1
Feb
2012

Il localismo protezionista delle Nazioni Unite

Il belga Olivier De Schutter è lo Special Rapporteur delle Nazioni Unite on the right of food. Pochi giorni fa è intervenuto su Poverty Matters, l’ottimo blog del Guardian sostenuto dalla Bill & Melinda Gates Foundation, che rappresenta una delle finestre più complete ed aggiornate sulle crisi alimentari globali, proponendo obiettivi ambiziosi:

E’ necessaria una risposta immediata per evitare una devastante crisi alimentare. Nel rispondere, però, dobbiamo anche ridefinire lo stesso vocabolario delle crisi alimentari. E’ il nostro stesso sistema alimentare globale ad essere in crisi.

Secondo De Schutter le crisi alimentari, come la grave carestia che ha colpito recentemente il Corno d’Africa, non sono eventi estremi, ma la regolare manifestazione di un sistema alimentare in crisi. L’approccio, vagamente malthusiano, è suggestivo, e peraltro molto popolare tra le organizzazioni sovrannazionali: se non si riconoscono gli elementi che rendono in qualche modo prevedibili le crisi, e non si interviene per tempo, si finisce per intervenire quando ormai è troppo tardi, con politiche di emergenza necessariamente inadeguate.

Vero. Ma se l’aumento della domanda globale di cibo, che spinge in alto i prezzi, gli scarsi raccolti, le carestie (in zone della Terra dove sono più che frequenti), la governance debole dei paesi in via di sviluppo sono fenomeni prevedibili (e previsti), cosa lega gli effetti di questi fenomeni (le crisi alimentari) con la pretesa che il sistema nel suo complesso, basato sul libero mercato e sul commercio internazionale, non funzioni, anzi, che sia un sistema sbagliato in sé? Non è dato sapere. Alcune considerazioni di De Schutter sono più che ragionevoli, quando prendono in considerazione gli interventi di breve periodo volti a fronteggiare le emergenze più gravi:

Gli aiuti alimentari sono spesso anticiclici: i donatori sono più generosi quando i prezzi sono bassi a causa di raccolti significativi, cosa che tende ad avvenire quando i bisogni sono più bassi. Per questo dovrebbero essere istituite riserve alimentari regionali per migliorare l’accesso agli stock a prezzi accessibili non appena la domanda inizia a salire. Ciò consentirebbe alle scorte di sicurezza di essere pre-posizionate in zone soggette a rischio, in modo che – quando gli acquisti locali non sono possibili – le agenzie umanitarie abbiano accesso a scorte alimentari a prezzi inferiori a quelli di mercato.

Quello che suscita più di qualche perplessità è l’approccio di De Schutter al lungo periodo, quello cioè che lo induce a sostenere che è l’intero sistema agroalimentare globale a dover essere ripensato:

Il problema non è solo la carenza di governance in Africa, e non è solo la modalità di erogazione degli aiuti alimentari. E’ anche un problema di principio. Per decenni, abbiamo preso la strada sbagliata per sfamare il mondo. In molti paesi poveri, gli investimenti in agricoltura si sono concentrati su un numero limitato di colture da esportazione. Troppo poco è stato fatto per sostenere i piccoli agricoltori, che producono cibo per le loro comunità locali. Eppure, sostenendo questi contadini poveri, si potrebbe consentire loro di uscire dalla povertà, e consentire la produzione locale di cibo per soddisfare le esigenze locali.

Quel che la maggior parte delle ONG e delle istituzioni sovranazionali non riescono (o non vogliono) comprendere è che è la disponibilità di denaro, data dalla crescita economica, più che la disponibilità di cibo a livello locale, ad emancipare le popolazioni dalla fame e dalla povertà. Il fatto che piccoli agricoltori continuino a produrre le poche derrate che le condizioni locali del clima e del suolo permettono loro di coltivare, per rivenderle in loco, in una sostanziale economia di sussistenza, e che il loro posto non venga preso, magari anche con il loro aiuto, da un sistema produttivo più efficiente in grado di offrire al mercato globale ciò di cui ha bisogno in cambio di ricchezza, è sintomo di una miopia sconcertante. E lo è in particolare in un momento in cui la domanda globale di cibo aumenta proporzionalmente alla crescita asiatica, e in cui proprio quel “broken system” di cui parla De Schutter manifesta più che mai i suoi aspetti positivi, proprio per quei paesi che hanno avuto la lungimiranza di aprirsi non tanto agli aiuti umanitari, quanto agli investimenti internazionali nel settore agroalimentare, registrando tassi di crescita mai visti prima.

Ed è anche il funzionamento dell’intero meccanismo a non essere comprensibile: pretendiamo che gli agricoltori dei paesi poveri producano per le loro comunità, le quali non sono in grado di remunerarli adeguatamente. Tutto ciò si dovrebbe reggere, e non è certo una sorpresa, su un sistema di sussidi pubblici internazionali, particolarmente apprezzati da molti governi africani, ma che rappresentano un modo in più per allontanare quelle stesse comunità dall’emancipazione.

Sono gli effetti della fusione perversa tra la dipendenza dagli aiuti dei governi dei paesi in via di sviluppo e il protezionismo commerciale di quelli occidentali, i quali non vedono di buon occhio lo sviluppo dell’agricoltura africana, elementi che trovano una sintesi perfetta nelle politiche alimentari delle Nazioni Unite.

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5 Responses

  1. giovanni

    de schoutter è un imbecille preso in giro da ogni professore universitario che si occupa seriamente di food security e food trade!

    a tal riguardo rinvio a P. Aerni (WTI), Food Sovereignty and its Discontents, ATDF JOURNAL Volume 8, Issue 1/2 2011, pag.23

  2. guidogamba

    Mi sembra tutto perfettamente coerente: come la dirigenza UE, nonostante non sia eletta, o forse appunto per ciò, soffre di deliri di onnipotenza, così i dirigenti ONU, ancor meno eletti e ancor più potenti, credono di essere i Giusti che salveranno il mondo.

  3. rolandclaude

    ne sapete niente della corsa accaparramento di terre in africa ed altrove? forse sarebbe bene informarsi…..

  4. giovanni

    @Giordano Masini
    mille grazie per il link segnalatomi… non conoscevo e mi fa piacere approfondire il tema.
    Io personalmente non sono mai stato una persona dogmatica e non sono totalmente contrario alla programmazione in agricoltura, quando cioè si ha a che fare con i fondi di restrutturazione delle imprese: sono caparbiamente convinto che il topos del contadino ignorante debba essere quanto prima superato con preparazione simile a quella che hanno i professionisti in altre aree produttive. Il dramma del nord italia è purtroppo rappresentato dalle imprese agricole troppo piccole e incapaci di raggiungere masse critiche (…soprattutto grazie al sovvenzionamento in stile PAC anni 80) e quello del sud dall’inesistenza della logistica e di un certo approccio modernizzante. Magari perciò se la PAC dovesse essere sempre più spesso usata, come sembra, per progetti mirati all’aumento della tecnologia d’impresa, ci trovo qualche elemento positivo.
    @rolandclaude bimbo caro, è decisamente meglio che le simpatiche tribù africane rimangano così come siamo abituati a vederle: con il gonnellino di paglia, la casa col tetto di sterco e la grande abilità nella caccia alla pantegana, vero? grazie al timore indiscriminato e irrazionale verso gli investimenti stranieri e il commercio internazionale, questa è la conseguenza!!!
    per il land grambling, le organizzazioni regionali si stanno attrezzando..quindi non temere (vedi caso del SADC Tribunal che l’ha messa in quel posto a Mugabe)… d’altra parte l’approccio della paura indiscriminata verso gli investimenti produrrà solo altri poveracci! e il sussidio massiccio produrrà solo sciocche rendite di produzione che possono anche peggiorare la situazione ambientale: vedi caso del sussidio del riso in costarica. Non solo, la stessa FAO in un suo recente e brillante report sulle cause della crisi alimentare del 2008 non ha indicato, tra le cause probabili, il commercio internazionale né le speculazioni nelle borse merci… rilevando invece una posizione critica verso gli incentivi ai biofuels europei, americani e brasiliani e formulando altre teorie che inseriscono il problema all’interno della normale analisi economica (le regole dell’economia non fanno eccezione in agricoltura!!!). Personalmente tra le cause della crisi, prediligo -come più verosimili- il non avere più carburanti e fosfati a buon mercato e una normale ciclicità dell’economia agricola (dovuta tra l’altro ai bassi investimenti in ricerca…che forse gli stati avevano preferito destinare alle sovvenzioni di qualche formaggio…).
    Recentemente sono stato in Isvizzera e ho fatto la spesa alla Coop… ho ben capito come il terzomondismo non sia eliminabile a breve dalla testa di certe persone).

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