31
Dic
2022

Papa Ratzinger e la cultura del limite

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Sergio Belardinelli.

Con Benedetto XVI esce di scena senz’altro un grande papa, ma anche uno degli uomini di cultura più importanti del nostro tempo. Ci vorranno anni per comprendere a pieno il senso e l’intelligenza del suo magistero teologico, filosofico e politico. Ma credo che uno dei temi sui quali il lavoro del Cardinale Ratzinger, prima, e di Benedetto XVI poi lascerà maggiormente il segno sia proprio quello della laicità della politica e dei presupposti culturali che l’hanno resa possibile.

A partire dalla famosa discussione con  Habermas nel 2004, solo per fare qualche esempio, passando attraverso i discorsi tenuti a Regensburg, a Mariazell (in Austria), a Londra, a Parigi, alle Nazioni Unite, fino al discorso tenuto al Bundestag nel 20011, per non dire di alcune splendide riflessioni sulla teologia di Agostino e il suo rapporto con la realtà politica, siamo di fronte a una delle riflessioni filosofico-politiche più potenti del nostro tempo. Al centro un punto fondamentale:  l’inviolabile, unica e irripetibile dignità di ogni uomo che si esprime soprattutto come libertà e, conseguentemente, l’importanza e l’urgenza della limitazione del potere.

È alla luce di questi presupposti che vanno lette le parole di Benedetto XVI sul rischio che un certo modo di intendere la laicità possa indurre una pericolosa sacralizzazione della politica e del potere a tutto danno dell’umana libertà. La laicità, diceva Benedetto XVI, non può ridursi a una semplice variante di quel genere di divinità che sono soltanto “opera delle mani dell’uomo”: le più pericolose di tutte; deve piuttosto metterci in guardia da tale sacralizzazione, affermando l’inviolabilità di certi diritti umani, per esempio la vita, ma anche l’importanza di una cultura e istituzioni che garantiscano la pluralità delle idee, il libero mercato, la libera competizione per il potere, i suoi limiti invalicabili, il suo esercizio non ideologico, la possibilità che venga revocato attraverso mezzi pacifici e costituzionali. 

Francamente non saprei dire se Benedetto XVI avesse o meno simpatia per la cultura liberale. Di certo ne ha difeso a spada tratta i caratteri fondamentali, a cominciare dall’importanza dell’argomentazione razionale e della verità. Sì, proprio così, la verità. Sarebbe troppo lungo sviluppare il tema in questa sede, ma se è vero quanto affermato da Boeckenfoerde, e io credo che sia vero, e cioè che lo stato liberale vive di presupposti che da solo non è in grado di garantire, allora i principali tra questi presupposti sono proprio l’idea di una ragione “aperta” e l’idea di una  verità non dispotica. Lo ha mostrato molto bene l’allora Cardinale Ratzinger nella sua discussione con Habermas. In quella sede invero si parlava soprattutto dei rapporti tra politica e religione, tra ragione e fede, ma la posizione di Ratzinger brillava proprio per la sua straordinaria apertura e, soprattutto, per una consapevolezza: è difficile che lo stato liberale di diritto possa sopravvivere eliminando i suoi presupposti culturali, anche religiosi, o sfruttandoli come una semplice rendita parassitaria. Un monito, questo, che spero illumini le nostre menti anche negli anni a venire.

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