25
Nov
2009

Robin Tax. Attenzione: il furto genera dipendenza

La Robin Tax, introdotta nell’estate 2008 per “prendere ai ricchi e dare ai poveri”, non si ferma più. La Commissione Affari costituzionali del Senato ha approvato un emendamento del Pd che porta da 6,5 a 7,5 punti percentuali l’addizionale Ires per il settore energetico. Questa volta, obiettivo della manovra è finanziare la cancellazione del limite di 22 mesi per la copertura assicurativa ai lavoratori che hanno conseguito l’inabilità a causa di un infortunio. Qui il testo dell’emendamento di Rita Ghedini e Marilena Adamo, qui la cronaca di Quotidiano energia (per abbonati), qui un commento di Diego Menegon per Libertiamo. Se l’aggravio non sarà cancellato dall’aula – pare che il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, sia contrario – le imprese energetiche arriveranno a pagare un’aliquota del 35 per cento, assurdamente più alta di quella garavante su tutte le altre imprese.

Sono molte le ragioni di scetticismo verso questa mossa. Molte riguardano l’istituto stesso della Robin Tax, un’imposta populista e ingiustificata, di cui ci siamo occupati a suo tempo assieme a Piercamillo Falasca. Vale la pena ricordare che il presupposto teorico, ancorché farlocco, era all’epoca che i prezzi del petrolio stavano correndo verso i 150 dollari al barile, sospinti da chiare tendenze speculative. Lasciamo perdere che nessuno dei soggetti colpiti dall’imposta ne beneficiava direttamente, e che anzi molti vivevano la cosa come una presa in giro, visto che il greggio per loro rappresentava un costo di produzione, e dunque subivano le conseguenze negative del caro-barile tanto quanto gli altri. Lasciamo perdere anche che ora il vento è cambiato e, nonostante il ritorno della speculazione (a proposito: la Fed si è accorta, dopo due anni di porcherie di ogni sorta, che una politica monetaria lasca incentiva l’assunzione di rischi irrazionali), il mondo appare assai diverso da com’era solo un anno e mezzo fa. Lasciamo perdere anche che, nel passato, il gettito della tassa è stato impiegato per finanziare di tutto di più: la social card è stata un flop, in compenso il finanziamento pubblico all’editoria guai a toccarlo. Lasciamo perdere, infine, che la spesa pubblica italiana è assai inefficiente, quindi volendo i soldi li si possono trovare da interventi per razionalizzarla, anziché aumentare le tasse. Lasciamo perdere, infine, che tanto tempo fa, in una galassia molto lontano, Silvio Berlusconi prometteva meno tasse per tutti.

Il problema è che l’atteggiamento di maggioranza e opposizione, in questo assolutamente allineate, è di mero bullismo fiscale. Le imprese energetiche vengono colpite per tre ragioni: la folla si eccita all’odore del sangue, sono bersagli grossi e quindi facili, per loro è faticoso delocalizzare. Quindi, sotto a chi tocca. Sennonché, il gioco funziona nel breve termine. Nel lungo termine, l’effetto è drammatico. Anzitutto sul settore energetico: che in Italia ha un enorme bisogno di investimenti, specie in infrastrutture. Il modo peggiore di attirare investitori è rapinare i passanti, tra l’altro con la pagliacciata del divieto di traslazione dell’imposta (affidato alla vigilanza di una ora riluttante, ora un po’ troppo zelante Autorità per l’energia) che ha l’effetto di burocratizzare all’inverosimile un settore già soffocato dalle carte bollate.

Ma anche il resto dell’economia ne soffrirà, e non poco. L’Italia e questo governo si confermano inaffidabili. Ritoccare la stessa imposta, avendo per mira un numero tutto sommato limitato di soggetti, per tre volte in un anno e mezzo è una cosa che grida vendetta al dio dei mercati. Viene il sospetto che vi sia una sorta di inerzia: l’aumento delle tasse genera dipendenza. Come dei cocainomani incalliti, i nostri parlamentari non sanno trovare di meglio che rincarare le aliquote fiscali, perché non sanno né smettere di spendere, né razionalizzare le spese. Fare tutto questo all’indomani della pubblicazione dell’indagine Ocse, secondo cui il nostro è il quarto paese più tassatore tra quelli industrializzati, spinge a pensare che delle due l’una: o c’è un piano conscio di mobbing nei confronti di quel settore, allo scopo di alzare barriere all’ingresso e frenare ogni forma di concorrenza. Oppure si è totalmente incapaci di comprendere le conseguenze delle proprie azioni. Per quel che ne so, per quel che capisco e per quel che percepisco, è vera la seconda interpretazione, ma una parte di me spera in fondo in fondo nella prima. Il genio è pur sempre meglio, anche se è genio votato al male, della minchioneria.

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