19
Feb
2010

Gli effetti perversi dell’Art.67 della Costituzione. Di Mario Unnia

Riceviamo dal Prof. Mario Unnia e volentieri pubblichiamo.

Quando ci lamentiano dello strapotere e dell’irresponsabilità della partitocrazia dovremmo ricordare che questo strapotere è ‘sancito’ in Costituzione. Sembra un paradosso, ma è così. C’è infatti l’articolo 67 Cost., un testo breve di sedici parole, che detta ‘Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato’. E’ proprio il caso di dire che il diavolo si nasconde in un particolare di un testo di ben 139 articoli, più 18 disposizioni transitorie e finali.

L’idealismo dei nostri costituenti ha stabilito, nella prima parte dell’articolo citato, che i deputati e i senatori non rappresentano coloro che li hanno eletti nei singoli collegi, ma un’astratta entità, la Nazione (sempre più evanescente in tempi di globalizzazione e multiculturalismo), e nella seconda parte ha statuito il divieto di mandato imperativo per gli eletti. Questo vuol dire che per i cinque anni della legislatura gli eletti sono svincolati dalla volontà e dagli interessi dei deleganti, sono liberi di votare anche in contrasto con quanto promesso nei comizi, e di migrare da un gruppo parlamentare all’altro senza rendere conto a nessuno. Si dirà che gli elettori potranno ‘punirli’ non rinnovando il mandato: sì, ma dovranno aspettare cinque anni, e nessuno si fiderebbe di un gestore dei suoi interessi che presenta il rendiconto solo al termine del quinquenio. Sa dunque di fatuo moralismo condannare i voltagabbana, i ribaltonisti, i doppiofornisti quando la Costituzione li assolve, e li legittima nel rappresentare tutti e non rendere conto a nessuno in corso d’opera. Alla base della sfiducia motivata nei partiti e negli uomini politici sta proprio questa impossibilità codificata di controllo popolare sulla ‘casta’, fatto salvo il fare affari più o meno puliti con singoli deputati e senatori.

Il nostro sistema costituzionale nella Parte Seconda – Ordinamento della Repubblica non ha previsto i vincoli di constituency del modello anglosassone. Constituency è il collegio elettorale, e gli elettori un corpo di constituents che non si accontentano di dare un mandato in bianco per cinque anni, ma vogliono esercitare i diritti politici anche tra un’elezione e l’altra, e su issues determinanti; e lo vogliono fare in quanto cittadini, senza passare attraverso il filtro di un partito politico. Questi elettori non si limitano a segnalare, protestare o esprimere desideri, esercitando il classico right of petition (previsto anche nel nostro Art. 50 Cost.), ma tematizzano gli issues di loro interesse ed elaborano ipotesi di soluzione.

Perchè funzioni un rapporto di corretta rappresentanza tra l’eletto e gli elettori occorre che l’eletto non sia il delegato di un apparato partitico, che abbia invece una biografia accreditata presso gli elettori del collegio in cui si presenta, che risieda nel collegio durante tutto il periodo di mandato e sia a servizio dei cittadini, raggiungibile tramite indirizzo, telefono, email; ancora, che prima dell’elezione formalizzi un programma e lo sottoponga agli elettori, che in corso di legislatura mantenga un rapporto costante con il suo elettorato, che argomenti prima, e giustifichi dopo, eventuali sue decisioni in contrasto con il mandato, e a metà della legislatura sottoponga a verifica il modo in cui lo sta esercitando. Va da sè che occorre un sistema elettorale maggioritario: il contentino del voto di preferenza nel sistema proporzionale non costituisce un potere reale dell’elettore, dal momento che le liste le compilano i partiti e le sue scelte sono spesso annullate dalle dimissioni imposte dalle centrali.

Quanto detto va oltre il collegio elettorale, e riguarda any body of constituents, gruppi di cittadini che si sentono attori di una democrazia degli interessi, le cui armi sono una dialettica politica permanente con gli organi di rappresentanza e di governo, al di fuori dei partiti, che hanno dato cattiva prova nell’interpretare e tutelare i diritti di cittadinanza.

L’Art 67 Cost. al di là degli effetti perversi riflette un modello di democrazia rappresentativa di cui conosciamo il cattivo funzionamento e la corruzione. Proporre la soppressione, o la modifica, dell’articolo implica la revisione del modello: operazione complessa, ma vista la situazione, perchè non provare?

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9 Responses

  1. Come risposta a quest’articolo ed alla sua ultima domanda, basterebbe leggere la prima lettera con risposta pubblicata sul libro “Le nuove stanze” d’Indro Montanelli, in cui un lettore del Corriere della Sera chiede allo scrittore toscano perche’ la costituizione non preveda una regola contro il “cambio di casacca”.

  2. italiano

    È la globalizzazione e le entità sovranazionali ad essere anticostituzionali. E spero che chi le sostiene oggi un domani sarà fucilato per alto tradimento.

  3. Francesco Morosini

    Il Prof unnia, di fatto, recupera l’assemblearismo sessantottino che, in compagnia di Lenin, l’aveva a morte con l’idea di rappresentanza liberale il cui fondamento è proprio sull’assenza del cosiddetto “mandato imperativo”; e che, tra l’altro, è ormai uno dei pochi argini a difesa del deputato dalle decisioni del partito come anche dalle lobbies di collegio elettorale. Non sarà allora che il Chicago blog si metterà a proporre la Comune di Parigi come modello di democrazia liberale?

  4. Luigi Buccelletti

    Da tempo sono arrivato alle stesse conclusioni che così bene espone il prof. Unnia.
    Non vedo cosa c’entrino in questo discorso la globalizzazione , le entità sovranazionali e tanto meno la Comune di Parigi.
    Come mio contributo alla riflessione vorrei proporre una provocazione: perchè non prevedere anche il voto palese (non segreto) legato ad un impegno da parte del votato di rispettare il programma per il quale è stato eletto?
    Sono temi molto complessi e difficili, ma che è necessario affrontare per migliorare la nostra “democrazia”.
    Temo però che fra qualche decennio la maggioranza islamica in Italia ed in Europa ci risolverà ogni problema: saremo dhimmi!

  5. Luigi Buccelletti

    Da tempo sono arrivato alle stesse conclusioni che così bene espone il prof. Unnia.
    Non vedo cosa c’entrino in questo discorso la globalizzazione , le entità sovranazionali e tanto meno la Comune di Parigi.
    Come mio contributo alla riflessione vorrei proporre una provocazione: perchè non prevedere anche il voto palese (non segreto) legato ad un impegno da parte del votato di rispettare il programma per il quale è stato eletto?
    Sono temi molto complessi e difficili, ma che è necessario affrontare per migliorare la nostra giovane e malintesa democrazia.

  6. Pier

    Il modello anglosassone di rappresentanza e’ molto difficile da trasferire in Italia.
    Da noi il vincolo morale con i propri elettori, che dovrebbe richiedere le dimissioni, non esiste . Del resto la Costituzione approva i salti della quaglia ed io sono d’accordo con il professore. La decadenza dovrebbe essere automatica .
    Egli dice anche che i partiti hanno dato cattiva prova ed è vero.
    Però esiste un problema sottovalutato, i soldini – denari e quanto contano deputati e senatori, eletti per un partito, nella gestione dei medesimi (soldini -denari ) ?
    Siccome i soldini-denari sono alla base di tutto, un partito dopo la fase iniziale per accedere al Parlamento, da poter fare con fondi privati o personali, in base all’art. 18 della Costituzione, dovrebbe essere gestito solo ed unicamente dai parlamentari eletti, siano essi uno o cento, in base ad una legge sui partiti ben definita.
    Poi attraverso un delegato che ne risponde ai colleghi i quali però dovrebbero essere responsabili in toto con lui verso lo stato,gestire il tutto siano essi finanziamenti, rimborsi elettorali, regalie, lasciti, eredità, immobili, tutto.
    L’interesse per una buona gestione sarebbe comune , anche per la loro rieleggibilià e l’attuazione vera dei programmi.
    Invece ora non sono responsabili di nulla. Oscuri personaggi o padri padroni, gestiscono tutta la finanza.
    Qualora un parlamentare volesse lasciare chi lo ha eletto, come da costituzione potrebbe farlo ma senza poter entrare in un altro partito fino alle successive elezioni, ma costringere alla decadenza sarebbe più giusto.
    Nessun partito presente in Parlamento dovrebbe operare in deficit, in rosso, o con aperture di credito. Tutti i rendiconti finanziari dei partiti, dettagliati, dovrebbero essere pubblici ed in caso di scioglimento di un partito, tutti i beni, compresa la cassa, dovrebbero tornare allo Stato, non come quelli del PNF andati…….
    Vergogne come quelle dei partiti-patrimonio, DC, PCI, PSI, PSDI ecc.
    non dovrebbero ripetersi, pagati dagli Italiani con finanziamenti, pubblici, privati e proventi di corruzione sono andati ad arricchire, non si sa o si sa bene chi, apparati, gruppi, gruppetti, partitini .Per il PCI poi PDS e DS è ancora aperta la lotta, fra i vecchi ” mai stati comunisti “, D’Alema,Veltroni,Fassino che ora con Bersani hanno “normalizzato” il PD , per i beni non conferiti da questi ed invece si da Rutelli e C. della Margherita.
    Dimenticando che sono soldi nostri e che questi dovrebbero essere gestiti solo ed unicamente da Parlamentari.
    Così a mio avviso, si eviterebbe anche la nuova vergogna, vedi IDV- Di Pietro e la sua “fondazione personale” ed il mistero PDL , Forza Italia, AN e C.
    Oltre che sulla teoria/Costituzione ed astratti principi dovremmo misurarci maggiormente anche sulla pratica.
    Provate a pensarci.
    Pier

  7. Un po’ sibillina la osservazione.
    Quello che non entra dalla porta principale lo facciamo entrare da quella di servizio (leggasi globalismo).

    sarebbe solo sufficiente scrivere una cosa del genere: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione e l’interesse dei suoi deleganti esercitando le funzioni ad esso delegate”

  8. Massimo Guido Conte

    “Quando ci lamentiano dello strapotere e dell’irresponsabilità della partitocrazia dovremmo ricordare che questo strapotere è ‘sancito’ in Costituzione..”
    Ci lamentiamo del potere della partitocrazia mica di quello della “deputatocrazia”. I Partiti ne uscirebbero rafforzati da un’eventuale abolizione dell’art.67. A quel punto che ne sarebbe del deputato estromesso dal Partito ? No.
    Abolite la Costituzione, nel senso di modificarla ma che il deputato risponda agli elettori alla fine del mandato.

  9. stragatto

    Mi dispiace ma mi permetto di dissentire.
    L’art. 67 va visto in funzione del sistema elettorale previsto dai Costituenti, ben diverso da quello attuale. i Costituenti avevano in mente un Parlamento concepito secondo il criterio della rappresentanza, eletto quindi col voto di preferenza e senza sbarramenti e premi di maggioranza. L’idea era che il Parlamento fosse un campione statistico del Paese (per questo motivo la Costituzione prevede un numero così elevato di parlamentari, liberi come liberi dovrebbero essere i cittadini).
    E’ chiaro che una volta modificato l’impianto elettorale, con i parlamentari ridotti a truppe cammellate delle rispettive segreterie, l’art.67 possa risultare inadeguato. Ma la colpa non è dell’art.67: è semmai di leggi elettorali di dubbia costituzionalità.

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