22
Giu
2010

Le Banche, Obama e i falsi miti

Riceviamo da Leonardo Baggiani  (IHC) e Silvano Fait e volentieri pubblichiamo

Il 21 gennaio scorso il presidente USA Obama tenne un discorso sulla sua idea di riforma del sistema bancario. Voglio riprenderne alcuni punti che, benché già discussi a suo tempo, ritengo facciano parte di quegli argomenti evergreen che periodicamente torneranno in auge. Obama, come molti altri anche adesso, incolpava le banche private perché si sarebbero prese troppi rischi investendo soldi dei depositanti, fino a ritrovarsi nei guai; siccome varie di queste banche erano “troppo grandi per fallire” sono state pure salvate dal fallimento con i soldi dei contribuenti (e se si pensa a chi è sia contribuente che depositante…)! Egli si lamentava, come ancora molti si lamentano, che le regole non sono cambiate; il cruccio di Obama era in particolare che le banche possono godere ancora dell’assicurazione dei depositi e di finanza strutturata che nasconde le loro esposizioni, e quindi propose che le banche non investissero più in certi strumenti, rafforzassero la patrimonializzazione (solito mantra…), e siano meno grandi. In tutto questo però andrebbe ricordato che:

  • La finanza strutturata è stata spinta e stimolata dallo Stato stesso: i vari strumenti di cartolarizzazione come i CDO erano ben voluti quando permettevano alle banche di ampliare il monte mutui-casa, ed erano per questo voracemente assorbiti anche dalle para-statali FreddieMac e FannieMae. Questo è da ricordare ogni volta che qualcuno sparerà contro strumenti più sofisticati di finanza come “armi di distruzione di massa”, perché possiamo chiederci chi veramente stimola l’espansione di quel mercato (un esempio: gli Stati spendono sempre di più, e perché i loro titoli a rischio crescente vengano piazzati diviene sempre più necessaria una “assicurazione” sul default, e da qui si finisce ai CDS… e poi qualcuno dice che i CDS danneggiano gli Stati!).
  • Banche meno grandi per aiutare i depositanti-contribuenti attraverso la concorrenza è un’idea solo falsamente liberista. Senza che si capisca perché si crei una certa concentrazione, se per favore politico o superiore imprenditorialità e economicità della gestione, e senza prima verificare l’altezza delle barriere all’entrata e quindi la contendibilità del mercato, tale affermazione è insensata! Tra l’altro, un “oligopolio” non giustificato dall’imprenditorialità ma dal favore politico, fatto ad esempio di concessione discrezionale delle licenze, il problema torna nella presenza statale.
  • Incrementare la patrimonializzazione (mantra di Mario Draghi) non farebbe male (alle banche), ma la misura ottima è incalcolabile, e finché non si comprendono gli squilibri fondamentali da cui si è mossa la crisi non ha senso mettere una toppa qui e una là rischiando di spostare i capitali in modo arbitrario (maggiori capitali nel patrimonio delle banche sono meno capitali altrove, qualcuno deve pensarci, e l’alternativa è che le banche riducano l’attivo, cosa che invece le espone all’accusa di star strozzando l’economia).

Ma arriviamo alla specializzazione bancaria. Questa fu istituita negli USA da Roosevelt nel ‘33 con il Glass-Steagal Act, ritirato nel ‘99 da Clinton, e ora a più riprese riproposta con un formidabile sfoggio di time inconsistency. L’idea è riassumibile anche nelle parole di Obama che ammonì: “alle banche non sarà più permesso di possedere, investire, o sponsorizzare attività di hedge fund, private equity operazioni di trading proprietario per loro proprio profitto scollegato dal servizio ai clienti”; cioè niente “speculazione” in proprio (con in fondi raccolti presso i risparmiatori). Però… tali norme in generali non vanno a vietare il “funding” agli speculatori professionali, e non è una mancanza da poco. Non credo possibile imporre ad un Hedge Fund il divieto di cercare finanziatori via credito diretto (se si imponesse che le attività di trading proprietario venissero realizzate solo con capitale proprio, si arriverebbe solo alla chiusura di mezzo mercato finanziario mondiale con conseguenti effetti sui prezzi di titoli e materie) o emissione di titoli (a meno che non si voglia “violentemente” impedire ad un libero cittadino di acquistare un qualsiasi titolo finanziario). Certamente il “ritorno” alla separazione delle attività bancarie elimina il legame proprietario tra banche commercial e investment, per cui le perdite da trading non diventano perdite della banca, ma se il fondo finanziato dalla banca fallisce sono sempre e comunque soldi bruciati per la banca (è l’analogo dei limiti di partecipazioni tra banca e industria: l’una non controllerà mai l’altra evitando così commistioni, ma le banche continueranno a prestare alle industrie perché quello è il loro lavoro, e così continueranno a subirne le vicissitudini). Resta sempre anche il problema di Consigli d’Amministrazione “amici” che possono scambiarsi “favori” in forma di prestiti o consulenze a certe condizioni, per cui enti diversi come banche e fondi possono trovarsi legati da un sostanziale unico soggetto economico senza riferire ad un unico soggetto giuridico. Voglio poi vedere come si risolverebbero semplici giochi di scatole cinesi che riconducano banche e fondi a una sola holding con sede in terra neutrale (non importa che viga il segreto bancario, basta esser fuori dalla giurisdizione che impone la separazione) con il potere di smistare fondi da una parte all’altra, il che mi fa dubitare dell’efficacia anche solo formale di questo tipo di proposte. Ricordo poi che il Glass-Steagal Act è del ‘33 mentre gli USA sono usciti dalla Grande Depressione solo a fine II Guerra Mondiale, e che l’attuale recessione è scoppiata almeno otto anni dopo il ritiro dell’Atto partendo dal segmento bancario a maggior influenza statale. Il nesso causa-effetto tra Atto e congiuntura è quindi da considerarsi inconsistente o, nel migliore dei casi, molto molto lasco e inservibile per risolvere l’attuale congiuntura. Le crisi sono arrivate con o senza Glass-Steagal Act perché la mera forma è un problema ben aggirabile.

Su tutto questo aleggia l’idea che il settore bancario goda di privilegi. In tal senso Obama ha collegato, benché lascamente e forse inconsapevolmente, l’assicurazione statale sui depositi quale “privilegio… per le banche, tassi bassi, e trading scriteriato. La garanzia sui depositi in effetti elimina il rischio dei depositanti, che allora non si faranno pagare il rischio di illiquidità della banca come premio sul tasso, e questo diventa un aiuto sulla provvista delle banche commerciali o con divisione commercial che diventerà minor costo per i debitori, soprattutto debitori bancari quali le investment bank, che a loro volta potranno ampliare il trading e prendersi rischi maggiori (lo speculatore è un imprenditore, e come questo ha davanti possibili rendimenti e un costo del capitale, per cui se quest’ultimo si abbassa si aprono prospettive di maggiori investimenti non necessariamente sostenibili). In quel momento Obama ha toccato un argomento importante: il sistema bancario gode di alcuni privilegi; come chiunque abbia un privilegio, ne approfitta, e può ben darsi che spinga questo fino a livelli estremi e “non sostenibili”. Eziologicamente il problema si risolve eliminando il privilegio, ma siccome eliminare questa garanzia implicherebbe malcontento tra i depositanti-contribuenti (nonché elettori) si mantiene il privilegio ma si ammonisce dallo sfruttarlo o si cerca di mettere paletti, così che da una situazione di necessaria responsabilità (nessuna garanzia, tassi più alti e conseguenti restrizione di crediti e speculazione) si passa a due distorsioni (privilegi e limitazioni all’operatività) di cui, come è solito, la seconda non si sovrappone perfettamente alla prima e quindi ne seguiranno distorsioni a catena in altri settori e relativi interventi statali a complicare ulteriormente il tutto.

Al sistema bancario deve venir riconosciuto lo status di settore imprenditoriale, il che implica la fine di protezioni particolari. Tutto il resto è solo un cercare di rimediare per decreto problemi creati da precedenti decreti, a volte girando intorno, come per la separazione dell’attività bancaria, attorno ad un falso, inesistente problema.

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7 Responses

  1. Luca Salvarani

    Sono daccordo però non mi è chiaro cosa farebbe per risolvere questo problema. Vuole eliminare la garanzia statale? Se avvenisse credo che non cambierebbe molto: la banca sa che in caso di necessità lo stato interverrebbe, in caso contrario avrebbe ancora più problemi. Aggiungerei solo una cosa: non necessariamente essere grandi è solo negativo, ma può essere anche positivo: innanzitutto le economie di scala nella gestione e soprattutto una maggiore capacità di diversificare e controllare il rischio. Se io rischio troppo con una certa % o multiplo del mio capitale, a parità di leva conta poco che io sia grande o piccolo.

  2. Giulio

    Non sono daccordo su nulla neanche sul principio finale, giusto quanto inutile. Per quanto riguarda il Glass-Stegal Act e la separazione tra banche commerciali e di investimento, mi sembra inevitabile considerarlo una delle concause della situazione attuale. Specie oggi in cui la realtà e la comunicazione di massa viaggiano su due binari diversi, il fatto che la gente consideri quelle banche ,da una parte così diffamate, le custodi del proprio risparmio, fornisce alle stesse un ricatto psicologico e socile fomidabile. Proviamo ad immaginare che le attività incriminate, siano racchiuse in una società diversa che non si puo’ neanche chiamare Unicredit, Barclays, etc; ma si deve chiamare in un modo diverso e non avere partecipazioni azionarie rilevanti con le banche commerciali e viceversa……… allora sono daccordo che nella finanza si trova la maniera di aggirare e rimescolare il tutto, ma in una situazione ‘critica’ come quella attuale in cui tutti o almeno molti, hanno capito dove sta l’intoppo ma nessuno ha il coraggio o peggio l’autorità di fare nulla, l’avere la società xy (estranea, anche solo formalmente alle società commerciali) come colpevole di assunzione di rischio eccessivo, porterebbe ad una piu’ severa censura del suo comportamento, insomma perderebbero un potere politico e comunicativo importante nel giustificare l’assunzione di rischi eccessivi. La soluzione che lei prospetta sembra troppo drastica e per questo, inutile e inapplicabile. Seguendo l la sua teoria si arriverebbe ad una mancata protezione dei depositi bancari, da parte dello Stato, cosa inpensabile, soprattutto di questi tempi.

  3. Pietro M.

    Il mercato funziona se gli imprenditori pagano i propri costi e godono dei propri ricavi. Quando ci sono esternalità sistematiche non funziona nulla. La prima causa di esternalità nei mercati finanziari sono le garanzie statali e le politiche monetarie.

    La differenza tra queste politiche e i mercati finanziari è che i secondi servono a qualcosa. Se le due cose sono incompatibili, e sicuramente lo sono, almeno in dosi elevate e persistenti, l’unica soluzione è eliminare le prime.

    Sicuramente non ci sarà mai un mercato funzionante con queste politiche. Lo stato dovrebbe uscire dal mercato e le banche centrali vincolarsi a regole rigide. Ciò non impedirebbe il collasso, oggi, ma lo preverrebbe in futuro.

  4. michele penzani

    …Che Obama ce l’abbia con l’antitrust?…Non si capisce il suo interlocutore…

  5. @Giulio
    Gentile Giulio,
    mi spiace che lei non sia d’accordo, ma la separazione giuridica delle attività non serve a nulla, è solo un velo perché contano i rapporti economici, così come non conta molto che la gente “creda di depositare” (ma chi lo crede??) invece di “prestare” quando firma un contratto dove è scritto che la somma “passa di proprietà”.
    La mia idea di eliminare la riserva (e pure la banca centrale) è sicuramente “utopica” però è la risposta “ideale” ed eziologica al problema; il mio punto è che una banca è e deve essere semplicemente una impresa, e deve pagare i propri errori come qualunque impresa; se il “depositante” non è più garantito, ci pensi la banca a farsi una assicurazione o a esplicitare ai clienti l’uso dei soldi e pagare tassi più alti ai correntisti, se non vuole che la gente cominci a prestarsi i soldi tra loro disintermediando o risparmi solo comprando titoli.

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