5
Ago
2016

Rifiuti: i partiti litigano, i pm indagano, la TARI sale, ma nessuno lavora alla soluzione

La politica sembra occuparsi dei rifiuti urbani solo per rinfacciarsi l’un contro l’altra parte interessi indicibili.  A Roma, si fa prima a dire che cosa dell’operatività, gare, gestione, assunzioni e collaborazioni dell’AMA non sia sottoposta a inchieste della Procura e dell’ANAC, piuttosto che il contrario. E intanto, dietro le coltri fumogene e le accuse incrociate, l’Italia resta sui rifiuti un paese largamente incivile, inquinatore, e distruttore di valore (oltre che, troppo spesso, corrotto). Sono disposto a scommettere però che agli italiani importi prima sapere oggi entro quando e come risolvere il problema, che aspettare tra anni le sentenze in giudicato del magna-magna sui rifiuti.

Piemonte, Emilia Romagna: in sintesi, è al Nord che continuano ad andare, anno dopo anno, centinaia di migliaia di tonnellate di rifiuti che il Centro Sud non riesce a trattare e riciclare.Così scrivono in molti.  Ma detta così è una generalizzazione ingiusta. Sono i dati – raccolti certosinamente in 350 pagine dal meticoloso rapporto annuale dell’Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca Ambientale – a comprovare che l’Italia dei rifiuti in realtà è a pelle di leopardo: in questi anni c’è chi ha fatto meglio anche nel Centro e al Sud. E quanto a ciò che servirebbe, lo sappiamo benissimo perché ancora una volta i dati lo dimostrano, impietosamente.

Il problema vero sono le resistenze, di sindaci di grandi città e di giunte regionali, a realizzare davvero gli impianti che in molte parti d’Italia continuano a mancare per chiudere il ciclo del trattamento, cioè per evitare danni ambientali e insieme guadagnarci economicamente, invece di lasciarlo fare ad altri. Sui processi tecnologici e i rischi per trattare tutti i diversi segmenti di materiali che confluiscono nei rifiuti urbani, girano da anni allarmismi demagogici. Alimentano da una parte il miglior terreno per continuare a usare disastrose discariche senza rifiuti pretrattati, al fine di diminuirne la frazione umida e renderli biologicamente stabili, discariche che sono bombe a cielo aperto e per le falde freatiche. Dall’altra, è così che si crea spazio per le ecomafie (che insistono però soprattutto sui rifiuti industriali).

Diamo prima un occhio a come siamo messi in Europa, come Italia. Malino: mentre in Germania, Svezia, Olanda, Danimarca, Austria la percentuale del totale dei rifiuti urbani che finisce in discarica oscilla tra lo 0% (tedesco) e il 5% massimo, da noi le discariche si vedono conferire ancora il 37% dei 30 milioni di tonnellate prodotti annualmente in Italia. Abbiamo una quota di rifiuti inceneriti di poco superiore al 20%, rispetto a poco meno o poco più del 50% di Svezia, Belgio, Olanda e Danimarca. Abbiamo fatto grandi passi avanti sul riciclaggio delle materie, che arriva al 25% (ma rispetto al quasi 50% tedesco), e ce la caviamo abbastanza bene come quota avviata al compostaggio cioè ai trattamenti bio-meccanici, poco meno del 15%, di poco inferiore alla quota tedesca mentre l’Austria è al 35%. Già da questi dati grezzi si inferisce un primo elemento: per azzerare le discariche servono molti più inceneritori (temuti come la peste dalla demagogia, che ne ignora le nuove tecnologie di recupero dei prodotti di risulta).

Addentriamoci sulla pelle di leopardo italiana. Cominciamo dalla raccolta differenziata. L’obiettivo per fine 2012 fissato nel 2006 di giungere a un 65% nazionale di raccolta differenziata si è rivelato illusorio: siamo ancora 20 punti sotto, con il Nord sopra il 50%, il Centro al 40%, il Sud poco oltre il 30%. Ma rispetto al 40% del Centro il Lazio fa molto peggio, solo il 32% rispetto al 57% delle Marche. E al Sud la Campania registra un 47%, rispetto al 34% della Liguria al Nord, o al 26% della Puglia, al 18% della Calabria e al terrificante 12% della Sicilia.

La provincia di Benevento è la settima in Italia per percentuale più elevata di differenziata, al 68.9% del totale dei rifiuti urbani prodotti. La provincia di Salerno sta a quasi il 58%, 4 punti più di quella di Milano e 10 meglio di quella di Bologna. E’ la provincia di Napoli che abbassa la media campana, col suo 41%. In Puglia, Brindisi e provincia stanno al 48%, mentre Taranto e Lecce sotto il 20%. In Sicilia è quasi dovunque disastro: Palermo provincia fa differenziata per meno dell’8%, Messina poco sopra, Siracusa poco sotto, Enna addirittura al 6%. Le province di Nuoro e Oristano, sopra il 60%, sono Scandinavia in confronto.

Se guardiamo alle 13 Città metropolitane italiane, Roma è la peggiore del Centro Nord col suo 33%, di 8 punti inferiore a Napoli, Palermo la peggiore del Sud col suo 7,8%. Ma attenzione: se dall’ambito della Città Metropolitana napoletana scendiamo invece al solo Comune di Napoli, il dato della differenziata si dimezza, scende al 22%. A Napoli l’emergenza resta eccome.

Quanto al raggiungimento entro il 2016 dell’obiettivo dello smaltimento in discarica dei rifiuti biodegradabili al 35% di quelli prodotti nel 1995, fino alla totale eliminazione dalla discarica dei rifiuti organici non trattati, anche su questo siamo ancora lontani. Per tipo di impianti, quelli di compostaggio in Italia al 2015 erano

279, di cui 179 al Nord, 44 al centro e 56 al Sud. In Campania solo 5 con 60 mila tonnellate trattate, rispetto ai 9 della Puglia con 268mila tonnellate, il Lazio incredibilmente solo 218mila tonnellate rispetto a 1,4milioni della Lombardia.

Gli impianti di TMB, cioè di trattamento meccanico-biologico, erano in Italia l’anno scorso 117, di cui 38 al Nord, 32 al centro e 47 al Sud. Non è un buon dato, al contrario. Mentre al Nord la quantità di rifiuti avviati a TMB decresce a ritmi del 7% annuo, al Centro e al Sud aumenta del +2,9% e del +2,1%, perché questo tipo di impianti rappresentano il modo per ovviare all’emergenza, senza chiudere il ciclo e con maggiori rischi ambientali, visto che la frazione umida e quella di percolati resta elevata. Oltre il 50% di queste lavorazioni, infatti, finisce poi in discarica. Al Sud, meno del 15% all’incinerazione e meno dell’1% in recupero materiali.

Se infine andiamo agli inceneritori, erano 51 in esercizio in Italia l’anno scorso: 28 al Nord, 13 al centro, solo 10 al Sud. Il Nord pesa per il 70% del totale nazionale delle quantità avviate a inceneritori, la Campania per avere un raffronto sta al 13,3% del totale dei suoi rifiuti rispetto al 36% della Lombardia. Si tenga conto che gli inceneritori hanno generato nel 2014 4,6 milioni di MWh di energia elettrica, e 1,6 milioni di MWh di energia termica. Non averne, significa essere anche più dipendenti energeticamente.

Ed eccoci alle discariche: nelle 55 censite nel Sud (quelle ufficiali) nel 2014 sono state avviate l’esatta somma , 4 milioni e mezzo di tonnellate di rifiuti, del Nord e del Centro insieme. Serve a poco consolarsi col fatto che in Campania il 45% dei rifiuti in discarica viene dichiarato pretrattato, rispetto a poco più di 0% della Puglia, perché in Val d’Aosta la percentuale è del 100%. Qui i dati regionali vanno “pesati” per via del turismo domestico dei rifiuti: il 47% dei rifiuti in discarica della Calabria sale in realtà al 70% tenendo conto di quelli “esportati”. Al contrario il 75% della Puglia scende al 53%, al netto dei rifiuti in discarica importati da Campania, Lazio e Calabria.

In conclusione: laddove esiste un ciclo integrato dei rifiuti grazie ad un parco adeguato di impianti, si riduce l’uso delle discariche. In Friuli Venezia Giulia lo smaltimento in discarica è ridotto al 6% del totale di rifiuti, in Lombardia al 7%, in Veneto al 12%. Nelle stesse regioni la raccolta differenziata è pari rispettivamente al 60,4%, al 56,3% ed al 67,6%, e consistenti quote di rifiuti vengono trattate in impianti di incenerimento con recupero di energia. In Sicilia, i rifiuti urbani smaltiti in discarica rappresentano ancora l’84% del totale. L’incenerimento non è un disincentivo alla raccolta differenziata, come risulta evidente in Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna e Sardegna. In queste regioni, infatti, a fronte di percentuali d’incenerimento tra il 40 e il 20% del totale dei rifiuti prodotti, la differenziata sta sempre tra il 60 e il 50%.

La sfida per il miglioramento è quella tra i 13,5 milioni di tonnellate della raccolta differenziata su 30 milioni, e i 12 milioni di tonnellate in discarica. Più sale la quota dei 5 milioni agli inceneritori, più scende quella in discarica. Ma è una formula che la politica non riesce a sostenere. Preferisce le polemiche su chi è più o meno vicino agli interessi di chi gestisce gli impianti. Mentre nel frattempo la TARI è sempre salita.

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1 Response

  1. PIERGIORGIO ROSSO

    “Più sale la quota dei 5 milioni agli inceneritori, più scende quella in discarica.” Si potrebbe dire simmetricamente: “più sale la quota della raccolta differenziata, più scende …..”. La scelta dell’articolista è dunque politica e ne prendo atto. Faccio notare però che un paladino del “mercato libero” in questo modo si contraddice: è ben noto – o dovrebbe esserlo – che nessun – NESSUN – inceneritore/termovalorizzatore – sia pubblico che privato – si sostiene economicamente con la sola tariffa di conferimento del combustibile derivato, senza un congruo incremento del prezzo di ritiro dell’energia elettrica prodotta (ca. tre volte il prezzo di mercato, se non sbaglio). Incremento pagato dai consumatori di e.e. nelle loro bollette. A quando un servizio sull’industria del riciclo materiali – non solo imballaggi – che oltre a ruotare attorno ai consorzi CONAI – che si sostengono con il “contributo ambientale” che paghiamo all’acquisto di ogni imballaggio – da qualche anno si sostiene interamente su prezzi di mercato?

    Piergiorgio Rosso

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