25
Giu
2011

Acqua. Attenti a giocare col fuoco referendario

Continuano gli assestamenti post-referendari. Se a destra non s’ode alcuno squillo di tromba – infatti il governo e la maggioranza, troppo impegnati nella propria stessa sopravvivenza, hanno come rimosso il fatto che i servizi pubblici locali sono improvvisamente privi di una decente normativa di riferimento – a sinistra ne se sentono fin troppi. Al punto che, in alcuni casi, si arriva – virtualmente – alle mani.

L’occasione viene dal decreto sviluppo, appena convertito in legge (ma risalente a prima del referendum). All’articolo 10, commi 1 e seguenti il decreto istituisce l’Agenzia nazionale di vigilanza sulle risorse idriche. Questa norma venne approvata esplicitamente con l’obiettivo di depotenziare il referendum (“superato nei fatti”, disse il sottosegretario allo Sviluppo economico, Stefano Saglia). Ma, al di là della contingenza e al di là della scelta di affogare l’agenzia in un decreto dove c’è di tutto di più, il potenziamento della traballante Conviri era ed è cosa buona e giusta. (Si potrebbe discutere sugli enormi limiti e la scarsa indipendenza della nuova Agenzia, piuttosto).

Ora, l’esistenza di un regolatore indipendente è necessaria per superare la giungla tariffaria attualmente vigente e per dare al settore pubblico quella indipendenza, competenza e affidabilità che sono necessarie a esercitare una buona regolazione (tecnica ed economica). Il referendum, dal punto di vista normativo, non ha fatto venire meno questa esigenza, né, peraltro, impedisce in alcun modo l’ingresso o il coinvolgimento dei privati nella gestione dell’acqua e degli altri servizi pubblici, né tantomeno impone la cacciata di quelli che ci sono. Tuttavia, nella testa dei promotori della consultazione, il significato politico del voto va ben oltre la sua portata giuridica, al punto che uno dei più acuti esponenti del Forum dei movimenti per l’acqua, Ugo Mattei, scrive:

l’idea di Stato regolatore che non agisce direttamente nell’economia e che si limita a dettare le regole per la concorrenza fra privati è stata spazzata dal referendum.

Mattei, dunque, attacca alla radice l’idea della regolazione indipendente. L’aspetto interessante, e prevedibile, è che il suo vero obiettivo polemico non è il governo o il centrodestra, ma il Partito democratico, che il giurista torinese chiama a scegliere:

Il Pd ci dica chiaramente se vuole interpretare questa nuova visione o se resta legato alle lenzuolate bersaniane e agli estremismi della Lanzillotta.

Che la tensione tra l’opportunismo referendario del Pd e la sua radice riformista sarebbe prima o poi deflagrata era nei fatti. E, da tanti punti di vista, è attorno a questa scelta – che yours truly aveva pure sollevato nella giornata stessa del referendum, e che era stata ripresa e rilanciata sull’Unità da Luca Martinelli – che si giocherà il futuro del paese. Si giocherà lì molto più che a destra, un po’ perché la destra è allo sbando, un po’ perché, data la batosta referendaria, Berlusconi non può che giocare di rimessa. L’aggiustamento di rotta è stato affidato a Enrico Letta che, mentre ancora il Pd festeggiava la spallata al governo, così commentava:

Il referendum sull’acqua, il cui esito è chiaro e non può essere eluso, produce conseguenze che andranno gestite. La comunicazione ha concentrato tutte le attenzioni sull’acqua, ma gli effetti collaterali della norma abrogata toccano anche servizi dei trasporti, dei rifiuti e alti. E sono settori nei quali in molte parti del Paese le cose non funzionano. In Parlamento bisognerà cercare soluzioni per portare più efficienza e managerialità nella gestione. Ma rispetto al terremoto politico, è una questione minore.

Sicché, l’ordine di scuderia è di gettare acqua sul fuoco. Solo che manovrare un barcone come quello del Pd dopo un successo così schiacciante non deve essere semplice. Tant’è che quelli che sono stati più disinvolti nell’assumere posizioni referendarie, continuano, col fuoco, a giocarci. Prendiamo il caso degli Ecodem, Roberto Della Seta e Francesco Ferrante. Per capire bene di chi stiamo parlando, ricordo che entrambi provengono da una lunga e onorata militanza in Legambiente. Legambiente, che pure invitava (incredibilmente) a votare due sì, nella pagina del proprio sito dedicata al tema diceva esplicitamente che uno dei problemi delle gestioni idriche italiane è che l’acqua costa troppo poco. Avete capito bene: troppo poco. Il che, per un’associazione ambientalista, è perfettamente razionale, visto che il consumo idrico produce una serie di esternalità negative. Naturalmente ciò è incoerente con la richiesta di una struttura tariffaria che non rifletta interamente i costi di produzione del servizio, ma in fondo stiamo parlando di politica, dunque chi se ne frega della coerenza e della razionalità?

Dicevo, comunque, Della Seta e Ferrante. Hanno commentato così la conversione in legge del decreto sviluppo:

“Il governo prenda atto dei risultati dei referendum sull’acqua, e tolga dal decreto sviluppo la norma cheistituisce un’Agenzia per i servizi idrici nominata dall’esecutivo”. E’ quanto chiedono in un comunicato i senatori del Pd Roberto Della Seta e Francesco Ferrante, che aggiungono: “Dopo il voto con cui 25 milioni di italiani hannodetto che va salvaguardato il carattere pubblico del servizio idrico, che l’acqua è un bene comune e non una merce, è bene che governo e maggioranza rispettino questa volontà così largamente maggioritaria. Ciò che serve ora è un intervento organico che riorganizzi la gestione dei servizi idrici in accordo con le ragioni referendarie, mentre l’Agenzia prevista nel decreto sviluppo, un organismo di fatto emanazione del governo, sarebbe una finta soluzione che lascerebbe, nella sostanza, tutti gli attuali nodi irrisolti.” “Il Partito democratico, che nei mesi scorsiha presentato una propria proposta di legge che raccoglie le indicazioni dei referendum, non accetterà colpi di mano di una maggioranza che quanto più diventa debole e tanto più si mostra arrogante” – concludono i senatori ecodem.

A nessuno sfuggirà che la nota è scritta in modo tale da poter essere letta in due modi opposti. La massa che non ha approfondito la faccenda capirà che i due senatori sono contro la regolazione indipendente dell’acqua perché questa è incompatibile con una sua gestione interamente pubblicistica. E’, in fondo, quello che chiede Mattei. A chi invece mastica un poco di questioni idriche è chiaro che i due stanno dicendo, seppure in modo un po’ contorto e oscuro, una cosa su cui io stesso sono perfettamente d’accordo: poiché non sta né in cielo né in terra che si torni a una gestione interamente pubblicistica, la buona regolazione deve essere l’architrave del sistema. E, in questo, la proposta del Pd è indubbiamente migliore di quella del Pdl (spero che Roberto e Francesco non si offendano se dico che loro sostengono una soluzione che sta “a destra” rispetto a quella prospettata dal governo). Ragion per cui io penso, e ho scritto, che tale proposta (e il ddl Lanzillotta per gli altri servizi pubblici locali) dovrebbe rappresentare la base di partenza per estrarre il bene mercatista dal male referendario.

Succede, però, che non ci sono solo io a rendermi conto di tutto ciò. Succede che se ne rende conto pure Andrea Palladino (anzi: lui prima di me), il quale sferra un attacco durissimo agli Ecodem. Che la proposta del Pd raccolga le indicazioni del referendum, dice Palladino, è

Una bugia politicamente colossale, visto che il progetto di legge dei democratici non solo spinge chiaramente sulla gestione privata dell’acqua – attraverso il modello toscano delle società miste – ma tradisce il secondo quesito referendario prevedendo, apertis verbis, la remunerazione dei capitali investiti.

Insomma: gli stessi Ecodem si sono sporcati le mani con lo sterco del demonio! La loro replica è un po’ buffa:

Quanto alla possibilità di calcolare nella tariffa la remunerazione del capitale investito, oggetto del secondo referendum, la proposta del Pd prevede di affidare a un’Autorità nazionale indipendente la definizione dei parametri per il calcolo della tariffa, e tra i criteri indicati figura la remunerazione dell’attività industriale del gestore ma non la remunerazione del capitale investito (cioè in parole povere il “profitto”).

Buona per i campionati mondiali di arrampicata sugli specchi. Infatti, a me non interessa che il costo del capitale venga chiamato costo del capitale, profitto, remunerazione dell’attività industriale, o Pippo Pluto e Paperino. Basta che tutti i costi (inclusi i costi dell’investimento) siano coperti in tariffa. Questo chiede la gestione razionale delle risorse idriche, questo diceva la legge Galli, questo prevedeva il parzialmente abrogato Codice ambientale, questo impone la Water Framework Directive, questo suggerisce il Pd nella sua proposta di legge, e questo sostengono Della Seta e Ferrante. Tanto mi basta. Ma tanto basta anche a una buona parte del movimento per l’acqua pubblica, che giustamente rivendica come sua la vittoria referendaria e che ha vissuto l’improvvisa discesa in campo del Pd come un’invasione, per non farsi prendere in giro. E per indulgere, citando Della Seta e Ferrante, in

una radicata abitudine della vecchia sinistra – prendersela soprattutto con i primi vicini

Il bello è che non finisce qui. Perché Palladino non sembra accontentarsi neppure di chi sta ampiamente a sinistra di Della Seta e Ferrante. Credete forse che la molto sbandierata “ripubblicizzazione” dell’Acquedotto pugliese (grazie alla quale la regione Puglia ha scacciato il suo socio “privato” dal capitale della società: la regione Basilicata) sia sufficiente a conquistare a Nichi Vendola il sostegno dei comitati? Macché:

non possiamo non rilevare e, conseguentemente, non esprimervi la nostra forte perplessità sulle modalità e i tempi dell’approvazione del Disegno di Legge e su alcuni dei contenuti dello stesso che fanno emergere diverse contraddizioni.

Con tanto, anche qui, di reciproche accuse. Molto esplicito l’assessore pugliese ai Lavori pubblici, Fabiano Amati:

Non siamo disponibili a pagare più di uno stipendio per l’amministratore dell’azienda e pertanto la richiesta di un consiglio di amministrazione, detto tecnicamente, o comitato dei lavoratori, detto con eleganza, non può essere da noi accolta… Se qualcuno avesse pensato che la collaborazione nella stesura della legge si sarebbe potuta trasformare in reclutamento negli organi di amministrazione di Aqp – prosegue Amati – sappia che ha sbagliato indirizzo, perché questo modo di fare è esecrabile sempre, non solo quando si tratta di selezionare i manager della sanità.

Io non so se dietro a tutto ci sia davvero una questione di poltrone (non mi interessa ma non mi stupirebbe). Credo però che questa storia, ancor più del comprensibile ma pericoloso equilibrismo di Della Seta e Ferrante, aiuti a comprendere almeno quattro cose. Primo: quando metti il piede sul piano inclinato della “purezza”, c’è sempre qualcuno più puro di te che ti potrà accusare di tradimento, diserzione e deviazionismo, specialmente se questo piano inclinato è orientato verso obiettivi puramente ideologici (o “formali”) e privo di appigli pragmatici (o “sostanziali”). Secondo: all’opposto, dietro la purezza si nasconde spesso l’ambizione e dunque il confine è molto labile tra l’essere i “custodi della verità” e l’essere i “gestori della municipalizzata”. Perché l’acqua sarà anche di tutti, ma le decisioni – quali investimenti fare, come finanziarli, con quali tariffe, eccetera – fatalmente le dovranno prendere in pochi, e a quel punto slogan come la “partecipazione” o astrazioni come il popolo in marcia sono strumenti molto inadatti. Il miraggio dell’unità si rompe e chi lo rompe per primo è quello “più a sinistra di te”, come hanno sperimentato sulla loro pelle Della Seta e Ferrante. Terzo: tramite il referendum, i referendari hanno venduto agli italiani la pelle di un orso che non esiste. Perfino la manovra pugliese – un esperimento drammatico per le sue dimensioni di autentica ripubblicizzazione, che finirà per naufragare nelle perdite, nelle incomprensioni, nelle difficoltà operative e, ça va sans dire, nella lottizzazione – non riesce a soddisfare il Vademecum del Buon Referendario. Il Vademecum richiede più acqua gratis per tutti ma, nel mondo reale, l’acqua costa (e la scelta non riguarda se pagarla ma chi paga). I referendari hanno scoperto una cosa importante: la scarsità. Non è mai troppo tardi per imparare. Quarto: mobilitare le masse con la promessa di mutare l’acqua in vino è molto più facile che mutare l’acqua in vino. In una democrazia sana la discussione non riguarda se vorremmo tramutare l’acqua in vino o addirittura in quale vino: tutti lo vorremmo. In una democrazia sana, la prima domanda che tutti fanno a chi dice che trasformerà l’acqua in vino è: come? attraverso quale processo? con quali soldi?

Purtroppo queste domande ben pochi le hanno fatte prima di votare sulla trasformazione dell’acqua in vino, e siamo costretti a farcele adesso. Ora che la casa va a fuoco, cioè, abbiamo cominciato a capire che il fuoco scotta. E l’acqua per spegnerlo, seppure gratis, non c’è perché è andata perduta durante il tragitto.

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13 Responses

  1. alberto

    “Naturalmente, il tipo di cultura che sta alle spalle dell’Ulivo, del Polo e della Lega e’ molto diverso: ma il capitalismo e’ oramai il comune denominatore di queste diversita’ culturali e tende a eliminare la loro resistenza e a renderle dimensioni subordinate alla volonta’ di profitto”. ( E. Severino, Il Destino della tecnica, pag. 116).

  2. Piero

    bravo Alberto… leggi E. Severino… strano x gente che frequenta questo sito..
    Severino ha portato alle estreme conseguenze logiche le idee di Martin Heidegger…

    completo il tuo ragionamento.. Severino dice…

    l’Occidente è angosciato dal Nulla (che però x Severino nn può esistere.. siamo dei Folli a pensarlo)..

    un tempo usavamo le Religioni x Sperare in un Al di là..

    oggi Speriamo che la Tecnica (ed il Capitalismo) ci offrano nell’ Al di qua un Ben-Avere che usiamo come Metadone x gestire l’Angoscia del Nulla Assoluto… la Morte..

    PS: x Carlo che senò a leggere questi discorsi di filosofia si annoia.. Lui è un Concreto..
    about il Profitto e l’Arrampicata sugli specchi hai 10000% di ragione.. sai come si fa a raggirare i meccanismi di Price Cap… semplice… si Gonfiano i Costi con la Contabilità Analitica (es. ammortamenti accorciati, fondi rischi inisistenti, ore lavorate, ecc.) oppure con le Forniture Esterne.. il risultato finale è che così il Profitto c’è ma è Meno Trasparente e Meno Controllabile dai cittadini.. dalla padella nella brace..
    PS2: Carlo ti ho inviato una mail alla info chicago blog.. se hai tempo dacci un occhio.. e correggi un refuso del 300% sul Giappone (è solo 200%) nel caso tu voglia pubblicarlo..

  3. Gianni

    @Piero

    “Volontà di profitto….” Alla faccia dei liberisti! Meglio “Ansia di fallimento..” o anche “Ansia precoce di morire..e la ricerca che chiudevo in te, oggi vi si muta ”

    Raggiro dei meccanismi di Andy-Capp! . E oggi come funzionano le cose?
    L’acqua gratis non la paghi?
    Come il tram gratis, per chi lo usa, infatti lo paga chi non lo usa… e lo paga tre volte,

    Ogni attività ha il DOVERE di guadagnare, altrimenti danneggia tutti quanti. L’Agenzia dell’acqua funziona (in Francia) e con tutta probabilità non funzionerà in Italia.

    L’incenerimento dei rifiuti è perfetto in Svizzera, funziona a Busto Arsizio e non funziona a Napoli. La sanità funziona in Lombardia e non funziona a Reggio Calabria, anche se costa tre volte tanto.

    Forse sono le teste che non funzionano, soprattutto quelle atterrite dall’odio che hanno del profitto altrui,

    Adieu, bògia nein!

  4. Piero

    @Gianni

    belle le citazioni di Nietzsche AndyCap Quasimodo..

    condivido paragone Francia/Italia.. e giusto guadagno..

    casomai nn si fosse capito.. votai NO sull’acqua..

  5. roberto della seta

    Caro Stagnaro non sarò io – “equilibrista ecodem” – a convincerti che tra l’idea che i servizi pubblici legati alla gestione delle risorse naturali vadano affidati interamente al Mercato, e l’idea che vadano lasciati interamente ed esclusivamente allo Stato, può esservi qualcosa di mezzo. Mi limito allora a un’osservazione: resto stupito che un liberale duro e puro come pensi che obbligo e facoltà siano la stessa cosa, che siano la stessa cosa l’obbligo di privatizzare la gestione dei servizi idrici – previsto dalla norma Callderoli-Ronchi abrogata con i referendum – e la facoltà per i Comuni di decidere la forma di affidamento ritenuta più efficiente ed efficace prevista invece nella proposta del Pd.
    Su un punto, mi auguro, siamo comunque d’acxcordo: non c’è alcuna norma europea che inserisca l’acqua tra i servizi pubblici locali da “mercatizzare” obbligatoriamente, dunque almeno si discura senza invocare inesistenti tagliole comunitarie.

  6. Carlo Stagnaro

    Piero: non ho ricevuto nulla, scrivimi per favore alla mia mail diretta: carlo . stagnaro @ brunoleoni . it

  7. Carlo Stagnaro

    Caro Della Seta, grazie per il commento. Non c’è dubbio che la legge Ronchi-Fitto fosse più rigorosa, anche se in modo un po’ pasticcione, rispetto alla normativa europea di riferimento. Vale la pena ricordare che l’obbligo di privatizzazione era molto parziale: parziale perché riguardava solo una parte del capitale delle società interessate, e parziale perché si applicava alle sole società pubbliche titolari di affidamento diretto. (In realtà i comuni avrebbero potuto, in alternativa alla parziale privatizzazione, bandire delle gare aperte anche ai soggetti pubblici).
    Confesso, però, che questo esercizio autoptico non mi interessa più. Bella o brutta che fosse, la legge Ronchi-Fitto non c’è più. Trovo più interessante riflettere su quello che ci sarà. E, sebbene come dici tu il diritto comunitario lasci aperte le maglie per sottrarre l’acqua ai servizi “di rilevanza economica”, voglio sperare che questa strada non verrà battuta. Senza contare che il referendum (primo quesito) travolge anche gli altri servizi pubblici locali.
    E quindi torno, noiosamente, alla mia proposta: il governo faccia propria sull’acqua la proposta del Pd, sugli altri SPL il ddl Lanzillotta. Do per scontato che tu sia d’accordo. Do anche per scontato che il movimento referendario non lo sia. Attendo con trepidazione le prossime puntate della discussione sul Manifesto.

  8. roberto della seta

    Il Parlamento non puo (politicamente, per un periodo anche formalmente per consolidata giurisprudenza costituzionale) fare proprio il ddl Lanzillotta – che mi dispiace deludere, non condivido affatto -, per la banale ragione che c’è stato il referendum.

  9. Francesco Marangi

    art. 1 della Legge Regionale della Puglia n.11 del 20 giugno 2011: “L’acqua é un bene comune, di proprietà collettiva, essenziale ed insostituibile per la vita. Etc..”.
    Parole e categorie giuridiche pesanti, con non pochi dubbi: cosa é una “proprietà collettiva”? Forse s’intende che è un bene in comproprietà? Se si, chi sono i comproprietari? I singoli individui e quali? I residenti in Puglia? E perchè soltanto loro, e non gli abitanti di tutta la terra, visto che il Paroliere Vendola e compagni si sono scomodati ad inserire nelle norme continui richiami all’ONU?
    La comproprietà tra noi singoli individui sarà o potrà essere disciplinata come da codice civile?
    Un risvolto pratico: Come tantissimi in Puglia, dove non ci sono corsi d’acqua di superficie, ho, nella mia abitazione in campagna, una cisterna scavata nella roccia dove raccolgo l’acqua piovana.
    Se la proprietà è collettiva, a che titolo la posso raccoglierla? Raccogliendola, compio un illegalità e sono atti illegali anche quelli successivi di uso, di disposizione (la vendo, la regalo)? Una volta raccolta, il mio confinante o chiunque altro può pretendere, finanche ricorrendo alla tutela giudiziaria, di prendersi l’acqua che ho raccolto? Potrà essermi confiscata in favore della collettività (o della comproprietà)?r
    Sarà triste e frustrante assistere alla consuete insipienza con cui il certo destra affronterà, sempre che non preferisca, more solito, sottrarsene, una sfida che richiede la discesa sul campo dei valori: diritto di proprietà e liberta.
    Ad esempio, si prenderà la briga, che so, di far valere la possibile incostituzionalità della legge che, pur con il suo linguaggio giuridicamente equivoco, sembra impedire il diritto di proprietà?
    Comincerà ( meglio tardi che mai) a formulare un proprio linguaggio, anziché usare la Neolingua dei Vendoliani e degli altri sinistri, poiché dal linguaggio passano i concetti e le idee, e quindi comincerà a denunciare il significato sostanziale di parole suadenti tipo “governace” oppure “partecipazione”?
    A tal proposito, qualcuno sa cogliere e spiegarmi la differenza sostanziale tra il meccanismo delineato dall’art. 6 della legge e l’antica struttura della società corporativa del fascismo o di quella del soviet?

  10. Carlo Stagnaro

    Forse il parlamento non può legiferare per prassi, ma lo stesso parlamento *deve* legiferare perché non solo l’acqua, ma l’intero settore dei servizi pubblici locali è privo di una CHIARA (sottolineo: CHIARA) disciplina di riferimento. Del resto, se fosse vero quello che dici, allora si applicherebbe anche allo stesso progetto del Pd sull’acqua (che, peraltro, ribadisce il principio sacrosanto per cui tutti i costi devono essere coperti dalla tariffa). Invece, siamo d’accordo almeno sul fatto che tale proposta sia una valida alternativa da un lato alla legge Ronchi-Fitto, dall’altro al vuoto determinato dal referendum.
    Quanto al ddl Lanzillotta, mi scuso: ero convinto che nella scorsa legislatura tu facessi parte della maggioranza di centrosinistra, che sosteneva il ddl (inclusa Rifondazione, nella versione modificata del provvedimento che escludeva l’acqua dal suo ambito di applicazione). L’obiettivo del ddl era appunto dare sostanza alla normativa comunitaria: gare, gare e ancora gare. Prendo atto che invece eri schierato, almeno su questo, col centrodestra che osteggiava il ddl Lanzillotta.

  11. roberto della seta

    Nella scorsa legislatura non facevo parte della maggioranza né ero iscritto ad alcun partito di centrosinistra. In questa ho firmato un ddl per escludere l’acqua dai servizi di rilevanza economica e ho votato contro il 23bis del dl 112 (Ronchi-Calderoli). Non condivido molte tesi del movimento per l’acqua pubblica, a cominciare dall’idea che gli investimenti nel sistema idrico debbano essere a carico della fiscalità generale, ma so anche che il referendum, in particolare il primo quesito (abrogazione del 23bis), non ha lasciato alcun vuoto: semplicemente ha riportato la legislazione a un attimo prima della pubblicazione del dl 112 (quando, mi risulta, i privati erano già da tempo entrati nei spl).

  12. Carlo Stagnaro

    Il problema è che il referendum va ben oltre quello che dici, e cavalcando il referendum (in particolare il secondo quesito) tu e altri avete consapevolmente fatto crescere un mostro. Perché adesso sarà politicamente difficile tornare al principio, su cui mi pare entrambi concordiamo, per cui la tariffa deve coprire tutti i costi (inclusi quelli di investimento). Il referendum non ha semplicemente cancellato la regola del 7 per cento (discutibilissima): il referendum ha travolto un *principio* e ricuperarlo sarà difficile, perché ci sarà, appunto, sempre e comunque qualcuno più a sinistra di te. Credo che la vostra posizione sarebbe stata molto più credibile se aveste chiesto tre sì e un no.
    Sul punto delle gare, non sono francamente d’accordo: la normativa vigente (cioè, come dici tu, quella un attimo prima del dl 112) è non chiara e non stringente. Tant’è che due successivi governi, con due maggioranze differenti, hanno ritenuto necessario intervenire per fare dare un assetto decente al settore (che, in tutta evidenza, non ce l’ha).

  13. Luciano Pontiroli

    Se Ugo Mattei è un acuto esponente del movimento referendario, è perché ha il coraggio di esporre le sue opinioni in maniera chiara. Scrivendo di altri argomenti, ha sostenuto che la caduta dell’URSS è la causa del deterioramento delle condizioni di vita dei lavoratori in Occidente, perché sarebbe venuto meno lo spauracchio sovietico che aveva indotto i governi capitalisti a concessioni sociali dirette ad addormentare la vocazione rivoluzionaria del popolo (guarda caso, le rivoluzioni ci sono state, in Europa, ma dove si pretendeva che il popolo fosse al governo).
    Il prof. Mattei gurda anche oltre i confini nazionali; un suo libro descrive il saccheggio delle risorse mondiali compiuto tramite i trattati commerciali ineguali, cui però tutti vogliono partecipare.

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