16
Giu
2010

Bolla, per Mankiw i mercati hai voglia se devono scendere…

I corsi al ribasso da metà gennaio per l’eurocrisi ischiano di far diventare tutti strabici, pensando che appena avverrà un qualche euromiracolo subito i mercati rischizzeranno decisi verso l’alto. Mah, lascio a ognuno le sue convinzioni. Se andiamo oltre i timori quotidiani di mercato – oggi indici in altalena per i soliti timori bancari spagnoli visto che il capo del FMi domani è in Spagna;  poi indici in risalita alla nortizia che BP accetta di versare 20 miliardi di dollari tanto per cominciare nel fondo destinato a rifondere i danni per la marea nera negli USA, quando in teoria secondo la legge vigente il massimo dei danni dovrebbe essere solo entro i 75 milioni, alla faccia del giustizialismo; infine nuova doccia gelata alla notizia che le nuove case USA a maggio tornano ai minimi da dicembre – in realtà le serie storiche ci dicono un’altra cosa. Date un’occhiata qui.  

Viene dal sito di Greg Mankiw, neokeynesiano ma non fondamentalista, tanto che qualche anno fa si definì keynesiano-friedmanita. Quel che conta è che le serie storiche non dicono tutto né sono una palla di vetro per il futuro a breve del trader, naturalmente. Ma qualche cosa, comunque,  e anzi più che qualche cosa, dicono allo studioso. Lo  S&P 500 index rispetto alla media storica da inizio 900 era sopravvalutato del 58% alla fine di marzo, e malgrado la discsa da allora restava sopravvalutato del 46% a fine settimana scorsa, se si utilizza il metodo CAPE, cioè il rapporto prezzi/utili corretto per l’andamento del ciclo.

Se invece si calcola la media storica in 110 anni del “q” , la sopravvalutazione resta del 62% a fine marzo e del 50% a venerdì scorso. Per chi non lo sapesse, il “q” è il criterio di valore delle società elaborato da James Tobin, per il quale il valore complessivo delle società quotate in Borsa dovrebbe essere equivalente alla somma dei loro costi di rimpiazzo, e di conseguenza il “q” esprime il rapporto tra il valore totale di mercato delle quotate e il totale dei loro asset values. Un “q” superiore all’unità indica che il valore di mercato delle società è superiore ai loro costi di rimpiazzo, dunque che il listino è sopravvalutato. E’ un criterio considerato guida per i keynesiani che diffidano delle speculazioni del mercato, e credono con questo metodo di guardare di più ai fondamentali.

In ogni caso, la conclusione è la stessa. Rispeto allaa media storica, il mercato leader USA resta molto sopravvalutato. Quanto e se dovesse riprendere l’ascesa del P/E che per un decennio precrisi sembrava sfidare la legge di gravità fino al botto di tre anni fa e un anno e 9 mesi fa, quello è altro paio di maniche e lo scopriremo solo vivendo.

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7 Responses

  1. Oscar, il Q ratio ha capacita’ zero (0.0) di predirre quello che fa il mercato azionario. Magari sara’ anche il valore “giusto” (non lo e’ per diecimila ovvie ragioni) ma, se cosi’ fosse, il mercato sbaglia da almeno 60 anni e non manifesa alcuna intenzione di ravvedersi.

    Per i dettagli su cosa faccia il mercato USA nel lungo periodo, rinvio a me stesso:
    http://research.stlouisfed.org/publications/review/09/11/NovDec2009Review.pdf

    Ciao
    m

    p.s. Questo non implica ne’ che la prospettiva sia buona, ne’ che sia cattiva per i corsi azionari. Non avendo guardato come vanno le cose in termini di labor e capital share, non oso dire. Ma guarderei quelle per cercare di predirre il medio termine.

  2. juancarlos

    Se la bolla internet del 2001 ha portato il Nasdaq da 4800 punti del marzo 2001,ai 1240
    del marzo 2003,una bolla finanziaria che ha fatto fallire la quarta banca americana e le principali banche inglesi,e la piu grande assicurazione del mondo,e il massimo gigante dei mutui mondiale,e che sta portando al default alcuni stati,tutto questo non portera il Dow sotto il 6400 punti?
    ce la caviamo con un solo anno di ribasso della borsa?

  3. Guardando a variabili di mercato, cioè ai tradizionali multipli, l’indice S&P prezza ad oggi operating earnings per il 2011 pari a 95 dollari. E’ un aumento del 30 per cento rispetto al livello corrente. Anche ipotizzando un aumento del Pil nominale del 4-5%, è verosimile un’espansione della redditività di questa magnitudine rispetto alla crescita dell’economia? Il tutto considerando che le stime degli utili le fanno gli analisti del sell side (quindi lievemente interessati), e che storicamente queste stime sono sempre state considerevolmente ottimistiche rispetto al dato effettivamente realizzato?

  4. Enzo Michelangeli

    Cito dal blog di Emanuel Derman (http://www.wilmott.com/blogs/eman/index.cfm/2010/5/17/Sector-Inflation ):
    “Penso che gia’ stiamo vedendo inflazione come risultato dell’aumento della massa monetaria, ma l’inflazione e’ limitata a quei settori dove si e’ riversato l’aumento di moneta. I soldi stampati non sono finiti nelle tasche della gente, ma nelle istituzioni finanziarie. Come risultato, i prezzi che sono aumentati sono quelli dei titoli, le cose comprate dalle istituzioni finanziarie, piuttosto che di cibo e vestiti, le cose comprate dalla gente comune.”

  5. quattro commenti, uno più lucido dell’altro. boccata d’aria fresca. ci aspettano tempi cupi. off topic: ma la lettera degli economisti (post-vetero-arci-ultrakeynesiani) non la vuole commentare nessuno di voi? Giannino? Boldrin? Seminerio? vi lascio il link, caso mai vi foste distratti…
    http://www.letteradeglieconomisti.it/

  6. Oscar Giannino

    @michele: hai perfettamente ragione sul “q” non predittivo, e infatti mi permettevo di ironizzare lievemente sulla posizione “virtuista” di chi lo utilizza, ma la mia era solo una superficiale spiega a chi ignora cosa sia il “q”, per i lettori che se lo trovano nel grafico di Mankiw. Il saggio di Michele e Peralta-Alva è veramente molto bello, e accessibile – con qualche impegno – anche ai non troppo “addetti”, se interessati a capire seriamente modalità predittive e limiti insiti nel “perfect foresight on actual dividends paid”. Problema sul quale condivido la conclusione, che resta con un interrogativo aperto about:
    “fluctuations in the long-run trend of the ratio between stock market value and GDP for the U.S. corporate sector. According to economic theory, the market value of U.S. corporations should equal the expected present discounted value of the future flow of income and capital gains generated by this sector. This prediction of the theory is frequently tested assuming perfect foresight on actual dividends paid. Actual dividends are very smooth and their movements cannot
    account for stock market trends, even in the long run. Many researchers consider this a puzzle. We find that a measure of model-consistent dividends fluctuates much more than actual dividends paid. More important, fluctuations in modelconsistent dividends are positively correlated with stock market fluctuations. We illustrate that the perfect foresight assumption, by construction, predicts a very smooth present value of model consistent dividends, and thus a very smooth market ratio, even when dividends fluctuate a lot. Theory does not require and does not imply that individuals and firms have perfect foresight, however; it simply requires and predicts that individuals will use all available information optimally (that is, as well as they can) to form their expectations of future movements in capital income. We then evaluate the theory under the assumption that all available (but no future) information is used in an extrapolative expectations format to forecast future dividend payments. We use a distributed lag equation to do so. We find that the present value of dividends, computed in this way, is much more consistent with the data. Apart from the obvious question of what, other than wisdom after the fact, may justify or explain the particular choice of forecasting rule made by market participants, our analysis leaves open an important puzzle: The value of corporations should equal the value of their tangible and intangible assets, while in the data the two series seem to be negatively correlated and remain persistently apart from each other”.

    Il problema, in altre parole, resta quello dubitativamente posto da Mario Seminerio…

  7. juancarlos

    grazie per avermi fatto notare la lettera degli economisti,il passaggio dove parla degli
    speculatori che fanno diventare chi è solvibile in non solvibile.

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