gli ha dedicato monografie e articoli. È giunto il momento, però, che a questo studioso americano – che è stato in grado di favorire proficui dialoghi tra studiosi apparentemente molto lontani – venga data la giusta attenzione. La cultura giuridica ne trarrebbe un grande giovamento.

Carlo Lottieri, direttore del dipartimento Teoria politica IBL


La trappola delle culle, di Luca Cifoni e Diodato Pirone (Rubbettino, 2022)

Abbiamo scritto e ripetuto tante volte, anche su questo blog, che la principale causa della scarsa crescita italiana riguardi la mancanza di produttività. Un recente paper della University of Pennsylvania dimostra invece che, nel caso dell’Italia, l’inverno demografico ne sia una componente ancora più importante.

Avendo letto La trappola delle culle prima del paper, non sono stato colto più di tanto di sorpresa. Cifoni e Pirone delineano il panorama della bassa natalità e dell’invecchiamento della popolazione, evidenziando che nemmeno un inaspettato boom di nascite potrebbe risollevare le sorti demografiche del paese, ormai dentro la spirale perversa di una popolazione già troppo calata per poter ristabilire il tasso di sostituzione necessario.

Le implicazioni su welfare, mercato del lavoro e società nel suo complesso sono amare e devastanti: non dovremmo iniziare ad occuparcene di più, anche noi mosche bianche liberali?

Giacomo Lev Mannheimer, research fellow IBL


Capitalism in America: A History, di Alan Greenspan e Adrian Wooldridge (Penguin, 2018)

In questa affascinante storia del capitalismo americano, Alan Greenspan, celebre ex presidente della Federal Reserve, e il giornalista Adrian Wooldridge ricostruiscono la storia dell’economia statunitense dalle origini fino ai nostri giorni.

Il libro narra una storia di imprese titaniche, di figure imprenditoriali leggendarie, di progressi stupefacenti e di trionfanti scoperte. Il genio dell’America, affermano gli autori, si è espresso in larga misura nell’impresa capitalistica. Tipicamente americano, infatti, è l’entusiasmo per la “distruzione creativa”, l’incessante scomparsa del vecchio che cede il passo al nuovo.

Per quanto disordinato e doloroso, questo processo ha portato la stragrande maggioranza degli americani a livelli di vita inimmaginabili anche solo poche generazioni fa. Per queste ragioni, Greenspan e Wooldridge prendono le difese dei tanto vituperati robber barons, i grandi capitalisti di fine Ottocento ai quali è rimasto appiccicato il polemico nomignolo di “baroni ladri”.

Non difendiamo questi uomini dal pubblico obbrobrio, scrivono gli autori, perché si fecero strada nella vita partendo da zero, o perché fondarono opere caritatevoli. Il loro vero grande merito fu quello di generare un enorme miglioramento degli standard di vita per tutti. Questi uomini erano geni imprenditoriali che riuscirono con successo a fare degli Stati Uniti uno dei più puri laboratori di distruzione creativa che il mondo avesse mai visto: uomini che compresero che nell’aria aleggiava qualcosa di grande ma ancora informe, e che gli diedero una forma e una direzione, uomini che spremettero il petrolio dalle rocce e che crearono delle macchine industriali dove prima c’era il caos.

Carnegie comprese che l’America stava entrando nell’era dell’acciaio, e che l’uomo che avesse fornito il miglior acciaio al minor prezzo sarebbe diventato un Re Mida. Rockefeller comprese che stava cominciando l’era del petrolio. Henry Ford capì che stava iniziando l’epoca della mobilità di massa. Questi titani capirono che le basi materiali della civiltà stavano cambiando.

Guglielmo Piombini, membro del comitato editoriale IBL Libri


Climate Change Isn’t Everything, di Mike Hulme (Polity, 2023)

Parafrasando Mino Maccari, si potrebbe dire che i negazionisti climatici si dividono in due categorie: quelli propriamente detti e gli apocalittici. Questi ultimi ci dicono, tra le altre cose, che, superata la soglia ormai vicina di un aumento di temperatura di 1,5 °C, sarà il diluvio e il mondo diventerà invivibile. Si tratta di un atteggiamento antiscientifico come spiega Mike Hulme, climatologo e geografo britannico e già membro dell’IPCC.

L’autore è convinto che il cambiamento climatico sia reale e comporti rischi significativi ma si oppone al “climatismo” ossia l’ideologia secondo la quale il cambiamento climatico è la spiegazione dominante di tutti i fenomeni sociali, economici ed ecologici e, dunque, qualsiasi azione contribuisca a contenerlo sia auspicabile e non vi siano invece trade-off da valutare. Ignorarli è controproducente: meglio essere realisti e concentrare i nostri sforzi per adattarci al clima e decarbonizzare senza impoverirci troppo.

Francesco Ramella, research fellow IBL


Broken Money, di Lyn Alden (Timestamp Press, 2023)

Il libro di Lyn Alden, analista e macro investor americana, aiuta a comprendere il funzionamento del sistema monetario, inclusi i meccanismi più difficili da cogliere dall’esterno della macchina del debito, statale e non, che impatta su “Main Street” e le finanze di chi è estraneo alle regole del gioco.

L’autrice analizza la moneta come tecnologia, partendo dal piano storico e filosofico per entrare nei suoi aspetti più tecnici, fino ai risvolti nella finanza personale. La moneta condiziona infatti i nostri comportamenti e le nostre scelte più di quanto pensiamo, soprattutto se non ci pensiamo affatto.

Consiglio quindi questa lettura per prepararsi ad approcciare in modo critico e consapevole anche l’introduzione delle Central Bank Digital Currency (l’Euro Digitale) che Fabio Panetta ha di recente definito “un nuovo paradigma per preservare la sovranità monetaria”, dunque un nuovo paradigma… per conservare il paradigma vigente.

A proposito, Lyn Alden ha una profonda conoscenza dell’unico protocollo monetario ad oggi alternativo a quello Fiat, Bitcoin, quindi il libro include una pars construens per non guastarvi le feste.

Giacomo Reali, research fellow IBL


Whiskey: A Global History, di Kevin R. Kosar (Reaktion Books, 2010)

“Freedom and whisky gang thegither”, la libertà e il whiskey vanno assieme: è un verso del poeta scozzese Robert Burns ma avrebbe potuto essere, se non il titolo, il sottotitolo di questo agile libretto di Kevin Kosar.

L’autore ricostruisce la storia del whiskey sin dalle sue origini – quando non era ben chiaro perché e in cosa si distinguesse dagli altri distillati – fino ai tempi più recenti. Il termine compare per la prima volta all’inizio del diciottesimo secolo tra l’Irlanda e la Gran Bretagna ma il suo sviluppo è certamente più antico. Si trattava, però, di un prodotto molto diverso da quello che oggi chiamiamo whiskey (o whisky), che è invece il punto di arrivo di una sorta di plurisecolare gioco a guardie e ladri: un lungo racconto di imprenditori di successo e contrabbandieri o contraffattori, regolatori occhiuti e sbirri corrotti, norme paternalistiche e sotterfugi per salvare il prezioso liquido dalle grinfie dello Stato.

Kosar si concentra in particolare su tre esperienze: la Scozia, l’Irlanda e gli Stati Uniti. Egli mostra come i tentativi di disciplinare la produzione del whiskey fossero spesso mossi da intenzioni commendevoli, come limitare l’ubriachezza delle persone o proteggere la qualità dell’alcolico. Tuttavia, più di una volta si è andati vicino a fare piazza pulita delle distillerie esistenti e delle ricette che esse si tramandavano e cercavano di migliorare. Questo è vero soprattutto per l’Irlanda e gli Stati Uniti, dove il moralismo e il proibizionismo hanno messo a repentaglio l’antica sapienza dei mastri distillatori. Lo è meno nella Scozia, che nonostante tutto ha trovato in quello che non a caso chiamiamo Scotch una sorta di simbolo nazionale.

Solo negli ultimi anni l’industria del whiskey ha avuto un boom, trasformandosi da rifugio dei peccatori ad ambita meta di appassionati esigenti e raffinati (e disposti a spendere non solo per il palato ma anche per l’esperienza stessa del whiskey e dei luoghi dove è prodotto). Tanto che nel tempo sono sorti nuovi epicentri produttivi in aree del pianeta che non avevano una tradizione in tal senso, dal Giappone all’India.

Oggi l’offerta di whiskey è ampia e diversificata e si rivolge, letteralmente, a tutti i gusti e a tutte le tasche. Come scrive Kosar, “dovremmo fare un brindisi a questo ricco ventaglio di scelte: al whiskey e alla buona vita!”.

Carlo Stagnaro, direttore Ricerche e studi IBL

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