29
Mag
2020

Incentivi all’impresa

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Cesare Giussani.

Stiamo raccogliendo soldi in Europa sia grazie agli interventi c.d. di politica monetaria della Bce (che nascondono una monetizzazione del debito pubblico) sia attraverso finanziamenti e grants previsti nel progetto New Generation dell’Unione.

Non abbiamo chiaro come utilizzare questa quantità di denaro. Finora il governo ha posto all’ordine del giorno le iniziative più varie, spesso in modo non coordinato; si capisce l’obiettivo multiplo di far fronte alle esigenze delle categorie in difficoltà, di tenere alta la domanda dopo la stasi recessiva del blocco delle attività, di soddisfare alcune esigenze di servizio pubblico (sanità). Viene invece sistematicamente escluso che il finanziamento ricevuto possa servire a ridurre le tasse. Oggi il governatore Visco, che è persona di cultura, ha posto l’accento sulla necessità di investimenti nell’istruzione e nella ricerca.

Condivido queste indicazioni, come quelle di chi indica l’opportunità di investimenti in opere pubbliche. Su tutto ciò mi permetto di fare due considerazioni, la prima è che questi interventi hanno risultati a distanza di tempo, mentre noi necessitiamo di una ripresa immediata; la seconda è che spesso le opere pubbliche sbagliano bersaglio, anche in assoluta buona fede, sicche’ ci troviamo costruite cattedrali nel deserto, col risultato ne’ più ne’ meno delle buche fatte e riempite di keynesiana memoria.. L’opera pubblica più urgente è lo snellimento burocratico, che si realizza a costo zero.

Perché non riflettere invece sulla possibilità di un intervento a favore delle imprese? L’impresa è l’operatore più idoneo per assicurare il rilancio di una economia arrestata a forza; per sua natura il sistema delle imprese permette alla collettività la distribuzione del rischio, agli errori e ai fallimenti di alcuni corrispondono i successi di altri. Si evita in tal modo la conseguenza della concentrazione di risorse in investimenti pubblici non testati dal mercato e divenuti irreversibili nelle loro involuzioni (Ilva, Alitalia). Perché l’impresa si muova occorre però anche rozzamente agire sulle prospettive di guadagno di chi affronta i rischi di mercato. E qui può soccorrere l’incentivo fiscale.

A chi obietta che i soldi raccolti in Europa o sono una tantum o debbono essere restituiti, rispondo che si possono prendere misure fiscali straordinarie, a carattere transitorio vista l’eccezionalità del momento.
Dovremmo dunque creare un incentivo ai profitti, categoria maledetta dai sociologi ma segnale invece del buon andamento dell’impresa e di chi ci lavora. L’occupazione in una impresa che crea profitti è la sola sostenibile nel tempo. Il coraggio fiscale dovrebbe consistere in misure del genere del taglio drastico dell’Ires senza obbligo di reinvestimento per un anno o due; per coloro che non sono soggetti a Ires si potrebbe prevedere per lo stesso periodo una flat tax agevolata. Di iniziative siffatte ovviamente si darebbe contezza in sede europea, chiarendo l’imputazione di questi oneri ai fondi ricevuti.

Gli aspetti tecnici e giuridici di questo progetto sono da esplorare, quello che vorrei sostenere è che non è opportuno escludere per pregiudizi ideologici una valutazione di queste possibilità.

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