23
Mar
2011

Parmalat, due debolezze e il misogallismo

Per capire il decreto del governo che “compra tempo” contro le scalate ostili straniere alle società italiane, bisogna fare un passo indietro e parlare di Parmalat. Fino a quest’oggi, nella storia italiana evocava tre cose ben distinte.

I lunghi anni di gestione del patron Calisto Tanzi, riverito come uno degli industriali di riferimento della solidità e serietà dell’impresa tradizionale italiana, vicinissimo al potere democristiano ma contemporaneamente schivo e composto. In apparenza, però.

Poi l’erompere della verità , cioè il peggiore scandalo finanziario dell’intera storia italiana, con 14 miliardi di euro di finta liquidità e attivi patrimoniali, dove per “finta”bisogna proprio intendere l’aggettivo alla lettera, cioè fabbricata con fotocopiatrice e ciclostile, ma asseverata dalle maggiori banche e agenzie di rating del mondo. La colossale fregatura finì ad azionisti e obbligazionisti, perché le banche prima del crac avevano riversato i titoli ai rispamiatori ordinari, e di qui la lunga coda dei processi per il patron, i suoi familiari e amministratori, e per le banche stesse.

Infine, la terza fase, quella degli ultimi anni. Che ha visto il rilancio, la difesa e la crescita di una nuova Parmalat, linda e pinta nei suoi conti finalmente trasparenti. Tornando all’utile, a oltre 4 miliardi di fatturato, e ad avere la cassa piena anzi pienissima, con un miliardo e mezzo di liquidità da investire per crescere. Tutto questo perché a guidarla è stato un manager galantuomo a prova di bomba, Enrico Bondi. Un mastino della guerra alle banche che avevano piazzato i bond, chiamate con incredulità e fastidio crescente dei banchieri ad azioni revocatorie e risarcitorie, in Italia come in America e nel resto del mondo, cavandone dai forzieri oltre 2 miliardi di euro. E con uno statuto che impegna l’azienda a ridare il 50% degli utili sempre ai risparmiatori fregati, fino a piena oblazioen del danno.

Con Bondi ho perso una scommessa, perché all’inizio del suo mandato, conoscendone la determinazione e in un mondo in cui i banchieri sono il potere vero – altroché la politica – gli dissi che non sarebbe riuscito mai a riprenderne neanche uno, di miliardo. Alla prima o alla seconda assemblea le banche avrebbero avuto buon gioco a organizzargli contro un po’ di voto frazionato nelle mani dei tanti fondi presenti nel capitale. Visto che la nuova Parmalat era ed è l’unica grande quotata in forma di public company, cioè a capitale diffuso e senza soci sindacati di controllo, mandarlo a casa sarebbe stato facile. E’ una delle scommesse perse con più felicità in tutta la mia vita.

In effetti, rinnovo dopo rinnovo, ogni volta il rumor diffuso sul mercato annunciava che questo o quel fondo era pronto a votargli contro e sostituirlo, con la scusa che Bondi era sì un risanatore, ma non sapeva investire la pingue cassa per crescere. Una balla, visto che se Bondi avesse comprato ai prezzi di tre anni fa oggi tutti avrebbero buon gioco a impiccarlo a quell’albero. Ai fondi faceva gola la retrocessione della cassa agli azionisti, e questo è comprensibile. Fatto sta che il copione si è puntualmente ripetuto anche questa volta.

Le banche italiane sono sempre rimaste a guardare, Una di esse – Banca Intesa – in questi anni si è vista spesso accredita dai media dell’intenzione di unire l’addio a Bondi con il matrimonio tra Parmalat e Granarolo, di cui detiene il 20%. Naturalmente, Granarolo non ha i soldi per comprare Parmalat: ed ecco evocare ogni volta il fantasma di quelle fantasmatiche “operazioni di sistema”, alla Alitalia per intendersi, in cui con la scusa dell’italianità una banca mette in sicurezza e piazza una partecipazione costosa e senza cassa di cui non sa altrimenti che fare. Ma questa volta tre fondi stranieri con circa il 15% del capitale hanno formalizzato una lista diversa, senza Bondi, ma con diversi manager italiani non lontani da Intesa, a cominciare da Enrico Salza.

Tutti, ancora una volta, son rimasti a guardare. Non i francesi di Lactalis, che coi buoni uffici di Societe Generale hanno rastrellato un altro 14% e rilevato il 15% dei tre fondi anti Bondi. Col 29%, e senza obbligo di lanciare Opa che scatta oltre il 29,9%, si portano a casa la maggioranza del consiglio e Parmalat è roba loro, con 1,4 miliardi di spesa e cioè meno della sola cassa dell’azienda.

Lo hanno fatto seguendo le norme del mercato. Approfittando di due debolezze. La prima è l’assenza di privati italiani del settore convinti e pronti a investire almeno un terzo di quella cifra, visto che il resto l’avrebbero messa le banche, a cominciare da Intesa sempre vicina al dossier. Gli ultimi a tirarsi indietro sono stati i Ferrero, quando già però i francesi erano ben avanti sulla loro strada. La seconda è la debole e contraddittoria strategia delle banche italiane stesse, incapaci di vincere l’astio che provano per Bondi.

A quel punto, sarebbe il caso di dire a vacche già fuori dalla stalla, ecco tutti volgersi verso la politica. Possibile che si debba assistere ai francesi di Edf che alla fine si pappano Edison, quando già anni fa il centrosinistra fece una norma ad hoc per fermarli? Possibile che lo stesso avvenga per Parmalat? E meno male che la Consob ha fermato Groupama imponendo loro l’Opa obbligatroria se avessero finanziato il gruppo Ligresti, assicurando ai francesi indirettamente un 5% ulteriore di Mediobanca. E’ rispondendo a questo pressante appello, che ieri Tremonti ha presentato il decreto che si limita a dire che per tenere le assemblee è possibile, anche se già convocate come quella di Parmalat, farle slittare di altri due mesi. Il messaggio ai francesi è chiaro, sono sgraditi. Ma Tremonti ha preso solo tempo, non ha voluto usare l’accetta che esporrebbe l’Italia a Bruxelles. E’ una palla rilanciata a Intesa e Unicredit insieme. Per vedere se si riesce ad evitare di apparire come coloro che cambiano le regole a gioco in corso, cosa che esporrebbe comunque a una non esaltante figura. Della quale mi rimprometto di giudicare quando l’avrò capita nel merito. Al momento, anche adottando una legge “alla francese” , con indicati ben 11 setori strategici in cyui prescrivere il placet preventivo per una scalata straniera, il placet è al lancio di Opa. Cosa di cui Lactalis non avrebbe alcun bisogno, perché col suo 29% attuale controlla Parmalat assicurandosene statuto alla mano la maggioranza del Cda.

Chissà se il capitalismo banco-finanziario italiano avrà la forza e l’unità – invece di continuare a dividersi in aspre guerre per bande – di fare un bell’affare. Che certo oggi costerà più di quel che sarebbe costato senza attendere che i francesi facessero il loro mestiere. Ma un bell’affare resta, la nuova Parmalat di Enrico Bondi. Un affare ancor migliore, se la politica non si mette a costruire arrocchi a favore di capitalisti senza capitale e banchieri senza visione.

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16 Responses

  1. ALESSIO DI MICHELE

    in un mondo in cui i banchieri sono il potere vero – altroché la politica –

    Tremonti ha presentato il decreto che si limita a dire che per tenere le assemblee è possibile, anche se già convocate come quella di Parmalat, farle slittare di altri due mesi. Il messaggio ai francesi è chiaro, sono sgraditi. Ma Tremonti ha preso solo tempo, non ha voluto usare l’accetta

    La politica non ha il potere ? Per fortuna: se no avremmo sfidato i francesi a Fornovo ?

  2. LucaS

    Alcune osservazioni:

    1-Non se ne può più di queste maledettissime “operazioni di sistema” che non sono altro che un modo elegante di vendere fregature! Banca Intesa per non svalutare i suoi crediti verso AirOne ha fatto la fatidica “operazione di sistema” Alitalia a spesa dei contribuenti, adesso sempre banca Intesa vuole fare la stessa cosa unendo Parmalat, societa solida e redditizia, a Granarolo che non lo è affatto, in modo da ridurre la sua esposizione verso Granarolo a spese degli azionisti di Parmalat, ma grazie a dio gli è andata male! E’ ora di finirla! Se Banca Intesa ha dei problemi sono cavoli suoi, non può sempre scaricarli sugli altri e passare pure per patriottica!!! Al massimo se non vogliono svalutare si inventino qualche avviamento qua e là, d’altronde le regole contabili le hanno modificate apposta per non costringere le banche a ricapitalizzare… e poi si meravigliano quando ci sono i casi Lehman..
    2-Tutti i manuali di finanza aziendale dicono che la struttura finanziaria della Parmalat era subottimale/inefficiente! Tanto per cominciare non avendo debiti si riducono i flussi di cassa per gli azionisti (per effetto della deducibilità degli interessi passivi e del valore dello scudo fiscale) abbassando di conseguenza il valore delle azioni! Secondariamente detenere tanta liquidità è diseconomico: perchè rende meno del WACC, quindi o la si investe se si hanno buoni progetti o la si restituisce ai soci! Terzo: data la natura difensiva del business agroalimentare non era necessario detenere cosi tanta liquidità durante la crisi a fini precauzionali: ok non avere una leva troppo alta ma neanche l’estremo opposto! Da ultimo: dove sta scritto che Bondi poteva comprare solo e soltanto 3 anni fa? Poteva comprare anche dopo..ad esempio 2 anni fa quando le borse erano crollate ma era abbastanza prevedibile che la gente avrebbe comunque continuato a bere latte e mangiare yogurt!
    In un settore competitivo, ad economia di scala notevole, con concorrenti molto più grandi, diversificati e internazionalizzati con i prezzi ai minimi storici e abbondante liquidità forse comprare non era proprio una follia….infatti Lactatis compra oggi con prezzi molto più alti e credo conti di guadagnarci! Conclusione: Tanti eccellente risanatore, meno bene come amministratore.
    3-Invece di un articolo leggerino come questo mi sarei aspettato ben altra cosa, maragi un attacco a testa bassa contro la politica, nel migliore dei casi demenziale, di Tremonti. Qualcuno vuole finalmente investire in Italia e lui anzichè facilitarli li blocca, tanto si sà che abbiamo già una valanga di investimenti esteri netti che neanche la Cina… Complimenti! Qualcuno vuole pagare di più le azioni Parmalat detenute in gran parte dai vecchi obbligazionisti fregati, e magari lanciare un opa a beneficio di tutti i soci, e non solo dei fondi, e lui fa un decreto per impedirlo…Ricomplimenti! bel modo di tutelare i risparmiatori fregati! Risultato: i fondi hanno incassato il premio di maggioranza relativa e i piccoli sono rimasti al verde, adesso ringraziate il “genio” Tremonti! Tremonti vuole fare qualcosa che va esattamente contro i principi fondamentali del libero mercato! Cos’altro deve fare per meritarsi una fievole critica? Fare la patrimoniale che non ha escluso di fare? alzare le tasse come ha già fatto? alzare il debito come ha già fatto? non tagliare la spesa pubblica come ha già fatto? cancellare alcune deboli liberalizzazioni come ha già fatto? …. Attendo se possibile una risposta. PS Sono proprio curioso di vedere come farà Tremondi a classificare la produzione di latte e yogurt fra le “indudtrie strategiche”… e le mozzarelle poverette vogliamo lasciarle fuori? Siamo di fronte a uno psicopatico che passa per genio volete capirlo?!
    4-Dalla parte finale del suo articolo non capisco se spera che le banche facciano un’opa, non si capisce bene se in proprio (=coi soldi dei correntisti) o con qualche alleato industriale (quale?). Se non l’hanno fatta prima quando costava meno e l’azionariato era polverizzato non si capisce prechè dovrebbero farla oggi che il prezzo è salito e un azionista di riferimento già c’è! Per ottenere il consenso di Lactatis dovrebbero inoltre aumentare il prezzo perchè Lactatis per rinunciare ad una operazione industriale vorrà certamente guadagnarci.. E poi chi gestirebbe Parmalat? Le banche che non sono nemmeno capaci di gestire il loro core business o Ferrero che ha un’attività che non centra molto col business di Parmalat? E’ molto meglio che Parmalat la gestisca Lactatis, nell’interesse dei soci e degli stakeholders! Lactatis è un’azienda seria, grande, competitiva in grado di assicurare a Parmalat le economie di scale, l’accesso ad altri mercati e le risorse per competere ad armi pari con concorrenti molto più grandi di lei!

  3. LucaS

    Correzione: Bondi (e non Tanzi ovviamente) eccellente risanatore, meno bene come amministratore.

  4. jonas

    Per la prima volta devo dissentire da Oscar. E concordo con Lucas.

    Aggiungendo che :

    1. Bondi è stato messo in Parmalat dalle banche. Adesso lo sostiene Banca Intesa, mediobanca, generali, etc. Non mi sembra sia cambiato molto il panorama.

    2. Ha fatto un ottimo lavoro grazie ad una legge che il governo gli fece e cambiò per ben 3 volte. E per l’ottimo lavoro è stato ricompensato bene (32 milioni).

    2. Chi ha fatto plusvalenze miliardarie nella conversione obbligazioni vecchia parmalat in azioni nuova parmalat? Magari le stesse banche che con l’altra mano transavano?

    3. I risultati industriali degli ultimi anni di Parmalat sono pessimi, specie in Italia, in altre parole diremmo un’azienda ferma quando le altre , se non corrono, almeno camminano.

    4. I francesi si comprano Parmalat per meno di quanto avrebbero speso per yoplait anche e soprattutto a causa della sottovalutazione dell’azione che è colpa dell’attuale management.

  5. luigi zoppoli

    Scusi ma a che titolo le banche dovrebbero interessarsi di Parmalat? Davvero non riesco a capirlo. Quel che emerge dalla vicenda oltre all’intervento improprio del governo a cambiare regole durante una partita da cui dovrebbe star fuori, è che non esistono in Italia imprenditori degni di tal nome disposti ad investire con soldi veri neppure per una Parmalat gonfia di liquidità. Soprattutto nel caso di Banca Intesa, quale azionista di Granarolo sarebbe la replica dell’operazione in conflitto di interessi Alitalia-AirOne. Pensare che agli occhi di investitori ed imprese straniere queste miserevoli manovre italiote non siano ancora più dissuasive, è ingannarsi. Stiamo avviandoci verso una vera e propria autarchia banco-centrica.

  6. PIER LUIGI

    Buongiorno. Capisco che a nessuno piaccia vedere diminuite le proprie risorse…però aumentare ancora le accise sul carburante…uffa!!!!!

  7. Giovanni Bravin

    Oggi, ho ascoltato saltuariamente la trasmissione 9 in punto, e non so se è stato approfondito questo argomento. Parmalat è stata prima sanata con soldi pubblici, attraverso il Governo Italiano, poi messa sul mercato. Lactalis si è fatta viva solo adesso. Dove sono le cordate di finanzieri italiani, che sono state pronte ad acquistare Alitalia, dopo che è stata sanata di tasca nostra?

  8. Andrea Chiari

    Mi avevano raccontato che nella Unione Europea le protezioni nazionaliste comunque mascherate non fossero possibili e io ingenuo ci ho creduto. Ma che razza di liberalismo c’è in Europa? Mi sento più liberale io che sono socialista!
    Riguardo ai crack segnalo che nella città di Reggio Emilia si sono persi più soldi con le azioni della Cassa di Risparmio diventate carta straccia dopo l’assorbimento in Unicredit e pasticci vari che con il caso Parmalat. Curioso (e forse segno di benessere) che pochi ne abbiano parlato e che il disastro sia stato assorbito dalla città apparentemente senza traumi. Però molti risparmiatori hanno perso tutto. Credo che in privato abbiano pianto.

  9. Luciano Pontiroli

    Non mi risulta che Parmalat sia stata risanata con interventi pubblici, piuttosto con la spremitura delle banche complici di Tanzi.
    In ogni caso, adesso si è mossa la Procura di Milano. Attendo i commenti salaci dei frequentatori del blog.

  10. nicole kelly

    Il capitalismo italico non interviene per una semplice ragione: esclusi un po’ di soggetti che si contano sulle dita di una mano, il resto degli italici tycons non ha capitali da investire e vivono di molta apparenza data anche da giornali e giornalisti prezzolati e/o incompetenti che, proprio come lo scandalo Parmalat ha dimostrato, non si accorgono (e non scrivono!) di cose che conosce qualsiasi medio-piccolo operatore finanziario.
    Questo è un paese di straccioni con le pezze al culo, a comiciare da uno stato con 1.900 miliardi di debiti.

  11. Giovanni Bravin

    @nicole kelly
    D’accordissimo col suo post! Mi preoccupa il fatto che i “pochi” finanzieri italiani rimastici,siano già stati utilizzati per comprare Alitalia, che è stata sanata e ripulita con interventi governativi, cioè soldi nostri…..

  12. Giovanni Bravin

    @Luciano Pontiroli
    Basta digiatre “Parmalat ammortizzatori sociali” su un motore di ricerca, e si vedrà dove sono stati impiegati nella precedente gestione fallimentare, e poi sanata con interventi governativi, cioè usando soldi pubblici, mica hanno usato soldi loro!
    Non crede che le banche non siano tanto filantropiche ma spalmino i loro interventi sui piccoli correntisti?

  13. Luciano Pontiroli

    @Giovanni Bravin
    Bisogna capire quello che si legge. La procedura concorsuale denominata “amministrazione straordinaria” è, come il fallimento, fondata sull’espropriazione dell’imprenditore; dal fallimento si distingue perché, invece di procedere alla liquidazione degli assets, mantiene l’impresa in attività allo scopo di venderla come un “going concern”, come dicono gli inglesi.
    Gli ammortizzatori sociali non sono un aiuto pubblico all’imprenditore espropriato, ma un soccorso ai lavoratori.

  14. LucaS

    X Luciano Pontiroli

    Il punto non è che non sono andati all'”imprenditore espropriato” (pessima espressione: in realtà è l’imprenditore ad aver espropriato i soci di minoranza e i creditori.. cmq ho capito quello che voleva dire, diciamo all’imprenditore uscente tanto per capirci).
    D’altronde ci mancherebbe altro che quei soldi fossero finiti a Tanzi! Il punto è un altro : questi soldi lo stato li ha pagati e sono finiti ai dipendenti. In caso contrario i “nuovi imprenditori” avrebbero probabilmente sostenuto quell’onere riducendo quindi il valore del going concern… Conclusione: quei soldi pagati dallo stato hanno fatto aumentare, magari indirettamente, il going concern, beneficiando direttamente i dipendenti e indirettamente i creditori-nuovi soci che si sono trovati con un going concern artificialmente più elevato. Per questi motivi concordo con Bravin, però non sono un esperto di diritto, mi corregga se ho sbagliato.

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