14
Set
2020

Referendum – Perché voterò No

Riceviamo e volentieri pubblichiamo da Suor Anna Monia Alfieri

Il primo passo è partire sempre dalla Costituzione. Come italiani, in quanto cittadini, dobbiamo sempre iniziare da lì, dalla Costituzione. Essa stabilisce che la sovranità appartiene al popolo, cioè a tutti i cittadini, che la esercitano nelle forme e nei limiti che la Costituzione stessa indica (Art.1).

Secondo passo: Che cosa si intende con il termine “sovranità”? La Sovranità è la somma dei poteri detenuti da un singolo cittadino o da un organo collegiale. In Italia la somma di questi poteri di governo spetta al popolo, non ad altri, proprio perché, lo ripetiamo, siamo cittadini, siamo una Democrazia. E siamo cittadini perché abbiamo una Costituzione che ce lo dice, una Costituzione nata dal travaglio della Guerra, delle leggi razziali, della Resistenza. Correva il 2 giugno 1946: per la prima volta in una consultazione politica nazionale votavano anche le donne (risultarono votanti circa 13 milioni di donne e 12 milioni di uomini), pari complessivamente all’89,08% degli allora 28.005.449 di aventi diritto al voto.

Con 12.717.923 cittadini favorevoli nacquero la Repubblica Italiana e l’Assemblea Costituente, che in poco meno di due anni, elaborò la Carta Costituzionale, entrata in vigore il 1° gennaio 1948. È sempre doveroso ricordare da dove si parte: occorre conservare il ricordo delle cause che hanno determinato scelte fondamentali per la nostra storia. Soprattutto adesso: la stragrande maggioranza di chi ha vissuto quegli anni ormai non c’è più. Le celebrazioni del 4 novembre, del 25 aprile, del 2 giugno non sono più animate dalle sezioni “Combattenti e reduci” (quelli veri), come accadeva, in ogni paese, fino a qualche anno fa. Ora abbiamo i figli, abbiamo i nipoti e non è la stessa cosa. Un ricordo sbiadito, appreso spesso più dalle fiction che sui libri di storia.

Torniamo da dove siamo partiti: la sovranità. Il popolo come la esercita materialmente? Una delle più importanti forme di espressione della sovranità popolare è l’elezione del Parlamento che è composto dalla Camera dei Deputati e dal Senato della Repubblica che hanno eguali compiti e poteri (il bicameralismo perfetto). Il Parlamento è un’Istituzione centrale nel nostro sistema costituzionale. Esso infatti approva le leggi, indirizza e controlla l’attività del Governo, svolge attività di inchiesta su materie di pubblico interesse, concede e revoca la fiducia al Governo; inoltre il Parlamento, in seduta comune, con la partecipazione dei delegati regionali, elegge il Presidente della Repubblica. Infine il Parlamento, sempre in seduta comune, elegge una parte dei giudici della Corte costituzionale e dei componenti del Consiglio Superiore della Magistratura. Ecco i poteri del Parlamento, poteri attribuiti perché la democrazia possa essere custodita e mantenuta. E così è stato. Anche negli anni più bui della nostra storia repubblicana. Il Parlamento, vero presidio della libertà. Discussioni aspre, accese, ma sempre in Parlamento. Aborto, divorzio, lotta al terrorismo: sempre in Parlamento. I cittadini possono esprimersi e governare realmente la Nazione non solo in fase elettorale ma ancor più nel regolare svolgimento delle attività delle aule parlamentari.

Tutto questo, ovviamente, stride con la realtà attuale: da dicembre 2018 ad oggi l’ordinaria attività del Parlamento è impedita poiché si agisce per DPCM e ogni provvedimento passa (prolungamento dello stato di emergenza compreso) con il voto di fiducia: una pura formalità, nulla è più discusso, migliorato, rettificato, votato. In parole povere: la concentrazione dei poteri governativi in un’unica persona. Un dato di fatto. Anche chi è meno avvezzo alla politica, si è accorto che sta prevalendo una modalità di governance che scavalca il ruolo del Parlamento, mettendo così a dura prova la Democrazia e la Libertà dei cittadini. Non a caso il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, costituzionalista di chiara fama, aveva rivolto al Governo e a tutti i leader dell’opposizione un appello alla responsabilità nazionale nel redigere il Decreto Cura Italia e quelli a seguire. Appariva naturale e doveroso un atteggiamento di unità, dialogo e spirito di collaborazione. L’appello però è caduto, ancora una volta, nel vuoto e cosi tutti quelli che sono seguiti. A rimetterci, ancora una volta, sono gli italiani, soprattutto i giovani. Una governance, quella degli ultimi 22 mesi, ben lontana dall’Art.1 della Costituzione. Ma non è tutto.

I cittadini italiani, oltre ad essere lesi nei loro diritti che potremmo definire “ontologici”, perché riguardano la natura stessa del loro essere tali, sono lesi nelle loro aspettative per il futuro. Si fa sempre più concreto il rischio di condannare il Paese ad un debito senza precedenti, che le generazioni future non potranno ripagare. Pochi giorni fa il dott. Mario Draghi ha ritenuto doveroso avvisare il Governo che, una volta esauritisi i sussidi, necessari per ripartire, il rischio è che ai giovani resti soltanto «la mancanza di una qualificazione professionale, che potrà sacrificare la loro libertà di scelta e i loro redditi futuri». Agli italiani quindi, lesi nei loro diritti, danneggiati nel loro portafoglio, si rischia di togliere anche il diritto all’istruzione. Peggio dei tempi della Legge Coppino (anno 1877). La preoccupazione circa l’educazione delle nuove generazioni non è inutile: quello del monopolio educativo è un pericolo che si fa sempre più minaccioso, considerato che ormai è chiaro che il diritto all’istruzione riparte per alcuni e non per tutti. I grandi esclusi sono sempre gli stessi: i poveri e i disabili. Le soluzioni c’erano e ci sono, spiegate e dettagliate in ore di dirette nei 200 gg di lockdown della scuola, nei numerosi emendamenti dell’opposizione e di parte delle forze al Governo stralciati dal Governo stesso, perché considerati insostenibili, inammissibili e via discorrendo.

Eppure chi ha buona memoria ricorderà che nel 2014 si invocava il potere al popolo, la rottamazione della casta, il Parlamento aperto come una scatola di tonno per controbilanciare anni di baronato della politica. A chi aveva esperienza di conduzione di opere complesse era evidente, già allora, che gli italiani stavano per cadere in un pericolo che si sarebbe rivelato fatale. Arriviamo, a distanza di sei anni, al triste epilogo (ampiamente previsto). Negli ultimi due anni ha preso sempre più piede l’abitudine di licenziare manovre finanziarie e decreti importanti oltrepassando la garanzia della Democrazia: il confronto in Parlamento con successiva votazione (il popolo non conta più). Probabilmente la ragione di tale modalità di procedere è riconducibile alla litigiosità e mancanza di coesione all’interno della maggioranza di Governo, perennemente a rischio di crisi, in cui è palese il gioco del ricatto reciproco. In sostanza, siamo ad un Regime dipinto di Democrazia, pericoloso sia nell’immediato, sia a lungo termine, soprattutto in situazioni di emergenza come quella del Covid-19. È paradossale che, dovendo decidere in fretta, bypassare le pieghe della democrazia risulti non solo naturale, ma passi per un atto dovuto. Eppure in quella frase usata come attenuante “non c’è tempo, siamo in stato di emergenza” si insinua il pericolo di decidere senza una visione di insieme, una progettualità di ampio respiro a beneficio della collettività. La conseguenza è semplice da prevedere: si prendono decisioni limitate a vantaggio di pochi (riproponendo, pertanto, la tanto vituperata casta).

Al contrario, solo un’ampia trasversalità consente di intraprendere cammini di riforma effettivamente capaci di giovare ai cittadini, esattamente come è avvenuto per la stesura della Costituzione, quando uomini e donne di cultura e formazione diverse si riunirono per dare all’Italia un futuro. Non fu grazie all’intervento di Togliatti che fu approvato l’articolo 7 della Costituzione che prevedeva l’accettazione dei Patti Lateranensi? Per fare un esempio. Ma erano altri tempi. I Padri costituenti uscivano dalla Resistenza, dalle rappresaglie, dalle torture di via Tasso; chi ci governa esce dalle piazze animate dai Vaffaday, ovviamente dopo essersi dati una sistemata al look. I Padri costituenti, consapevoli del loro ruolo istituzionale, non abbandonavano la cravatta neanche in spiaggia. Chi ci governa, invece, in spiaggia non solo ci va, ma pure in costume da tronista e in posa da rotocalco. I tempi sono cambiati. La politica è l’immagine della società.

E i risultati politici del cambiamento si vedono. È notizia del 04.09.2020 che, con una Memoria scritta nell’ambito delle consultazioni preliminari all’esame del disegno di legge A.S. 1925 di conversione del decreto-legge 104/2020, la Corte dei conti ripete esattamente gli allarmi lanciati dal Presidente della Repubblica, dalla Presidente del Senato e dal prof. Draghi. In estrema sintesi “Come già osservato in occasione delle precedenti manovre finanziarie, in un contesto di emergenza sanitaria quale quello che stiamo attraversando, la politica di bilancio è chiamata a giocare un ruolo indispensabile”. E la Corte dei Conti non fa mistero che la scelta di procedere ad erogazioni e ad indennità diffuse è altamente rischiosa perché, come ogni logica di assistenzialismo indiscriminato, non pone le premesse per ripagare il debito e rilanciare il Paese, soprattutto in un contesto di emergenza. Un giudizio aggravato dalla chiara mancanza di progettualità. Difatti tali misure “si innestano in un contesto normativo già frammentario e disorganico che richiederebbe, invece, una riconsiderazione complessiva al fine di costruire assetti normativi efficaci e stabili, evitando il ricorso a interventi che non contribuiscono a risolvere strutturalmente i problemi, ma si limitano a differirli. Essi mancano di un respiro sistematico e ciò non può che creare incertezza nelle amministrazioni”.

Evidentemente nell’emergenza occorre avere una forte progettualità, uno sguardo a lungo termine e agire per priorità. Il taglio dei parlamentari per risparmiare sugli stipendi lo è?

Ragioniamoci. Il Parlamento Italiano è composto da 945 parlamentari su una popolazione di 60,36 milioni di persone con un rapporto di un deputato per poco più di 63.000 abitanti: per fare un confronto l’Assemblea Nazionale francese si compone di 577 membri eletti, su una popolazione di 67 milioni di persone, con un rapporto di un deputato per poco più di 116.000 abitanti. Un numero di Parlamentari non solo collegato al numero dei cittadini ma soprattutto pensato come garanzia e presidio garante della Democrazia. Occorre infatti ricordare le cause che hanno fatto pensare che fosse necessario un certo numero di parlamentari.

Ritorniamo a quello che si diceva poco sopra. Tagliare il numero dei parlamentari non significa altro che compromettere la democrazia, delegittimare ampiamente il popolo e la sua sovranità. Non sarà che si vuole fare del Covid e dell’emergenza che ne è scaturita la coperta troppo corta che copre i DPCM e i voti di fiducia rivestendoli di forma? Come si potrà fare a consentire ad una forza di governo non eletta ma composta con accordi, contratti, trattative, di governare? Semplice: riducendo la sovranità del popolo tramite la riduzione del numero dei parlamentari. Il gioco è fatto.

E non si attacchi con il discorso demagogico del risparmio nel taglio dei parlamentari, cioè cittadini eletti liberamente. Certo, occorre risalire al 2008 per ritrovare l’ultimo governo eletto dai cittadini: dal 2011 si avvicendano “governi tecnici” e “governi accordo”. Meglio allora pagarli e pagarli bene i parlamentari di modo che adempiano bene il loro compito e non si dedichino ad altro.

Forse la preoccupazione dovrebbe essere quella che siano preparati, formati, competenti e non improvvisati. Affidereste mai l’operazione di vostro figlio o di vostra moglie ad uno studente di medicina o ad un commerciale che si è improvvisato medico? La risposta è certamente “No”. Perché allora affidare il Governo di una nazione a chi ha fatto altro nella vita?

La prima lezione che il Covid ci ha insegnato è quella di imparare a guardare alla realtà, alle riforme nella loro complessità, perché il prezzo sarà altissimo e lo pagheranno i nostri figli. Il regime non si improvvisa, gli si permette di insediarsi, di erodere dall’interno il sistema politico. In fin dei conti, mutatis mutandis, non fu Giolitti, non certo un inesperto della politica, a fare entrare Mussolini in Parlamento? E poi quale risparmio genera il taglio dei parlamentari per poi pagare consulenti, scelti dal singolo ministro, senza procedura concorsuale. Lo stipendio del gieffino Casalino è 169 Mln di euro annui, ben superiore a quello di un Parlamentare. Chi è Casalino? Per quali meriti è stato nominato? A che titolo è il portavoce del Premier? A che titolo i cittadini gli pagano lo stipendio? E tutti gli altri consulenti che lo sono divenuti senza alcun bando pubblico? Qual è il costo della mancata democrazia? Incalcolabile. Forse è meglio pagare qualche parlamentare esperto in più e qualche consulente in meno.

Qual è allora la soluzione per uscire da una situazione che si fa sempre più pericolosa? Far funzionare il Parlamento, acquisendo ogni buon consiglio che in questi mesi proviene dalle opposizioni e dagli alleati; ancora: traghettare l’Italia verso il superamento dell’emergenza investendo sui giovani, sulla scuola, sulle imprese, sui cittadini, assicurandosi che il debito di oggi sia buono e che ci siano le premesse affinché domani venga restituito (oggi non ci sono). E, last but not least, rivedere la legge elettorale, consentendo così ai cittadini di aver un governo eletto. Diversamente la vita democratica italiana risulterà seriamente compromessa.

In questi mesi l’ideologia ha prevalso e la democrazia ha progressivamente perso terreno. Il Covid ha smascherato l’ideologia, per sua natura cosi subdola che il cittadino non attento non si accorge che stanno venendo meno le sue libertà. Invece occorre mettersi di vedetta, impedire che il patrimonio di valori democratici garantito dalla Costituzione vada inesorabilmente disperso, perché attaccato dal virus dell’ignoranza, della superficialità e del pressapochismo. In questo momento della vita politica, culturale, sociale del nostro Paese non possiamo permetterci di modificare ciò che i Costituenti hanno pensato. Non possiamo, non siamo in grado ora di modificare un assetto che ha resistito per più di settant’anni e che ha portato l’Italia ad uscire dalle bombe della Seconda Guerra Mondiale costruendo una pagina straordinaria di democrazia. Non debemus, non possumus, non volumus.

Per tutto queste ragioni al prossimo referendum io voterò “NO”.

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