16
Dic
2015

I governatori pd battono Renzi: no a trivellazioni, senza una sola parola

No, non ci siamo proprio. La disattenzione generale alla bandiera bianca issata dal governo su ricerca e produzione di idrocarburi in Italia è l’estrema conferma di un paese che dei temi energetici non vuole e non sa discutere. Non si tratta solo dei politici, anche se loro per primi su questa questione preferiscono facile consenso a scelte serie. Che, dopo tanti anni passati ad accarezzare il pelo della demagogia antisviluppista andrebbero spiegate, e alienerebbero simpatie. E dunque perché rischiare? L’economia nazionale ne pagherà il conto in futuro, ma i voti sono oggi, e chi pensa alla prima e non ai secondi è perduto. Così ragionano troppi politici. Ma è anche vero che le loro scelte irresponsabili avvengono in un traumatico generale silenzio. Donne e uomini della finanza e dell’impresa tacciono, rassegnati e disillusi. I media, per parte loro, tranne rare lodevoli eccezioni non hanno quasi dato la notizia.

Pressato dai 6 quesiti referendari presentati a settembre da 10 regioni di cui 8 a guida Pd sugli articoli del decreto sblocca-Italia del 2014, il governo ha deciso di rimangiarsi la scelta che aveva fatto, quando si era tornati ad autorizzare ricerche ed estrazioni entro i 22 chilometri di acque costiere italiane. Dopo il divieto posto dalla ministra Prestigiacomo nel 2010. Le regioni hanno di conseguenza già vinto, prima ancora che a metà gennaio la Corte costituzionale si pronunci sull’ammissibilità dei quesiti. Il governo ha oggi troppi guai con il Pd dei territori in vista delle amministrative, per prendere sul serio al questione energetica italiana. Tanto vale gettarla alle ortiche. Senza enfasi. Tanto, cosa volete che sia…

Che depressione viene, constatando che a quasi nessuno ieri è sembrato importare un fico secco. Siamo l’unico paese al mondo ad aver posto un limite così sciocco. Possiamo esserne fieri? Siamo meglio della Norvegia e della Scozia? E per di più siamo dipendenti dall’estero per il 90% del nostro fabbisogno energetico, oggi che i prezzi sono bassi se ne vanno 3 punti di PIL l’anno per pagare petrolio e gas altrui. Ma col petrolio a 90 dollari il falò del PIL arrivava a 5-6 punti percentuali. Le illusioni ad alto incentivo pubblico delle affamate lobby ambientaliste ( siccome pioveranno le critiche: non sono affamate solo loro, sono affamate tutte le lobby, quella “rinnovabilista” compresa) dimenticano che nel 2014 il fabbisogno energetico mondiale è stato coperto all’87% dalle tre fonti fossili, carbone petrolio e gas. Poi da nucleare e idroelettrico , ma le altre fonti rinnovabili hanno contribuito solo per 0,6miliardi di tonnellate equivalenti petrolio su un consumo totale di oltre 13 miliardi.

Ma dei numeri in ballo per l’economia italiana futura sembra importare poco o niente a nessuno. I leader del Pd alla testa delle regioni hanno usato la questione per un doppio fine politico. Dimostrare al Renzi segretario Pd che si può dimenticare di essere lui da solo, a decidere per tutti. E rendere chiaro a Renzi presidente del Consiglio che lui potrà pure cambiare il Titolo V° della Costituzione riaccentrando le competenze su scelte strategiche come l’energia a Roma, ma intanto se la Corte costituzionale autorizza questi referendum sul facile tema del no al petrolio i governatori lo sconfiggono, e il governo a quel punto può scordarsi di riaccentrare tutto in ogni caso. Di qui la silente decisione governativa: dai ragione ai referendari, in modo che il referendum non si tenga. Poi si vedrà.

Una classica partita politica italiana: in cui i fini contano cento volte più dei mezzi con cui li si persegue, l’interdizione e il veto esprimono il potere assai più della cooperazione, e l’indifferenza per le conseguenze sostituisce l’interesse nazionale. La sorpresa, piuttosto, è la capitolazione improvvisa e muta di Renzi. Evidentemente non ha troppo torto, chi ha avuto l’impressione di una Leopolda di crisi e non d’innovazione.

A questo punto, è fin troppo facile prevedere che il divieto di ricerca ed estrazione diverrà totale, esteso anche a terra. Il governo spiegava riservatamente ieri che con questo mossa comunque si pensa di poter difendere i progetti intanto partiti. Dei 107 progetti di ricerca già concessi, 23 erano su fondale marino, e 41 quelli ai diversi gradi di esame, dalla preistruttoria alla valutazione ambientale. Concentrati soprattutto nel mare Adriatico, al largo delle coste romagnole abruzzesi e pugliesi, e nello Ionio di fronte alle coste pugliesi, calabresi e lucane. Per ciascuno di questi, è sorta una forte opposizione ambientalista. Con questo nuovo ripensamento del governo, si dà un’altra feroce botta alla credibilità necessaria ad attirare investimenti internazionali energetici in Italia. Come se ce ne fosse bisogno.

Nel 2014 la produzione italiana di idrocarburi ha soddisfatto il 10% del consumo totale nazionale, per un totale di 11,7 milioni di tonnellate di petrolio, olio combustibile per 5,7 milioni di tonnellate equivalenti petrolio, e gas per 5,9mln di TEP. Ma le riserve ragionevolmente accertate italiane ammontano all’equivalente di 10 anni di tali estrazioni. Mentre quelle potenziali stimabili giungono fino a 700 milioni di tonnellate equivalenti petrolio, per la maggior parte al Sud e in Sicilia. Naturalmente gli ambientalisti negano le stime, dicono che gli idrocarburi sono di bassa qualità, ripetono che tanto le riserve sono limitate. La loro alternativa è importare tanto, e un bel falò annuale di miliardi del contribuente annui a favore delle lobby rinnovabiliste.

Né all’Italia intera né al Sud devastato da questi ultimi anni sembrano interessare le pingui royalties che resterebbero sui territori (del 10% per le estrazioni di idrocarburi a terra e in mare, e del 7% per il petrolio in mare), gli occupati nell’indotto, le infrastrutture di trasporto e di raffinazione da realizzare localmente se si percorresse la strada di aumentare l’ìindipendenza energetica nazionale, il reddito che tutto ciò genererebbe, e che cosa si potrebbe fare invece di meglio migliorando la bilancia commerciale e incassando più gettito da idrocarburi di produzione nostra.

Le regioni hanno vinto la loro battaglia su Roma, i ras locali del Pd sul loro segretario. Questo solo conta, e sono le amare priorità di un paese senza priorità vere. Lo dico con il più profondo rispetto per chi si batte verso un mix energetico in cui le fonti fossili – che useremo ancora a lungo come largamente maggioritarie a coprire il fabbisogno – convivano con una maggior quota di rinnovabili: ma a patto che il mix sia perseguito con un’attenzione maniacale al conto economico generale dei costi-benefici per l’economia nazionale. Ancora una volta, invece, eccoci in presenza di decisioni che nascono da tutt’altro fine, e senza che nessuno si sia ropeso la minima briga di giustificarle con qualche numero.

 

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3 Responses

  1. Giorgio

    700 milioni T\P è solo un’ipotesi e cmq. di ogni giacimento potenziale si riesce tecnicamente a estrarre ca. 1\3. La tecnica ad impatto ambientale soft (“slim production”) è applicata in Val d’Agri , dove le potenzialità sono ora ipo-sfruttate;ma Giannino non ne parla:vuole nuovi pozzi a mare, subito.E parla di buona qualità del nostro petrolio indigeno:quello di Trecate lo è, ma è in esaurimento; quello futuribile in Sicilia avrà la stessa qualità mediocre di quello di Gela ? Se sì, staremo a posto ….

  2. Gaetano

    Non ho una grande preparazione in merito alla gestione delle risorse energetiche, ma se non sbaglio il vantaggio delle trivellazioni sul territorio nazionale non si riflette in una maggiore disponibilità a vantaggio nazionale, ma a vantaggio della società petrolifera che detiene i diritti di trivellazione, e il vantaggio economico per le regioni è minimo, mentre i rischi, soprattutto per le regioni turistiche, sono altissimi. Morale: i diritti di trivellazione sul territorio nazionale comportano il versamento alle regioni di modesti diritti di trivellazione ed estrazione, e qualora la società petrolifera non sia l’ENI il petrolio prende tutt’altre strade che non le raffinerie nazionali, quindi dove sta il vantaggio? Ricordo recenti scandali in Sicilia per diritti di esplorazione ed estrazione di importo ridicolo rilasciati a società petrolifere americane. Sarei curioso di sapere a quanto ammontano annualmente i diritti di esplorazione ed estrazione versati dalle varie compagnie petrolifere all’Italia e poi paragonarli con quanto versato per concessioni simili ad altri Paesi europei, sono sicuro che vi sarebbe da ridere a crepapelle.

  3. Massimo

    Bloccare le trivellazioni senza distinguere caso per caso e sbagliato, però vedo difficile effettuare la raffinazione in Italia. Gli impianti italiani attualmente non reggono la concorrenza degli impianti nei paesi in via di sviluppo

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