16
Ott
2009

Banca del Sud: perché qui se ne discute

Che la Banca del Mezzogiorno rievochi la Cassa del Mezzogiorno, è evidente ma non si tratta di una osservazione particolarmente originale. E’ più interessante invece il dibattito che si è di fatto aperto su queste colonne – nei due post di Oscar Giannino ed Ugo Arrigo.
La posizione di Arrigo è istintivamente accattivante, per chi legga Chicago: essendo la Banca un’iniziativa che nasce in seno alla politica, e specificamente al Tesoro, non c’è da aspettarsi nulla di buono. Perché le dinamiche intrinsecamente connesse all’agire politico faranno sì che si tratti di un’altra mangiatoia.
La posizione di Giannino è più sfaccettata, e insiste invece sulla lettera del provvedimento. Le due cose che fa notare Giannino, e che credo abbiano un peso non indifferente sul giudizio complessivo, sono (a) che l’appello a fare la banca è rivolto ai “privati meridionali”, chiamati “a fare banca per banca, non altro” e (b) che lo Stato abbia “autolimitato” il suo impegno, nel comitato promotore, sia perché da subito minoritario, sia perché già oggi è posta in essere una exit strategy.
La risposta dei pessimisti, a queste considerazioni, è che raramente le buone intenzioni vengono confermate: al momento di uscire, c’è sempre una ragione per “rimandare” l’uscita. Nulla è più stabile del provvisorio, in Italia, diceva Prezzolini.
Nondimeno, la politica è anche e soprattutto l’arte del possibile, e i nostri giudizi devono credo essere tarati – specie in un momento storico come questo – sul “meno peggio” rispetto alle alternative effettivamente a disposizione.
In questo senso, se si tratta di una “banca piovuta dal cielo”, poteva grandinare anziché piovere? Temo proprio di sì, e a livello di dato politico mi sembra comunque interessante che l’idea di Tremonti sia stata avversata proprio da quei ministri che – per ovvi interessi personali – sono i più impegnati nel praticare e difendere un approccio clientelare alla questione meridionale.
Discutere sulla Banca del Sud è sicuramente qualcosa che dovremmo fare, su Chicago. Ma magari andando oltre l’oleografia del clientelismo fatta da Forte nel suo articolo di ieri. Cioè cercando di parlare di cose concrete, sfruttando l’esperienza e la capacità di analisi di chi (per nostra fortuna) collabora a questo blog. Ripatrimonializzare le banche socie della holding è un obiettivo legittimo? L’inserimento nella partita di Poste Italiane è un elemento distorsivo della concorrenza nel settore bancario? E, soprattutto, fra i mille provvedimenti che il governo aspira a prendere per il Sud, questo come si pone?
L’arma dell’ironia è preziosissima, contro lo statalismo. Siamo però in un momento nel quale possiamo aspettarci, dai governi, veramente poco che presenti pure isolati aspetti positivi. Forse, il mero fatto che ci sia qualcosa su cui in un contesto di persone che la pensano sostanzialmente alla stessa maniera come questo, si può legittimamente discutere, è già una mezza buona notizia.

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7 Responses

  1. Scarthorse

    Osservo che le tre maggiori banche italiane, “privatizzate”, osannate e “privatissime” sono governate da Fondazioni bancarie di emanazione politica (v. il top management in fila alle primarie di Prodi) e addirittura una ha nel patto di sindacato uno Stato estero.

  2. Bene, bando all’ironia, piedi per terra e proposte ragionevoli. Una banca “statale” nel mezzogiorno d’Italia non é , oltre che originale, ragionevole. Funzionerà male. Meglio di niente, si dirà : ma a quale prezzo, nel senso di costi in termini di clientele ed inefficenze nell’impiego dei soldi in ballo. La proposta è una maggiore concorrenza nel settore bancario (oggi abbiamo due o tre grandi gruppi ed uno in più formato da “amministrazione pubblica” che ripatrimonializza le banche socie comminando sulle gambe della rete Poste non sarà una grande rivoluzione/soluzione dei problemi di finanza e credito del sud Italia ) con una operazione di più ampio respiro che coinvolga una cordata di banche estere interessate ad entrare “nell’affare” di rilanciare investimenti e sviluppo nel sud Italia con sul piatto la contropartita di poterci guadagnare di sicuro, muoversi con condizioni e tariffe e criteri più liberi , di avere regole ferree fatte rispettare (questo dovrebbe fare “l’amministrazione pubblica”) facendo esplodere tutte le potenzialità che il sud Italia ha e che essendo regione piazzata nel centro del Mediterraneo deve avere un ruolo consono. Saluti

  3. Al di là delle opinioni di merito sulla banca del Mezzogiorno, siano davvero sicuri che serva? E nella logica della questione meridionale, siamo sicuri che la priorità fosse la Banca e non il ripristino di condizioni minime che consentano un noraùmale sviluppo?
    luigi zoppoli

  4. Aldo

    Verrebbe da chiedersi se tra le “dinamiche intrinsecamente connesse all’agire politico” che rischiano di rendere una “mangiatoia” la Banca del Mezzogiorno, Alberto Mingardi annovererebbe anche l’Istituto per lo Sviluppo della Formazione Professionale dei Lavoratori, al secolo ISFOL, di cui Mingardi stesso è Consigliere di Amministrazione, a seguito del decreto del 5 Agosto 2008 a firma del Ministro Sacconi. Dietro l’ennesimo acronimo prospera l’ente pubblico che si occupa di materie che l’intera letteratura liberista, sia nelle sue espressioni più ortodosse, sia nelle sue varianti eretiche, faticherebbe a considerare tra le prerogative principali di quell’istituzione venerabile, lo Stato, che il liberismo stesso, sin dagli albori,
    vorrebbe, se non abolire,quantomeno ridurre ai minimi termini. Ma si sa, anche i liberisti “tengono famiglia”…

  5. Ringrazio tutti per i commenti. Al lettore Aldo: l’Isfol esisterebbe nel mio Paese liberista ideale? No, ovviamente. Ma l’Italia non è il mio Paese liberista ideale, e, posto che il luogo appropriato in cui un consigliere d’amministrazione deve esprimere il proprio parere è per l’appunto il consiglio d’amministrazione, credo che molte delle attività dell’Isfol di monitoraggio delle politiche per l’occupazione siano utili.
    Una chiosa, su quello che mi sembra essere il sottinteso del commento. Se la sua logica fosse portata all’estremo, ne verrebbe fuori che i liberisti dovrebbero astenersi da qualsiasi azione politica, e parimenti da qualsiasi attività universitaria in atenei pubblici. Per fortuna abbiamo alcuni (troppo pochi) liberisti che fanno politica, ed alcuni (sempre troppo pochi) liberisti che insegnano in Università di Stato. Qual è l’alternativa? L’Aventino non mi entusiasma, come prospettiva – e se c’è una cosa che l’Istituto che dirigo ha sempre cercato di fare, è proprio calare le idee nella realtà. Non limitarsi ad enunciazioni di principio (che pure, servono sempre: perché non dobbiamo dimenticarci le nostre buone ragioni), ma cercare di individuare delle “soluzioni” a problemi reali che a quei principi facciano riferimento.
    Non ho problemi ad ammettere che sia altra cosa insegnare in un’università pubblica, e partecipare ad un board di un ente pubblico. Ma, al di là del fatto che ho grande stima dell’indipendenza di giudizio dei miei colleghi consiglieri e se permettete anche della mia, avere occasioni, anche piccole come questa, per capire come opera effettivamente lo Stato non è uno spreco di tempo. E se, nel mentre, riusciamo anche a dare una mano affinché certe risorse siano spese un po’ meglio e magari persino “meno”, non abbiamo fatto un’opera cattiva.
    Nelle scelte professionali e personali, ognuno obbedisce alla sua coscienza. Ho profondo rispetto per chi è portato dal suo antistatalismo a fuggire dal mondo. Se fosse stata la mia attitudine, avrei avuto abbondanti occasioni per fare le valigie. Personalmente qui sono e qui resto, sul poco che riesco a fare e dire chi vuole giudichi (e grazie per l’attenzione).

  6. rugantino

    I ministri del Sud erano contro Tremonti semplicemente perchè volevano ancora più soldi per il Sud di quelli che verranno buttati con questa inutile Banca del Mezzogiorno. E’ difficile capire perchè in un sito come questo ci si aggrappi ad appigli inconsistenti per non riconoscere una semplice verità: è una banca pubblica, che sprecherà denaro dei contribuenti finanziando clientele politiche.

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