24
Apr
2009

Rosso porpora

I giornali scrivono oggi che il Papa avrebbe finalmente pronta quell’enciclica sociale di cui si parla da che è uscita “Deus Caritas Est”. L’uscita è fissata per il prossimo 29 giugno. Fra gli altri, si dedica al tema sul Riformista Paolo Rodari, che è un attento conoscitore dei flussi bidirezionali fra Vaticano e palazzi della politica. L’articolo di Rodari si intitola “Bersani, Tremonti e il nuovo club degli antiliberisti”. Si fa riferimento a due recenti occasione seminariali: un evento Aspen, al quale ha partecipato il cardinal Bagnasco. E il dibattito di Nens cui è intervenuto il cardinale Silvestrini, vecchia volpe della prima repubblica mai finita in pellicceria. Sull’enciclica “sociale” ovviamente aleggia l’ombra del cardinale Renato Martino, noto ai più per alcune uscite molto discusse in tema di politica internazionale e affezionato nemico dell’economia libera. Martino avrebbe dovuto incontrare egli stesso Tremonti nei giorni scorsi. Che cosa è emerso da questi dibattiti? La convinzione che

riflettere sulla crisi e sul modello di sviluppo economico che l’ha provocata, significa in qualche modo affondare il colpo su quella che Bersani ha chiamato «egemonia neoliberista». Un’egemonia che ha provocato lo sfacelo attuale. Un’egemonia che trova nella visione sociale cattolica un suo naturale nemico.

Ai politici piace fare i filosofi morali (pensiamo agli ultimi seminari organizzati da D’Alema con la sua Fondazione Italianieuropei), ai cardinali evidentemente piace fare gli economisti. Non stupisce che il cardinal Bagnasco faccia presente all’opinione pubblica le esigenze degli ultimi. E’ un po’ diverso che egli proponga una “cabina di regia”, cioè scelga la via della pianificazione pubblica degli interventi di solidarietà anziché quella della valorizzazione delle capacità d’azione, autonoma, libera e per questo autenticamente solidale, della società civile.
Personalmente ho un po’ nostalgia del Cardinal Ruini che, certo: fra mille cose, faceva uso della sua notevole influenza anche per promuovere l’adozione del buono scuola – dando espressione a una domanda di libertà educativa e religiosa. In generale, la Chiesa di quegli anni, un po’ per la caduta del comunismo, un po’ per il carisma di Giovanni Paolo II, pareva in generale più interessata a capire il capitalismo moderno, che a emettere giudizi affrettati. I quali, beninteso, non sono mancati. Ma il trend di lungo periodo sembrava essere un altro.
La Chiesa fa parte della società, e non c’è da stupirsi se in una società che ormai non ha più pudore nel fare l’apologia dell’economia di piano anche la Chiesa sia sempre più socialista. Ma si possono aggiungere due considerazioni. In primo luogo, la Chiesa di oggi ha un rapporto diverso con la politica italiana, da quello che aveva durante il precedente Papato. Il senso dei ruoli era diverso, e sia detto non per fare propaganda. Tuttavia, mi pare pacifico che la Chiesa non dovrebbe contraddistinguersi per l’avere un’agenda politico-civile, quanto per una proposta di vita nella quale la politica non è certo la dimensione più importante. Non mi permetterei certo di suggerire che questo sfugga al Pontefice attuale. Eppure la goffaggine (o la spudoratezza) dei suoi collaboratori che gestiscono le relazioni coi Palazzi romani, spesso porterebbe ad immaginarlo.
In seconda battuta, fa specie che “l’organismo mondiale che possiede la maggiore accumulazione di esperienze organizzative e propagandistiche” (Gramsci) si accodi speditamente ad analisi così abborracciate come quelle fatte proprie da questo “club degli antiliberisti”. C’è da preoccuparsi?

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