16
Apr
2010

Si torna a parlare di caccia. Ma il problema sono i diritti di proprietà

Come agricoltore e titolare di una azienda agrituristica, sono spettatore abbastanza interessato del dibattito seguito all’approvazione in commissione agricoltura dell’emendamento che autorizza le regioni ad allungare il calendario venatorio oltre i limiti attuali (1 settembre – 31 gennaio). In particolare appaiono sensate le obiezioni di chi, come il ministro Brambilla, si preoccupa che la possibilità di estendere al mese di agosto (oltre che febbraio) la stagione della caccia possa avere ricadute negative sul turismo rurale.

Penso però che, come sempre accade, il dibattito poggi su presupposti sbagliati, spesso fondati sul pregiudizio, e ignori ancora una volta l’aspetto fondamentale della questione, cioè i diritti di proprietà. Il proprietario di un terreno non può allontanare un cacciatore dalla sua proprietà (a meno che non abbia trasformato la stessa in “fondo chiuso” – un’operazione decisamente costosa) e non ha diritto a nessun tipo di indennizzo o di pagamento per i beni che gli vengono sottratti (la selvaggina). E’ questo nonsenso, la trasformazione di una proprietà privata in bene di uso comune, a generare tutte le contraddizioni del caso.

Anche se non ho nulla contro la caccia e i cacciatori, il fatto che all’inizio di settembre (e domani magari già in agosto) i terreni che circondano gli appartamenti dove i miei ospiti vengono a cercare tranquillità si trasformino in zona di guerra fin dalle prime ore del mattino mi infastidisce profondamente. Ma la soluzione più semplice sarebbe quella di darmi la possibilità di decidere autonomamente se, come e quando sui miei terreni si può andare a caccia, invece di regolamentare dall’alto il diritto di altri di usufruire gratuitamente di ciò che mi appartiene. Ogni proprietario, entro limiti che rispettino, ovviamente, la salvaguardia dell’ambiente, dovrebbe poter stabilire il “proprio” calendario venatorio in modo da poterne ricavare un utile sia permettendo che vietando l’ingresso ai cacciatori.

E’ probabile che la possibilità di imporre un prezzo per andare a caccia in una proprietà privata avrebbe come conseguenza la riduzione della caccia indiscriminata (indiscriminata proprio perché gratuita) che in alcuni periodi dell’anno decima letteralmente la fauna selvatica, e a guadagnarne sarebbero proprio i veri appassionati della caccia, oltre che i proprietari, e lo stesso ambiente naturale.

You may also like

Il green deal europeo non è politica ambientale ma (dannosa) politica economica (soprattutto in agricoltura)
siccità
Oltre la siccità. Abbandonare il dirigismo in agricoltura
Crisi ucraina e sicurezza alimentare
L’agricoltura biologica e il disegno di legge 988

9 Responses

  1. Ugo

    Io ho il problema opposto. Sui miei campi coltivo soia, ma l’anno scorso ho avuto un raccolto miserrimo a causa di stormi di piccioni che si pappavano le piante non appena spuntavano. Purtroppo la soia viene seminata e germoglia fuori dalla stagione venatoria, altrimenti i cacciatori li avrei chiamati io.

  2. Giordano Masini

    Il problema dei danni procurati dalla fauna selvatica alle produzioni agricole è un altro aspetto dello stesso problema (dalle mie parti i danni maggiori li fanno i cinghiali). Solo una liberalizzazione dell’attività venatoria potrebbe consentire agli agricoltori di affrontare responsabilmente la cosa.
    Oggi la provincia (parlo del mio territorio, la legislazione in materia varia da regione a regione) usa parte dei fondi provenienti dalle licenze di caccia per indennizzare (spesso inadeguatamente) i proprietari delle colture danneggiate, dando così per acquisito che la fauna selvatica “appartenga” ai cacciatori.

  3. mauretto

    Ugo :
    Purtroppo la soia viene seminata e germoglia fuori dalla stagione venatoria, altrimenti i cacciatori li avrei chiamati io.

    L’articolo fa riferimento anche a questo… il proprietario privato gestirebbe un proprio calendario venatorio (e suppongo anche le specie cacciabili). Forse, però, ci arebbero dei problemi a far sapere ai passanti l’inizio della stagione!
    Aggiungo che una volta che mi sono trovato a passeggiare per boschi ad ottobre non mi sentivo molto tranquillo sentendo le schioppettate tutte attorno…

  4. bebop

    Il signor Masini ritiene il diritto di proprietà sui propri terreni “estendibile”. Seguendo questo tipo di ragionamento, egli potrebbe reclamare diritti su qualsiasi cosa si trovi al di sopra ed al di sotto dei suoi terreni (uno spicchio di sfera di raggio infinito).

    La cosa è naturalmente assurda e nessuno stato attribuisce tali diritti ai cittadini. Quando egli (o i suoi antenati) hanno comprato i terreni (con una scrittura privata, probabilmente), sapevano di non godere, assieme alla proprietà, del diritto di impedire l’accesso ai cacciatori. Sapevano anche che la selvaggina che si trova sui loro terreni non “appartiene loro” (come scrive il signor Masini).

    Essa appartiene ai cittadini, che la cacciano liberamente (seguendo le norme che lo stato stabilisce affinché tale caccia sia sostenibile).

  5. Willow

    Trovo del tutto pertinenti, le osservazioni del post. Va però fatta chiarezza.
    Il motivo per il quale al cacciatore è consentito l’accesso a fondi che non siano fondi chiusi è diretta conseguenza del fatto che, come dice bibop, in Italia (unico, in assoluto, paese europeo ad adottare questo principio) la selvaggina è “patrimonio indisponibile – cioè, non vendibile – dello stato. Quindi, la selvaggina non fa parte delle proprietà del fondo.
    Pertanto, il cacciatore ha diritto ad entrare (rispettando culture, ecc. ecc.), ed a prendersela (se ci riesce…).
    In tutti i paesi europei (Francia e Germania sono casi che conosco direttamente), la selvaggina è di proprietà del proprietario del fondo, che decide autonomamente se e quando venderla ai cacciatori, che sono ammessi nel suo fondo nominalmente (quindi, solo alcuni per ogni fondo).
    Di fatto, tutto il territorio nazionale francese o tedesco (singolarmente in caso di fondi molto ampi, uniti in consorzi – distretti – in caso di piccole proprietà di terreno) si trasforma in un’enorme riserva di caccia, ma, vista l’estensione e la disponibilità di terreno (tutti i proprietari sono felici di consentire una caccia regolata e rispettosa all’interno del proprio terreno, sia per il contenimento delle specie, sia perchè vendono le quote), il costo di associazione a distretti o riserve è irrisiorio, sostanzialmente pari o inferiore al costo delle tasse che si pagano annualmente in italia.
    Principali oppositori all’adozione di questo principio (cioè di modificare lo status della selvaggina) sono proprio gli ambientalisti nostrani, in modo particolare le frange più estremiste. Chiedetevi perchè?
    Per onestà devo però dire che anche molti cacciatori italiani (categoria di cui sono orgoglioso di fare parte, quella dei cacciatori) avversano una possibile adozione di questa norma, perchè varie ragioni che rispetto: non ne hanno capito la portata, non fa parte del dna culturale del cacciatore italiano, ma, soprattutto, hanno paura che si trasformi nell’ennesima fregatura per la categoria (in assoluto la più bistrattata in italia, pur essendo formata da gente con la fedina penale che sa di bucato, visto che gli è stato concesso un porto di armi). Su quest’ultimo punto, non so dargli torto.
    Sta di fatto che però questa modifica normativa, che sarebbe a mio avviso rivoluzionaria, in positivo, per la gestione dell’ambiente in italia (è un tema a profondo carattere scientifico, che va trattato secondo i dettami della scienza applicati seguendo la via maestra del buon senso – non è di certo questa la sede), è l’unica, ripeto l’unica sul cui contrasto gli ambientalisti più estremisti si trovano daccordo con una fascia ampia di cacciatori…

    Saluti, e grazie per l’ospitalità

    Francesco

  6. Giordano Masini

    …Siamo al socialismo venatorio!

    Quanto a ciò che succede negli altri paesi, suggerirei cautela. Il diritto di accesso garantito ai cacciatori nei fondi privati è una esclusiva del nostro paese, grazie al seguente articolo del codice civile:
    « Art. 842 Caccia e pesca – Il proprietario di un fondo non può impedire che vi si entri per l’esercizio della caccia, a meno che il fondo sia chiuso nei modi stabiliti dalla legge sulla caccia o vi siano colture in atto suscettibili di danno. Egli può sempre opporsi a chi non è munito della licenza rilasciata dall’autorità. Per l’esercizio della pesca occorre il consenso del proprietario del fondo »

    E’ un’articolo di legge che, sebbene già in vigore quando ho acquistato o ereditato i miei terreni, è palesemente contraddittorio e discriminatorio già nella sua formulazione.

  7. bebop

    Più che di socialismo venatorio, parlerei di libertà venatoria.

    P.S. non sono un cacciatore, né un socialista.

Leave a Reply