14
Gen
2010

Termini Imerese: l’Italia a fine corsa con la politica dei sussidi?

Lo sciopero di Termini Imerese nello stabilimento della Fiat è cominciato in concomitanza con l’inizio del Salone dell’Automobile di Detroit, l’appuntamento del settore più importante nel Nord America. La chiusura dell’impianto produttivo siciliano è ormai quasi una certezza e la casa automobilistica non ha intenzione di cambiare i propri piani.Le affermazioni di Sergio Marchionne, amministratore delegato del gruppo torinese in risposta alle motivazioni dello sciopero sono molto forti: “Siamo un’azienda privata e non un Governo”. La frase evidenzia la fermezza dell’azienda di fronte all’ennesimo blocco che colpisce gli stabilimenti italiani. Le relazioni tra sindacati e Fiat sono sempre più tese, dato che la casa automobilistica non solo ha annunciato la chiusura dello stabilimento siciliano, ma ha messo anche in dubbio la continuazione dell’attività a Pomigliano d’Arco.
Tutti questi accadimenti molto italiani e molto difficili da far digerire alle parti sociali e al Governo arrivano proprio nel momento in cui Marchionne annuncia il rilancio del marchio Chrysler negli Stati Uniti. Entro la fine del 2010 è previsto il lancio di nuovi modelli e il Salone di Detroit è un po’ il punto di svolta. Il marchio americano, che nel corso del 2009 ha perso ulteriori quote di mercato nel mercato nord americano, dove è sceso all’8,9 per cento, ha bisogno di un cambio molto forte. Il produttore è diventato il quinto a livello statunitense, superato sia da General Motors e Ford, che dai produttori giapponesi Toyota e Honda.
Fiat sta razionalizzando la gestione di Chrysler e il rilancio del gruppo americano sarà molto difficile, nonostante l’enorme sperpero di denaro pubblico che le amministrazioni americane hanno immesso nella casa automobilistica.
La razionalizzazione che il gruppo dirigente Fiat sta compiendo è necessaria in vista di un mercato, che dopo la crisi, sarà ancora più competitivo. Sempre meno gruppi saranno sulla scena di un mercato sempre più globale. Nell’anno in cui la Cina è diventata il primo paese per numero di veicoli venduti è ormai chiaro che le case automobilistiche devono aggregarsi per rispondere alle sfide competitive globali.
E l’Italia e la Fiat non potranno sfuggire a questa nuova sfida che la globalizzazione del mercato automotive impone. Se da un lato Fiat sta provando a diventare un attore globale, il sistema Italia dell’automotive sembra non essere in grado di rispondere ad un mondo sempre più competitivo.
In Italia nel 2008 sono state prodotte 659 mila autovetture, tutte costruite dalla casa automobilistica nazionale. Nessun gruppo straniero ha investito in Italia per produrre autoveicoli e questa tendenza è ormai in atto da diversi anni.
Fiat s’internazionalizza sempre più nella produzione di veicoli, non solo per il costo del lavoro esageratamente alto, ma soprattutto per gli enormi vincoli burocratici che affliggono il nostro Paese. La mancanza d’investimenti stranieri non è, infatti, una prerogativa del solo mondo automotive, ma è una triste costante che percorre tutto il tessuto produttivo italiano.
Nel momento in cui Fiat cerca di agganciarsi alla globalizzazione e si avvicina lentamente ai mercati di sbocco, il nostro paese rimane incapace di reagire. Per anni le uniche politiche pubbliche nel settore, da parte di tutti i Governi, sono state quelle di fornire incentivi per stimolare la domanda. Il 2009 è stato il tipico anno dove i sussidi pubblici hanno dopato le vendite che altrimenti avrebbero visto una caduta molto più accentuata del sostanziale pareggio registrato.
Spendere centinaia di milioni di euro l’anno per sussidiare le vendite serve a poco per rilanciare la produzione italiana che necessiterebbe invece di un cambio di marcia. Riforme generali che aiuterebbero tutto il mondo produttivo – come quelle proposte nel volume “Dopo” (Ibl Libri) – darebbero anche al settore automotive quello slancio per trovare investitori.
I sindacati continuano a chiedere a Fiat e al Governo di aumentare la produzione di autoveicoli, senza capire che il mondo è cambiato. Il mondo sindacale potrebbe porsi una semplice domanda: perché la Repubblica Ceca o il Belgio producono più automobili dell’Italia?
È necessario fare riforme importanti per portare le case automobilistiche straniere a produrre in Italia.
Senza di queste, l’Italia è a fine corsa.

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6 Responses

  1. esatto. basta con i sussidi. è ora che ogniuno si arrangi con le proprie forze.. e se fosse per me .. mi farei restituire tutti i soldi da quei pezzenti della fiat.

    ragazzi della sicilia… mi sa che dovrete arrangiarvi in altro modo.. la vita si fa sempre piu dura in italia, ma è meglio cosi, è tempo che gli italiani si sveglino con questa freschissima acqua di fogna. siamo una nazione da buttare nella pattumiera perchè è il popolo che lo vuole, continuando a dormire…

    ps: io ho un bel lavoro e vengo pagato bene, solo che provo fastidio per come sia ingolfata la nostra (potenzialmente) meravigliosa nazione e per tutti i talenti e le occasioni che vengono sprecate.

  2. andrea lucangeli

    Agnelli arrridatece i sorrdi!!! A parte gli scherzi (sono Veneto non romano) è francamente inaccettabile questa “spocchiosità” di Mr.Canada (leggi Marchionne) che prima chiede “l’aiutino” allo Stato (leggi incentivi alla rottamazione) e poi “si impanca” a darci lezioni sul come fare impresa….. (e lo pagano pure….).- Venga da noi in Veneto “a farsi il culo” tra strade da terzo mondo, infrastrutture inesistenti, competizione spinta con gli stranieri e niente “aiutini di Stato” e poi forse (molto forse) potrà parlare e darci lezioni….- Per l’intanto noi Veneti continueremo orgogliosamente a fare a modo nostro fregandocene delle “prediche” di Marchionne e dei suoi maglioncini di cachemere (che gli paghiamo noi….)

  3. C.la

    @andrea lucangeli:
    Non mi piace la parte di intervento finale, dove sembra far intendere che solo i veneti si spacchino la schiena e non siano scorretti.
    Purtroppo anche in lombardia, emilia-romagna e Toscana invece (regione anche lì dove si lavora sodo) c’è chi si è approfittato della crisi (dirigenti, o presunti tali) come scusa per delocalizzare senza motivo (si veda l’OMSA, ultimo caso di ennesimi abusi analoghi).

    La brava gente, così come i cretini (mi si passi il termine), sono ovunque.

  4. andrea lucangeli

    @ C.la: vedi, parlo dei Veneti perchè sono Veneto e perchè la mia amata regione – sino a pochi decenni addietro – era terra sottosviluppata, di emigrazione (in Australia, Argentina, Usa), dove esisteva la pellagra endemica (mancanza di vitamina B perchè si mangiava….solo polenta…).- In pochi anni – senza “Santi in Paradiso” (può far eccezione solo Mariano Rumor, Presidente del Consiglio per un breve periodo) – siamo diventati la locomotiva del paese malgrado le mille vessazioni imposteci da Roma…- Il nostro motto era “paga e tasi” (paga e taci) ma adesso ci siamo proprio “rotti le scatole” di farci dare lezioni da tutti.- I Marchionne noi “ce li mangiamo a colazione” con…uova e bacon…..- E da noi (mi spiace caro Marchionne) molto poche Fiat…e tante VW, Opel, Bmw, Audi e Mercedes.- Questo è il nostro modo di “vendicarci” per quello che ci è costata la Fiat….

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