6
Set
2012

Strategico a chi? – di Massimo Brambilla

Riceviamo e volentieri pubblichiamo da Massimo Brambilla.

Ci sono parole che più di altre si prestano ad occultare la realtà per perseguire interessi personali più o meno confessabili. Una di queste è “strategico”, un termine di cui sono soliti avvalersi i supporters dello stato pervasivo ogni qual volta si pensa di dismettere le partecipazioni dello Stato e degli Enti Locali definendo le stesse come appunto strategiche e pertanto non dismettibili.

Forse vale la pena di interrogarsi per quale motivo ció che è definito strategico, ammesso e non concesso che lo sia realmente, non debba essere oggetto di dismissione e gestione da parte di privati. Anzi forse sono proprio le attività strategiche che dovrebbero essere dismesse per prime visti i meccanismi utilizzati dalla politica per selezionarne i vertici aziendali

La memoria va ad un mia esperienza personale. Nel corso di una determinata fase della mia vita professionale (tra il 1997 e il 2002) mi sono trovato ad assistere alcuni Comuni nella privatizzazione di aziende pubbliche locali.

Un’operazione mi appassionò in modo particolare (anche perché aveva ad oggetto la mia città di origine). Si trattava della cessione dell’80% delle azioni della AFM Milano, società che gestiva le 84 farmacie di titolarità del Comune di Milano. L’operazione, che veniva successivamente all’analoga operazione messa in atto dal Comune di Bologna (che avevo altresì avuto la fortuna di seguire) durò ben tre anni dall’avvio alla conclusione culminata con la cessione alla multinazionale tedesca Gehe AG (oggi Admenta) per 251 miliardi di Lire (pari, ricalcolato sul 100% del capitale, a 2.3 volte il fatturato e ben 69 volte gli utili d’esercizio).

Come mai servirono ben tre anni (nella mia carriera mai un’operazione ha richiesto così tanto tempo) per giungere ad una conclusione? Non certo per assenza di interesse da parte del mercato (come dimostrato dalla valorizzazione ottenuta dal Comune) o per pigrizia da parte di chi ha gestito l’operazione ma a causa di chi, condizionato da una commistione di interessi economici e politici, ha avversato l’operazione fin dall’inizio avvalendosi della complicità di esponenti politici locali e nazionali.

Le argomentazioni che nascondevano i veri interessi di chi cercava di bloccare l’operazione erano i soliti che ancora adesso sentiamo ripetere quando si parla di dismissioni delle partecipazioni pubbliche: l’attività era strategica per il Comune e la gestione da parte di una multinazionale avrebbe nuociuto al diritto alla salute dei cittadini milanesi. Gli avversari dell’operazione sentenziavano che gli avvoltoi privati avrebbero selettivamente chiuso le farmacie in periferia, meno profittevoli, e licenziato i dipendenti, per poi trasformare le farmacie restanti in supermercati ove vendere qualsiasi categoria merceologica con l’eccezione dei farmaci. La privatizzazione avrebbe creato ondate migratorie di povere vecchiette obbligate a lunghi trasferimenti per comprare farmaci salva vita che il becero privato non avrebbe più reso disponibili. Ovviamente il fatto che esisteva un rigido contratto di servizio finalizzato ad evitare (ed, ove necessario, sanzionare) scelte gestionali lesive del diritto alla salute, non frenava i profeti di sventura.

11 anni sono passati da quell’operazione. Le farmacie da 84 sono diventate 86, i ricavi sono passati da 71 a 100 milioni di Euro ed i dipendenti erano al 31.12.2011 316 (301 all’atto della privatizzazione). Non si ha notizia di ondate migratorie di vecchiette in cerca di farmaci e non risulta che le farmacie siano state trasformate in cinema, night clubs o supermarket.

Non che gli oppositori della privatizzazione si arresero all’esito della stessa. Avviarono successivamente una battaglia legale sulla presunzione che l’operazione andava a creare una rete di farmacie, un soggetto vietato dall’ordinamento (peccato che in Italia le reti di farmacie esistono da tempo tramite l’italianissimo istituto del prestanome). Prescindendo dal fatto che la normativa italiana è stata lungamente oggetto di rilievi da parte della Commissione Europea e dell’Antitrust a causa di un eccesso di regolamentazione volto a tutelare gli incumbents a scapito dell’imprenditorialità del sistema, anche in questo caso l’obiettivo di annullare la privatizzazione è, ad oggi, ben lungi dall’essere stato ottenuto.

La storia delle farmacie di Milano è esemplificativa di come dietro alla presunta strategicità delle partecipazioni di Stato ed Enti Locali ci siano interessi di varia natura e di come la propaganda che mira a mantenere la proprietà pubblica delle stesse distorca la realtà per il perseguimento dei propri interessi.

Lo Stato deve essere regolatore e non imprenditore e la realtà storica insegna che i servizi pubblici sono gestiti meglio dai privati che dai politici nella misura i cui i primi siano selezionati all’esito di trasparenti e regolamentate procedure di gara. Certo alcuni servizi pubblici hanno valenza sociale e non imprenditoriale ma anche in questo caso gli interessi della collettività possono essere tutelati tramite strumenti contrattuali (contratti di servizio, golden share ecc..) che definiscano i paletti entro i quali deve rimanere la gestione. Ovviamente quanto più stretti sono i paletti tanto minore è la valorizzazione ottenuta all’atto della dismissione. Ma anche in questo caso, la gestione di un manager privato è sempre meglio di quella del cugino dell’assessore.

You may also like

ITA-Lufthansa: un punto di partenza, non un punto di arrivo
Servizi pubblici locali: un passo importante nella giusta direzione
Un insegnamento di Franco Tatò
A chi i cestini? A noi!, signori della Rap

21 Responses

  1. Aldus da Parma

    Bene Brambilla, buono il suo articolo, esempio classico di “resistenza del potere pubblico” a lasciare profitto e capitali ai privati. Poteva essere fatto un passo in avanti verso la vera liberalizzazione, cioè cedere direttamente le farmacie a singoli titolari di farmacia. Ma procedere per singole aste sarebbe stato troppo democratico! Moolto meglio cedere alla grande distribuzione monopolista, magari produttrice di farmaci in proprio! Come è difficile andare verso uno stato più liberale!

  2. paolo silvi

    Tutto ciò che è ovvio nel nostro Paese non appare mai per tale. Comunque dobbiamo fortissimamente continuare a sperare e ad adoperarsi per il cambiamento?

  3. alexzanda

    ma nessuno che dica che la liberalizzazione, quella unica e vera, passa solo ed esclusivamente per la libertà di chiunque abbia una istruzione adeguata (leggi laurea in farmacia) e la disponibilità di un locale adatto, di aprire la sua bella farmacia anche e soprattutto in concorrenza con tutte le altre, senza limiti di distanza tra una e l’altra o di qualsiasi sorta!!
    ormai anche i liberali italiani sono abituati al dirigismo e alla pianificazione e non sanno più cosa significa libertà….le conseguenze nello specifico settore sono chiarissime a chiunque viaggi all’estero, dove ovunque ci sono farmacia aperte anche 24 ore o con consegna a domicilio, mentre qui aprono 7 ore al giorno e se ti servono di sabato o domenica vattela a cercare qual è quella di turno…..
    siamo proprio stupidi!

  4. Massimo Brambilla

    alexzanda :
    ma nessuno che dica che la liberalizzazione, quella unica e vera, passa solo ed esclusivamente per la libertà di chiunque abbia una istruzione adeguata (leggi laurea in farmacia) e la disponibilità di un locale adatto, di aprire la sua bella farmacia anche e soprattutto in concorrenza con tutte le altre, senza limiti di distanza tra una e l’altra o di qualsiasi sorta!!
    ormai anche i liberali italiani sono abituati al dirigismo e alla pianificazione e non sanno più cosa significa libertà….le conseguenze nello specifico settore sono chiarissime a chiunque viaggi all’estero, dove ovunque ci sono farmacia aperte anche 24 ore o con consegna a domicilio, mentre qui aprono 7 ore al giorno e se ti servono di sabato o domenica vattela a cercare qual è quella di turno…..
    siamo proprio stupidi!

  5. Marco Tizzi

    Be’, la domanda parte da un punto di vista sfavorevole: per me che so lu re è strategico il cuggino un po’ scemo che altrimenti mi rompe i coglioni o la moglie che altrimenti mi chiede il divorzio millantando foto con minorenni e cocaina.
    Più strategico di così… Finisco son le chiappe al suolo se non elargisco.

  6. marco

    Grazie di questa testimonianza, la maggioranza degli italiani è convinta che il controllo tramite regolamenti sufficientemente precisi e trasparenti si più che sufficienti a tutelare gli interessi dei contribuenti (di quelli dei famigli della casta sono loro ad essere troppo capaci).
    Inoltre al di là del cash flow quello che mi sembra importante è aumentare la popolazione (quindi la propensione a livello società e classe dirigente) abituata a ragionare sul merito e sui risultati anzichè sulle appartenenze a cupole e congragazioni.

  7. ALESSIO DI MICHELE

    @Massimo Brambilla & Alexzanda:

    l’ istruzione sufficiente ad aprire una farmacia è quella che si ottiene finita la 2a elementare: è vero che i medici scrivono le ricette in demotico, ma confrontare le scritte su una scatola ed una ricetta si può fare anche dopo i primi 2 anni di scuola; non esistono più le farmacie con i barattoli tipo anno 1200 “benzoino”, “aloe”, etc.. Poi: vuoi anche dare consigli sanitari ? Allora ti prescrivo la laurea e ti permetto di farteli pagare, ma altrimenti la prescrizione del titolo di studio è solo un’ altra barriera all’ ingresso. Ed in più: ti permetto la pubblicità: perchè in Messico (!), a Tijuana, posto da far inorridire il clan dei casalesi, però le farmacie fanno pubblicità tipo “da Tizio la cefalosporina costa $ 6 la libbra, ma da me solo $ 5,5” e da noi non si può ?

  8. Roberto Fantino

    Tristemente troppo ovvia e vera!
    Questo esempio-realtà mi suggerisce tre osservazioni.
    La prima: l’enorme distonia tra verità (realtà) e opinione del cittadino che vota. Opinione che, purtroppo, è figlia di un sistema mediatico che, millantando il ruolo di depositario dell’informazione con annessi diritti (al punto di ritenersi al di sopra di qualunque legge che limiti la diffusione delle informazioni anche se riservate come, ad esempio, i verbali d’interrogatori segregati, piuttosto che testi di intercettazioni altrettanto riservate), produce disinformazione (anche fornire una mezza verità è un falso, perché induce a conclusioni erronee).
    La seconda: “one man one vote” (ad ogni persona un voto) è allo stesso tempo l’essenza della democrazia ed il suo limite. Se il voto non è supportato da competenza e basato su informazioni corrette (e il più complete possibili) la democrazia è solo un esercizio formale. Mi rendo conto di fare un’affermazione non “politically correct”.
    Terza riflessione (collegata alla seconda). Pensiamo, ad esempio, al problema dello spread e a quante sono le variabili- e relativa complessità – che concorrono alla sua determinazione: un mix di economia virtuale, economia reale, la globalizzazione dei mercati, l’impatto dello stato (sia come regolatore e sia come gestore di attività economiche e finanziarie) al quale si aggiunge anche l’impatto della Comunità Europea. Fatta questa “elementare” riflessione, riprendiamo il tema del processo democratico. Chi è l’ultimo soggetto chiamato a gestire tutto questo? Il cittadino con il suo voto! Diceva Churcill: The best argument against democracy is a five-minute conversation with the average voter (il miglior argomento contro la democrazia è una conversazione di cinque minuti con l’elettore medio ). Non sarebbe il caso di cominciare anche a discutere di come formiamo il cittadino? Di come far sì che il voto sia supportato da un livello di competenza più congruo alle esigenze (e diritti) di una vera democrazia? Perché un idraulico deve fare un corso per installare una caldaia, mentre chiunque può votare per un referendum sull’energia nucleare in Italia? Mi sembra che ci sia qualcosa che non quadra! Ma chi ha oggi le palle per sollevare questo problema?

  9. lionello ruggieri

    Uno sciochezzaio partigiano. Due sole osservazioni: a) nella parentesi a metà articolo si sostiene l’ininfluenza della nascita di una rete di farmacie dato che ne esistono grazie ai prestanome. E’ come sostenere la legalizzazione del furto dato che esistono molti ladri che non vengono scoperti. Tra l’altro la frase dell’autore richiede il congiuntivo e non l’indicativo, ma forse non ha importanza dato che molti il congiuntivo lo sbagliano; B) nel 1980 mi occupai della vendita tra privati di una farmacia a Roma, farmacia posta in un popoloso qurtiere della periferia di Roma. La vendita fruttò 3 miliardi (pari a circa 9 del 2.000) pur essendo la proprietaria costretta a vendere o a sostenere i costi di un gestore non avendo la laurea in farmacia né alcun aesperienza commerciale di alcun tipo a differenza della de cuius da cui aveva ricevuto l’azienda. Pare che il provento medio ottenuto dall’autore (meno di tre miliardi cd nel 2.000) non sia stato un buon affare per il Comune che poteva, a mio avviso, sperare in quell’anno in almeno un totale di 600 miliardi). Problema che si presenta sempre in occasione delle invocate privatizzazioni.

  10. Giorgio Andretta

    @Roberto Fantino ,
    mi aggrego a lei circa:”le palle”, perchè non saprei definire un individuo che non abbia la consapevolezza della paternità delle proprie idee.
    A rileggerla

  11. gianbrio

    vero tutto se parliamo di farmacie!
    due esempi che dovrebbero far riflettere:
    GS supermercati, infine divenuti di proprietà privata francese, ora sugli scaffali si trovano considerevoli quantità. di merci prodotte oltralpe, con conseguente riduzione di pari prodotti locali
    secondo esempio in cui sono stato personalmente coinvolto.
    media azienda ex Iri nel settore elettronica industriale di potenza (azionamenti ferroviari ecc). viene privatizzata negli anni 90,acquistata da gruppo Usa, nel giro di circa 10 anni il know out aziendale ed i settori di maggior profile e contenuto sono trasferiti nello stabilimento principale alle porte di Detroit, la maggior parte delle sub forniture affidate a produttori americani e tedeschi, ed infine pochi anni fa abbandono della carcassa di cio che resta delle unità. produttive italiane al proprio destino mediante operazioni di cessione e smantellamento. morale niente piu mercato niente piu produzione niente piu know out e niente piu occupazione ed indotto.
    invito infine a ripercorrere la storia del Nuovo Pignone già. proprietà. Eni, privatizzato a General Electric perché. si diceva che fosse estraneo al core business del gruppo di Mattei. Morale adesso Eni acquista i medesimi equipaggiamenti fornendo profitti ad una società Usa anziché tenendo in casa i medesimi.
    penso. che il problema vero non sia privatizzare, ma riformare il sistema al fine di proteggere queste importanti aziende da aggressive e controproducenti scalate straniere. perché. i francesi proteggono Danone e Edf e noi ci stracciamo le vesti per scorporare Retegas che alla fine finira nelle mani della solit Gdf o Eon che ovviamente provvederanno immediatamente ad affidare i contratti di forniture a società del loro parco fornitori? (quasi mai italiani).
    insomma a noi manca tutela(magari con apposite leggi) , piano industriale nazionale serio ed infine ci mancano anche industriali di qualità ed in quantità necessaria.

  12. VincenzoS

    @gianbrio

    “invito infine a ripercorrere la storia del Nuovo Pignone già. proprietà. Eni, privatizzato a General Electric perché. si diceva che fosse estraneo al core business del gruppo di Mattei. Morale adesso Eni acquista i medesimi equipaggiamenti fornendo profitti ad una società Usa anziché tenendo in casa i medesimi.”

    Ma lo sa che Nuovo Pignone è ora il core di GE Oil & Gas? Lo sa che GE Oil & Gas è stata fino a 2-3 anni fa l’unico business GE ad avere sede fuori dagli USA (ora, dopo l’acquisizione di Amersham, anche Healtcare è fuori, in UK)? Lo sa che a Firenze c’è il centro di formazione per tutta Europa?. Lo sa che i ricavi si son moltiplicati visto che non è più una società praticamente mono-cliente?
    Lo sa che Nuovo Pignone ha acquisito una tale reputazione che ogni anno 1000 clienti da tutto il mondo pagano di tasca loro per andare al seminario annuale per i clienti che si fa a Firenze, e non sono di più solo perché non c’entrano nella sala convegni? Se non ci crede, basta che legga il Sole 24 Ore tra la fine di gennaio e i primi di febbraio o le cronache locali di Firenze.
    E la maggior parte dei dipendenti continua ad essere italiana. Lo sa che solo dall’1 settembre ad oggi (9 giorni) sono state postate 25 offerte di lavoro, di cui solo 5 a tempo determinato o interinali, per posizioni in Italia? E 63 a partire dal 14 agosto? Se non ci crede controlli pure, l’indirizzo è questo http://jobs.gecareers.com/
    Che la sua ditta sia stata spolpata dall’acquirente è un fatto, ma non tutti i casi sono uguali. Anzi forse la sua era talmente malgestita che magari era fondamentalmente irrecuperabile, con una marea di dipendenti assunti solo per raccomandazioni. L’ENI, tutto sommato, grazie alla lezione di Mattei, ha sempre operato in modo profittevole anche quando era completamente pubblico e questo ha fatto sì che Nuovo Pignone potesse crescere

  13. gianbrio

    ceratmente mi sono espresso male… conosco la situazione di Pignone… proprio per questo mi chiedo…ma allora perchè abbiamo venduto pignone agli americani e ci siamo tenuti Rai e Ferrovie?
    Perchè non abbiamo tenuto pignone facendolo diventare cio che è e traendone grande profitto?
    la rispsota è semplice… perchè non ne saremmo stati capaci. Allora penso che il problema non si il privatizzare senza se e senza ma… cominciamo con il dismettere i veri carrozzoni, appunto tipo RAI e ferrovie… magari invece di vendere pezzi di Finmeccanica, come per esempio Ansaldo Energia, potremmo ripetere il miracolo Pignone…?
    Insomma intendo dire che le privatizzazioni vanno applicate solo ai pachidermi e non a quelle aziende che di loro invece sono dinamiche e riescono a competere sul mercato, tanto da far gola a concorrenti esteri, appunto come Ansaldo Energia che pare essere sotto le mire di Siemens…
    E perchè non dire lo stesso di Ansaldo STS (segnalazione ferroviaria)? perchè vorremmo vendere a Bombardier questo piccolo gioiello invece di farlo crescere noi? magari vendessero le municipalizzate e poltronifici vari!!!

  14. ALESSIO DI MICHELE

    @ gianbrio & Marco Tizzi:

    No, non può andare, proprio no. Innanzitutto bisogna chiarirsi se i “gioielli” statali siano tali perchè sono gli unici “fornitori della Real Casa”, cioè a spese di qualche concorrente che non conosce i corridoi giusti. Secondo: valgono di più ? Si vendano più cari, e senza golden share. Terzo: vogliamo dire che oltre i servizi essenziali non delegabili (strade non a pedaggio, monopolio della forza fisica, diplomazia) lo stato dovrebbe solo controllare ? Quarto: la vogliamo finire con questa italica mentalità da furbo che vende l’ immondizia spacciandola per oro, perchè i gioielli li vuole tutti per sè, le proprie amanti e la propria famiglia ? Vogliamo accorgerci che ciò è da miserabili e non più possibile (lo guardate il contatore del debito in questo stesso sito, vero ?). Sesto: vogliamo una volta per tutte uscire dalla logica del “giusto prezzo, giusto valore” ? Il giusto prezzo è quello che si realizza con pagamento a 30 giorni da compratori solvibili, in regime concorrenziale. The rest is silence.

  15. VincenzoS

    @gianbrio
    Ma guardi che anche un carrozzone come la RAI messo in mano a chi ci sa fare potrebbe diventare un autentico gioiello.
    Apprezzo tante cose di Giannino e di altri liberali salvo una: l’incapacità di comprendere che se lo Stato in Italia ha pervaso tanta parte della nostra vita è stato anche perché si è progressivamente spenta la capacità da parte dei singoli e delle comunità, intese come aggregato di persone e non come amministrazioni, di sapere pensare al futuro e di sapere creare occasioni di sviluppo.
    E’ anche però vero l’opposto e cioè che l’invasività dello Stato ha spento la fiamma che scalda ognuno di noi

Leave a Reply