15
Dic
2014

Lo sciopero generale politico, una malattia che ha 110 anni

Dal punto di vista della Cgil lo sciopero generale di venerdì è stato un successo, perché stavolta nelle diverse piazze italiane i manifestanti erano incazzati, gli scontri ci sono stati, D’Alema è stato importunato. E subito c’è stato chi ha iniziato a scrivere “Renzi stia attento, se il Pd si mette contro questo pezzo del suo popolo non è più questione di Jobs Act”.

E’ vero. La concertazione resta morta. Ma lo sciopero generale di venerdì è stato politico. Rivolto a una scommessa che ormai non conosce mezze misure. Renzi e chi lo segue devono andare a casa. Devee ssere sconfitto il suo metodo di non codecidere prima con la Cgil (lasciamo perdere la Uil di Barbagallo accodatasi, e che ha ridicolmente invocato la Resistenza). E meglio ancora, se lo si dovesse fare sull’onda dell’instabilità greca, se magari il 29 dicembre il premier ad Atene non riuscisse a eleggere un nuovo capo dello Stato e alle elezioni anticipate il programma di Syriza di ripudio del debito pubblico facesse ballare l’euro e per prima l’Italia. Perché la Cgil è pronta a dire che la colpa è di Renzi, se a quel punto anche in Italia bisogna pensare a pezzi di sinistra che, come Syriza in Grecia o Podemos in Spagna, mangino il tradizionale elettorato socialista in nome del no a tutto. Gad Lerner, ieri all’assemblea Pd, ha avuto la sincerità di drlo, che anche nella minoranza Pd la si pensa così.

Il nodo dello sciopero generale di venerdì è tutto qui. Non conta nulla l’inevitabile querelle su quanti vi hanno partecipato, e certo non è stato il 60% stimato e dichiarato dalla Cgil. Il punto è integralmente politico, e con la concertazione morta non c’entra più nulla. Come innumerevoli volte è già capitalo nella travagliata storia della sinistra italiana dai tempi di Filippo Turati, l’ala massimalista sindacale rivendica un ruolo completamente diverso dal trattare sui contratti. Il proprio ruolo, per come lo concepisce e rivendica, è trattare su tutto na nella politica, senza la responsabilità di doversi misurare alle elezioni, ma con potere di veto preventivo e di sanzione popolare ex post.

E’ un problema antico italiano. Contro le pretese di veto politico del sindacato scrissero articoli da ripubblicare, intitolati esplicitamente ”Contro lo Stato sindacale”, figure come Vittorio Emanuele Orlando e Santi Romano, prima del fascismo e sotto Giolitti, che pure al sindacato aveva aperto. Nel 1946, a lavori della Costituente in corso, Ettore Conti scrisse “la decisione par essere quella di aggiungere alla pletorica burocrazia pubblica anche quella sindacale, per continuazione corporativa”. E fu la forza di piazza del primo sciopero generale degno di tale nome nell’Italia del 1904 -110 anni fa! – a convincere Artuto Labriola che l’arma dello sciopero generale politico doveva essere da quel momento brandita come il vero credo del socialismo rivoluzionario.

Visti tali precedenti, è difficile resistere alla tentazione di considerare lo sciopero generale di venerdì, il suo rito e il suo mito, il milletrecentocinquesimo sciopero nel 2014 secondo i dati dell’Autorità di garanzia, se non come una ricorrente pulsione a restare aggrappati a una storia che ad alcuni o magari a molti potrà sembrare luminosa, ma che sempre storia di trapassato remoto è e resta. L’Italia di oggi avrebbe bisogno di un sindacato che tratta nelle aziende localmente turni e orari e più produttività per più salario, che tratta nel pubblico impiego per la mobilità e l’efficienza invece di opporvisi sempre, che impari a trattare in nome di quegli autonomi senza tutele e i dei precari che nel sindacato non ci stanno, e che anzi ne sono vittime storiche: peché l’asimmetria del mercato del lavoro italiano, da vent’anni a questa parte, con chi ha tutte le tutele e chi nessuna, è figlia esattamente della pervicacia con cui il sindacato ha continuato a difendere una vecchia idea di impresa e di lavoro. Vecchia non perché lo diciamo noi: perché lo dice l’evoluzione del mercato e del mondo.

Ora, per Renzi la partita si fa ancora più difficile. Lo sciopero generale ha alzato la sfida puntando alla permanenza in vita stessa di questo governo. Se no, alla sua sconfitta elettorale, spaccando il Pd. Inutile sperare che l’instabilità per Italia ed Europa dietro l’angolo, se in Grecia le cose sfuggono di mano, possa suonare come un invito alla responsabilità sindacale. La colpa è del governo, è ormai la risposta rituale e ripetuta. Ora il governo di colpe ne ha, ma il suo battersi cotnro il potere di veto politico del sindacato è un merito.

Il premier, giovedì sera, facendo il passo indietro sulla prrecettazione nei trasporti – che era dovuta per legge a tutela degli utenti, e nient’affatto in violazione dei diritto sindacali – ha mostrato un primo segno di preoccupato realismo. Difficile dire come finirà. Nel Pd le minoranze vengono ridicolizzate da Renzi, ma la Cgil è altra cosa. Renzi avrà bisogno di pazienza. E speriamo non faccia marcia indietro. Perché è la sua testa, quella che venerdì è stata indicata nelle piazze italiane come la svolta da perseguire.

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4 Responses

  1. ALESSIO DI MICHELE

    La cultura di governo italiana è basata sul “tanti a parlare, facciamo la figura di democratici, la buttiamo in cuffia agli assenti/ai nascituri, la colpa non è di nessuno”. Il governo dovrebbe parlare col capo dello Stato, con le Camere, col Cnel, e con l’ ISTAT, E BASTA; al più trattare coi sindacati solo per il pubblico impiego, cioè come parte e non come arbitro. Da troppo tempo al primo dissidio si corre a farsi arbitrare a Palazzo Chigi, che mette tutti d’ accordo, ovviamente con l’ aiuto del Tesoro. Poi si presentano le leggi ad un Parlamento che le approverà in modo notarile, addirittura con la pantomima di quelli che si astengono ad arte o che si assentano solo al momento giusto. Cioè il governo non governa, il parlamento non parlamenta, i giudici non giudicano: questo è un sistema marcio pure linguisticamente. Vi ricordate quando la Thatcher più o meno disse “fateli scioperare, io ho da governare, non posso perdere tempo coi sindacati propriamente detti, cioè parimenti quelli dei lavoratori o quelli degli imprenditori” ? “C’ è nebbia sul Canale, l’ Europa è isolata”: l’ Italia in particolare è isolata anche quando c’ è il solleone.

  2. ALESSIO DI MICHELE

    @ Filippo: il CNEL è diventato inutile per come è stato gestito e per come è stato fatto diventare il cimitero degli elefanti dei sindacalisti trombati, non direi di natura; anzi, forse è l’ ennesima occasione perduta.

  3. roberto alessi

    Non a tutti è chiaro ma si sta finalmente facendo luce l’evidenza che ogni possibilità di avviare l’Italia verso un cammino di democrazia moderna passa inevitabilmente per le distruzione della CGIL

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