1
Mar
2012

Eni-Snam. Non c’è due senza quattro?

Il primo passo verso la separazione proprietaria tra Eni e Snam è compiuto, ma la strada è ancora lunga. La domanda rilevante è: come? La domanda che tutti si pongono è invece: chi?

Come spesso accade, è un articolo del sempre informato Massimo Mucchetti a porre il problema. Massimo spiega che le opzioni in discussione sarebbero due:

Secondo l`impostazione attribuita all`Eni, la Cdp dovrebbe costituire una società ad hoc per comprare quanto basta ad avere il controllo di fatto di Snam. Oggi, con la regola che convalida le Offerte pubbliche d`acquisto sulle società strategiche solo se superano il 75% del capitale, sarebbe sufficiente prendere; il 26% di Snam e fissare un tetto ai possessi azionari di soggetti privati come in Terna. Alle quotazioni di martedì sarebbero necessari 3,3 miliardi senza premio di maggioranza, ben di più con il premio.

La nuova società si finanzierebbe per un miliardo con capitale di rischio e per il resto- utilizzando il risparmio postale. Il capitale di rischio equivale a 2 anni di dividendi che la Cdp riceve dall`Eni e il resto a 15 anni di dividendi da Snam al netto degli interessi. Per accelerare il rimborso, si suggerisce alla Cdp di conferire alla nuova società il suo 3o% di Tema, generatrice anch`essa di dividendi. In tal modo, ai valori correnti, l`Eni potrebbe incassare 6,7 miliardi dalla vendita del 52% di Snam (una metà potrebbe andare sul mercato) e deconsolidare 11,2 miliardi di debiti finanziari.

Una tale operazione garantisce la continuità del controllo pubblico su un`infrastruttura strategica. Ma al tempo stesso implica che la Cdp si ricompri una Snam già sua. Per fare questo la stessa Cdp dovrebbe impegnare 3 dei 4 miliardi delle sue attuali disponibilità impegnando per anni i dividendi nel rimborso del debito. D`altra parte, la Cdp non può disperdere le sue risorse se vuole davvero promuovere iniziative per aggredire il debito pubblico e sostenere il Fondo Strategico che ha l`obiettivo di favorire la crescita di selezionate imprese italiane e non di sistemare assetti proprietari altrimenti riformabili.

Sulla carta esiste un`alternativa, popolare al ministero dello Sviluppo economico ma senza ostilità nemmeno al ministero dell`Economia. Si tratta di procedere alla scissione della partecipazione Snam dall`Eni suddividendo il pacchetto azionario tra i soci della capogruppo.

In tal caso, considerando le molte azioni proprie che la società si è ricomprata negli anni, alla Cdp andrebbe il 18% della Snam. Per arrivare alla quota di sicurezza antiscalata del 26%, alla Cdp basterebbe meno di un terzo della somma ipotizzata nel piano Eni e pagabile in parte in natura affidando a Snam il gasdotto internazionale Tag, che l`Eni era stata costretta a vendere dall`Unione europea.

L’aspetto che qui interessa non è quale delle due strade verrà scelta, ma il fattore comune che esse hanno: il ruolo della Cassa depositi e prestiti. Nella sostanza, tutte le opzioni considerate non solo presuppongono, ma neppure mettono in discussione, che sia Eni, sia Snam debbano essere e rimanere a controllo pubblico. Questo implica che l’operazione sarebbe a somma zero per le finanze pubbliche (fatto salvo l’eventuale valore che potrebbe emergere grazie al parziale superamento della conformazione innaturalmente conglomerata di Eni), mentre non tutto il potenziale pro-concorrenziale ne verrebbe catturato. Infatti, come ricorda Massimo, quale che sia la strada scelta, ci troveremmo nella situazione in  cui Cdp è azionista di riferimento sia di Eni, sia di Snam. Non si tratta di un inedito:

Nel 2005, presidente l`attuale sottosegretario a palazzo Chigi, Antonio Catricalà, l`Autorità di tutela della concorrenza stabilì che la Cdp non potesse controllare a un tempo l`infrastruttura e il servizio. Dove c`era Terna non poteva stare anche l`Enel, che venne infatti restituita al Tesoro.

E’ cambiato qualcosa rispetto ad allora? Il rapporto tra Eni e Snam è diverso, dal punto di vista della concorrenza, da quello che legava Enel a Terna? La risposta è, in entrambi i casi, no. Naturalmente può essere mutata la sensibilità politica, tanto a Palazzo Chigi quanto a Piazza Verdi. Ma nella sostanza ci troviamo esattamente nella stessa condizione (e, nel caso in cui essa si ripresentasse, sono certo che qualche think tank liberista attirerebbe l’attenzione dell’Antitrust sul tema). In realtà, c’è un modo per amplificare la portata della separazione proprietaria e, al tempo stesso, evitare sgradevoli rogne.

Basta fare due cose. Primo: da nessuna parte sta scritto che Snam debba restare pubblica. Le attività del gruppo sono e saranno assoggettata alla regolazione dell’Autorità per l’energia. Che un eventuale controllante non pubblico possa adottare comportamenti lesivi dell’interesse nazionale è un’ipotesi del tutto campata in aria (a meno che il malvagio non si porti via tubi e stazioni di compressione nottetempo…). In realtà gli unici che non devono mettere le mani sulle società che gestiscono infrastrutture essenziali sono coloro che hanno interessi a monte o a valle, cioè Eni e i suoi concorrenti. Per il resto, non vedo ostacolo. Quindi, Snam potrebbe essere scorporata da Eni semplicemente collocando sul mercato, attraverso una normale asta, il 52 per cento in mano all’ex monopolista (tutto assieme o a lotti). Prendendo per buoni i numeri di Massimo, questo sarebbe un terno al lotto per Eni, che da un lato deconsoliderebbe circa 11 miliardi di debito e potrebbe incassare 7 miliardi di euro dalla cessione delle quote.

Questo ci porta a una seconda domanda: senza Snam, c’è motivo per cui Eni debba restare pubblica? Eni fa essenzialmente due cose: è una oil company attiva nell’upstream e downstream petrolifero ed è una utility che produce elettricità e vende elettricità e gas ai consumatori finali. E’ l’unico caso, tra le grandi compagnie petrolifere, di gruppo che fa entrambe le cose. Avrebbe senso separare queste attività ma, a prescindere da questa che è una scelta di organizzazione interna, vale la pena evidenziare che né estrarre petrolio in Kazakistan, né raffinare greggio a Milazzo o Livorno, né vendere benzina, gas ed elettricità agli italiani sono attività “strategiche” per il governo italiano. Sono tanto poco strategiche che, in tutti questi mercati, esistono concorrenti privati e spesso stranieri. Dunque: ha senso che Eni-senza-Snam resti pubblica? Se il governo decidesse di “mollare la presa”, potrebbe ricavare utili risorse (via Cdp) da destinare all’abbattimento del debito pubblico, e potrebbe soprattutto creare condizioni davvero pro-concorrenziali, grazie al definitivo scioglimento di tutti i confitti di interesse – sia quello tra l’incumbent e l’infrastruttura essenziale, sia quello tra il soggetto dominante e lo Stato azionista e regolatore.

In queste settimane, il governo ha recepito due suggerimenti dell’Ibl: ha optato per la separazione proprietaria di Snam dall’Eni (come noi avevamo chiesto, per esempio qui con Federico Testa, in fase di recepimento del Terzo pacchetto energia) e ha definito i termini della separazione in modo “rigoroso” (come avevamo chiesto qui con Lucia Quaglino). C’è qualche speranza che l’esecutivo ci ascolti ancora, privatizzando Snam e privatizzando Eni?

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2 Responses

  1. Giovanni

    Sono assolutamente d’accordo su tutta la linea dell’articolo. Proverei ad aggiungere un’altra riflessione che riguarda più in particolare il ruolo di utility ovvero di venditore di energia elettrica e gas. Oggi siamo nella bizzarra situazione dove il mercato dovrebbe essere liberalizzato ma il controllore, ovvero le istituzioni, e controllato , ovvero gli ex monopolisti , hanno lo stesso “azionista”. Questo evidente conflitto di interessi contrappone i lauti dividendi contro minori margini per merito della concorrenza . Tutto potrebbe essere risolto attraverso una vera privatizzazione: merita davvero una riflessione anche perchè a più di dieci anni dai decreti che hanno liberalizzato i mercati l’Italia paga l’energia circa il 30% in più del resto dei paesi europei, un GAP che ostacolerà quella crescita economica da più parti invocata.

  2. Pier Luigi Caffese

    L’ Italia paga l’energia il 40% in piu’ ed il gas il 20% in piu’ perchè non sappiamo dare seri targets alle aziende energetiche e non predisponiamo un piano con questi targets.Il Governo italiano deve fermare l’emorragia di soldi che va all’estero e stoppare al 50% il fossile,contenendolo sui 40 miliardi,rispetto agli 80 miliardi che vogliono i gassificatori di import.I 40 miliardi di differenza sono i soldi per produrre energia in casa ed assumere 220.000 giovani.Privatizzare significa poco o niente se non si hanno obiettivi chiari.Ad esempio se diamo Snam a Terna non efficientiamo niente ma se diamo obiettivi chiari a Snam come ho indicato al Governo,riduciamo il gas del 20% e l’energia la riduciamo se efficientiamo la filiera fossile al 50% con i retrofit CCC che valgono un meno 40% e poi quella rinnovabile che non viene stoccata e quindi è cara e non efficiente.Perchè allora il Governo non fa mettere i retrofit CCC e lo stoccaggio?
    Sarebbe la mossa vincente, ma i Governi italiani per sopravvivere hanno mutuato dalla vecchia dc il concetto di polverizzare i fondi perchè cosi’ ottengono piu’ consenso.Ma questa pratica che ha lasciato il Sud al medioevo è ancora piu’ deleteria in energia.Lo dico da anni, ma i vari Ministri sono spesso nipoti DC e non cambiano.Questa è la ragione vera perchè la Germania va con 370.000 posti nelle rinnovabili ed esporta e noi no,tanti disoccupati e tanti pannelli solari comprati in Cina.Guardi Fincantieri in Cassa Integrazione perchè il suo Ceo Bono è sempre sordo ai miei piani di energia in mare.Questa è l’Italia dei mediocri che vive a sbafo dello Stato con stipendi da paura che paga o lo Stato o la Cassa Integrazione.

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