22
Dic
2013

Province: tutti i difetti della riforma Delrio. Diffidarne non è piacere, ma dovere

Verrebbe da dire: parliamone solo a testo approvato. Perché l’abrogazione delle province è uno dei temi tante di quelle volte annunciati negli anni dalla politica italiana da divenire un luogo comune, una barzelletta da bar, simbolo di ciò che la politica dice ma non fa. Sinora, ogni intervento si è trasformato in un vano calvario di trappole giuridiche e agguati politici.

Ma ieri l’aula di Montecitorio ha cominciato l’esame della riforma apprestata dal ministro Delrio, e non resta che vedere se e che cosa ne verrà davvero fuori. Visto che il diavolo si nasconde nei dettagli, per giudicare davvero la riforma occorrerà aspettare tre cose. Primo, che venga approvata davvero entro il termine necessario a impedire che si voti nella prossima primavera, nelle 54 province intanto in scadenza. Secondo, bisognerà leggerne con attenzione il testo finale, visto che la lobby delle province in parlamento è fortissima in ogni partito. Terzo: sul punto delicato dei risparmi, occorrerà aspettare i decreti attuativi perché in tanti si opporranno ai tagli veri e l’esperienza pluridecennale insegna che potrebbe anche scapparci, alla fine, che la spesa aumenti. Perché la riforma ha, sotto questo profilo, punti deboli oggettivi.

La riforma Delrio ha un doppio binario. Nasce dalla bocciatura riservata a luglio scorso dalla Corte Costituzionale alla riforma Monti. Non era difficile immaginare che la Consulta avrebbe dato ragione alle 8 Regioni che l’avevano impugnata. Era stata adottata con il decreto legge Salva Italia del dicembre 2011. Ma non si interviene per decreto in una materia ordinamentale – le province sono citate in Costituzione, all’articolo 114 e seguenti – senza requisiti di urgenza, abrogando oltre 50 delle 110 province attuali secondo requisiti minimi di popolazione e superficie che avevano provocato ondate di proteste in tutte quelle che non vi rientravano. Per questo la riforma Delrio da una parte è fatta di un ddl di riforma costituzionale per modificare le province nella Carta fondamentale e tener buona la Corte, ovviamente nella speranza che la legislatura duri davvero tanto da permetterne la doppia lettura. Nel frattempo, il ddl ordinario all’esame della Camera prevede che le province restino in vita finché la Costituzione non cambi, ma in vita artificiale.

Le province diventano infatti – secondo l’orrendo gergo tecnico della nostra burocrazia – enti di area vasta semplificati. Continueranno solo a pianificare per quanto riguarda territorio, ambiente, trasporto, rete scolastica. L’unica funzione di gestione resterà quella delle strade provinciali. Per tutto il resto, leggi regionali trasferiranno le funzioni di gestione delle province, il loro patrimonio, le loro risorse umane e strumentali ai Comuni e alle Unioni dei Comuni, alle Città Metropolitane o alle Regioni. Scompare la giunta provinciale, il presidente è un sindaco in carica scelto dall’assemblea dei sindaci dei Comuni provinciali. Mentre il Consiglio provinciale è costituito dai sindaci dei Comuni con più di 15.000 abitanti, e dal presidente delle Unioni di Comuni del territorio con più di 10.000 abitanti.

Com’è ovvio, scritta così la riforma, l’unico taglio dei costi della politica sicuro è solo quello appunto dei politici eletti. Cioè circa 135 milioni, su dati relativi al 2010. Dopodiché, si apre il vasto mare delle divergenze di opinioni. Gli studi seri fatti dall’Istituto Bruno Leoni, che potete scaricare dal sito, indicano i risparmi conseguibili – se si aboliscono anche le relative prefetture e uffici dello Stato – in almeno metà dei 4 miliardi di euro di costi fissi delle province. Cioè i circa 2 miliardi rappresentati dai costi di gestione e di controllo, mentre la parte restante va al personale che, secondo politici e sindacati, va invece naturalmente e integralmente riassorbito.

Il ministro Delrio, prudenzialmente, dice che entro un paio d’anni si può risparmiare fino a un miliardo di euro e qualcosa di più.

La Corte dei conti, nell’audizione parlamentare sul ddl a fine novembre, ha sparato a zero, dicendo di non essere in grado di valutare né risparmi né sostenibilità finanziaria della riforma, stante che tutto dipende dalle sue norme attuative.

Quanto poi all’UPI, l’Unione province italiane, afferma che con certezza la riforma costerà ai contribuenti miliardi in più, perché moltiplicando a migliaia i centri di gestione – i Comuni – i costi unitari di manutenzione egli edifici scolastici come di esecuzione degli interventi ambientali si moltiplicheranno anch’essi. La riforma Monti dispomneva che le gestioni della cinquantina di province abrogate passasse a quella delle proivince a cui sarebbero state accorpate, e i risparmi in quyel caso sarebbero stati certi, anche se limitati a 3-400 milioni al massimo. Qui non si accorpa nulla, le gestioni passano al pulviscolo comunale. La tesi dell’Upi, purtroppo, non è priva di un certo fondamento: i Comuni hanno oggi, per questi interventi, costi superiori delle vecchie Province. Inutile dire poi che quanto a cessione del patrimonio i Comuni saranno felici, ma nulla di preciso sinora si è detto sulla cessione dei debiti delle province, che i comuni rifiutano. Per tutte queste ragioni, l’UPI ha confermato ieri che impugnerà la riforma. Allegria.

Il pessimo segnale è che le Città Metropolitane intanto sono aumentate a dismisura, ridicolmente. Ragionevolezza vorrebbe che si parlasse di Torino, Milano, Venezia, Napoli e in più, forse, Palermo. Ovviamente aggiungendo Roma Capitale, che ha uno status a parte. Invece si sono aggiunte già Genova, Bologna, Trieste, Firenze, Bari, Reggio Calabria, Catania e Messina. E altre sarebbero in arrivo, a giudicare dagli emendamenti in esame.

Un altro difetto della riforma è di limitarsi a prevedere che tutti i municipi con meno di 5 mila abitanti, fino a 3 mila se montani, si associno per svolgere le loro funzioni fondamentali. Ma il punto è che, solo associandosi, gli organi e la pluralità di gestioni restano. Per farli scomparire, bisognerebbe disporre delle unioni, non delle associazioni. E quanto agli altri 3.200 enti intermedi che oggi esistono tra comuni e regioni, tra comunità montane e compagnia cantando, il comma che parla della loro “razionalizzazione” è obiettivamente acqua fresca.

Delrio si arrabbia, se si parla di riforma all’italiana. Ma purtroppo e non per colpa solo sua, è così. La riforma Monti usava uno strumento sbagliato, il decreto legge, ma “accorpava”una cinquantina di Province, facendone sparire i costi di gestione in Province maggiori. Con la riforma Delrio, il rischio è che la gestione resti com’era , o attribuita a nuove Province senza eletti, o trasferita ai Comuni meno efficienti.

Se poi diamo un’occhiata alle tante “notizie di caos” che continuano a venire dalle province italiane, del tutto inossidabili al fatto che starebbero per sparire, è difficile concludere che davvero si prenda sul serio l’idea che la provincia stia finendo..

Il bluff Sicilia. La giunta Crocetta appena nata dichiarò l’abrogazione delle 9 province. Si fa per dire. Al posto della giunta e dei consigli ci sono i commissari nominati da Crocetta. Gli enti restano e dovrebbero continuare a gestire gli stessi servizi. Solo che lo Stato ha decurtato i contributi di quasi 100 milioni di euro e la Regione di 20: 110 milioni in meno. Ma gli unici risparmi veri sono stati di 8 milioni, gli emolumenti dei consiglieri, sui 750 milioni di costi delle 9 province nel 2012. I “liberi consorzi di Comuni” che Crocetta aveva annunciato, non si sono visti. La riforma complessiva per introdurre le Città metropolitane nemmeno, aspettando quella nazionale. I 6 mila dipendenti delle Province – costo oltre 350 milioni – non sanno che fine faranno. Il risultato è che i “commissari Crocetta” hanno tagliato solo servizi scolastici e manutenzione stradale. E il paradosso è che i commissari stessi verranno prorogati per altri 6 mesi. Senza escludere che in Sicilia si torni a votare per le vecchie province, anche nel caso la riforma Delrio venisse intanto approvata in tempo utile.

Il caos Sardegna. Altrettanto paradossale la situazione sarda. A maggio 2012, referendum consultivo per abrogare le 4 province storiche della regione (Cagliari, Sassari, Nuoro e Oristano), e abrogativo per sopprimere le nuove province (Carbonia-Iglesias, Medio Campidano, Ogliastra e Olbia-Tempio): i sardi approvano. La Regione scioglie i consigli, commissaria gli enti ma li proroga a quel punto due volte, in attesa di una riforma prima e poi fino a nuove elezioni. Lo Stato a quel punto impugna la legge regionale. Gli ex amministratori commissariati delle province impugnano a propria volta il commissariamento al Tar. Il Tar rinvia a sua volta l’impugnativa alla Corte costituzionale. E gli ex eletti provinciali chiedono intanto a Napolitano che, secondo l’articolo 50 dello Statuto regionale, si sciolga il Consiglio regionale per gravi atti contro la Costituzione.

Lo schiaffo di Siena. Ma quale abolizione della provincia? Ripresi proprio quest’anno i maxi lavori del nuovo palazzo provinciale, da 6.300 metri quadrati. Era la Fondazione Montepaschi a finanziare l’opera, con il suo contributo annuo di 40 milioni alla Provincia, contributo che è però azzerato dal 2013, stante che la Fondazione stessa è in predefault. Ma i lavori sono ripresi lo stesso. L’opera ha visto lievitare i costi dai 6 milioni previsti nel 2009 ai 12 attuali, l’intento è di portarla a compimento entro fine 2014, contando sul fatto che l’abrogazione della provincia naturalmente non ci sia.

Le aste truccate a Bolzano. Vien da dire che “in Italia” non se n’é parlato, Ma lo scandalo finanziariamente più grave in questo biennio di “attesa abrogazione” delle province è avvenuto a Bolzano, con un assessore e un direttore generale condannati per truffa e turbativa d’asta, relativa a tutte le concessioni energetiche ex Enel. Le società energetiche messe “fuori mercato” dalla politica e dai funzionari provinciali hanno richiesto alla provincia di Bolzano danni per oltre 600 milioni di euro. Naturalmente le due “province regionali” di Trento e Bolzano sono fuori portata rispetto alla riforma Delrio, ma tant’è…

You may also like

L’autogol di mostrare i denti alla Svizzera, dopo il referendum, e il precedente a cui guardare
Roma, le alluvioni, lo Stato che fa tutto tranne l’essenziale. Modesta proposta di un’Agenzia per il Ripristino Territoriale
La lezione Fiat-Electrolux: al sindacato, ai media e a “Destinazione Italia”
Poste, un errore colossale anche se piace a quasi tutti

11 Responses

  1. Alexandro

    Tutto vero, pero’ siamo realisti, io penso che la politica dell’acqua contro la roccia sia meglio dell’esplosivo, in questo paese ogni tassa tolta ne provoca una doppia, ogni rivoluzione se va bene e’ involuzione , quindi un progressiva erosione di questi privilegi puo’ essere la via, sufficiente ? no per quello serve gente nuova .. e qualche idea ce la avrei ..
    Ci vuole una strategia per smontare questo stato , drogato di se stesso e delle sue buone intenzioni, che si sa spesso fanno i danni peggiori !

  2. Purtroppo, mio malgrado, mi vedo costretto ad ammettere che in passato quando ho sostenuto a spada tratta la necessità di abolire le provincie ho fatto un grandissimo errore di valutazione. Di più, ho sbagliato anche quando ho sostenuto che le provincie non dovevano essere accorpate per non creare dei mostri geo-sociali ma su questo in parte resto del mio parere: le provincie devono essere accorpate diversamente da come aveva previsto il Granduca di Toscana (Rossi). Lucca con Massa e Pistoia è lo sbocco delle cose naturale.

    Ma l’errore grosso, come dicevo all’inizio è quello di aver creduto che abolire le provincie fosse la via maestra per risparmiare . Non le provincie, ma le Regioni devono essere abolite ! o accorpate ! lasciandone tre o quattro cui faranno capo poche grandi provincie per ciascuna.

    Le Regioni sono il più grande bacino di spreco di risorse che sia mai stato fatto in Italia ed in Europa.

    Era tanto che questa cosa ogni tanto mi riaffiorava in testa ma non trovavo mai la scintilla giusta che mi facesse decidere. Questa mattina mi è capitato di leggere un articolo su lavoce.info (Apri il link del pezzo) che direi di aver trovato illuminante. Quando penso alle tasse che paghiamo e a dove vanno a finire quei soldi, in genere, mi chiedo ogni volta se non sia davvero il caso di emigrare.

    ‘Nelle Regioni la politica costa 1 miliardo’. Non in opere pubbliche, sanità, strade, scuole o altro, no ! Un miliardo per finanziare la politica ! Cioé i politici, quelle persone che hanno scelto di fare nella vita il politico come lavoro !

    OGNI CONSIGLIERE REGIONALE COSTA IN MEDIA 200.000 EURO (l’anno)

    Poi uno si agita…

    Ci sono in Italia milioni di persone che ogni mattina alle 7 escono di casa, lavorano chi otto, chi dieci, chi dodici o più ore e torna a casa la sera. Magari non ha guadagnato neanche quanto serve per portare la famiglia una volta al mese a mangiare una pizza … e non sto a dire di coloro che il lavoro l’hanno perso o di piccoli imprenditori che hanno chiuso il bandone o stanno per farlo, no quelli ignoriamoli un attimo perché altrimenti è facile cadere nella demagogia (ma ci sono eccome se ci sono!).

    Ecco prendiamo uno di quei privilegiati che il lavoro ancora ce l’hanno, diciamo che guadagna puliti 18.000 euro l’anno (sopra la media) e si fa un bel mazzo, e sa anche che altrettanti 18.000 euro / anno li prende lo stato (più o meno è così) e sa infine, adesso, che parte di quei soldi vanno a pagare un consigliere regionale che ci costa 200.000 euro l’anno. La domanda che si dovrebbe porre, logica vorrebbe, è : ‘dov’è il forcone ?’

    Ecco perché alla luce dell’ottimo articolo (sopra linkato) sono entrato nella schiera di coloro che pensano ad una struttura istituzionale diversa dalla attuale, più o meno questa:
    – tre o quattro macro regioni (isole comprese)
    – per ciascuna macro regione tot macro provincie divise per aree socio culturali compatibili
    – macro comuni, con un minimo di 250.000 abitanti, che nascano dall’accorpamento di comuni attigui

    I risparmi in un’operazione del genere sono enormi e derivano dagli accorpamenti delle municipalizzate, dalle economie di scala, dal drastico ridimensionamento degli appetiti della politica.

    Questo è il mio personalissimo pensiero ma credo che questo passaggio sia la sola ‘Uscita d’Emergenza’ che ci resta prima di finire travolti da una crisi che, nonostante quello che viene detto per tranquillizzarci, potrebbe azzerare il nostro tenore di vita o peggiorare quello di chi già sta male. NESSUNO è più al sicuro. Nessuno deve avere più certezze.

    C.Cristofani (“Gianniniano” da sempre)

  3. adriano

    Un ente amministrativo territoriale basta e avanza.Articolo unico.”Le province sono abolite.Le competenze relative passano ai comuni.”Articolo unico.”Le regioni sono abolite.Le competenze relative passano ai comuni.”Se si aggiunge altro siamo ai soliti trucchi.Se non si può perchè la costituzione lo impedisce prima si eliminino gli ostacoli.Alla fine si torna sempre lì.E’ inutile giocherellare con le riforme finte se non si fa quella vera ,costituzionale.E quella vera sarà sempre inutile se non si comincia dall’articolo uno:”La sovranità appartiene al popolo.”Punto.Con questo la pretesa di altri di dire di no cadrebbe,insieme alla scusa di non poter fare niente.

  4. magolino

    Egregio Giannino, non crede che forse sarebbe meglio chiamarlo- con l’ aggiunta di una “I”- Decreto DELIRIO e non DELRIO???
    Buone Feste a tutti non senza prima accennare che coloro che vivono di speranza, sono le zitelle ed i pescaori alla lenza.
    Ke Linse

  5. Francesco_P

    L’ennesimo modo per prendere per i fondelli i sudditi.
    Non si vuole affrontare il nodo costituzionale dell’eliminazione delle provincie e dei relativi compiti per mantenere delle funzioni burocratiche superflue, quando non addirittura dannose per la capacità d’intralcio oltre che per i costi. Allo stesso modo si mantengono in vita Regioni che sono dimensionalmente ben diverse dai Lander tedeschi, con compiti che si sovrappongono a quelli dell’amministrazione centrale ed a quella territoriale di più basso livello, il tutto senza quei vincoli di trasparenza contabile e di responsabilità amministrativa su cui si basano le costituzioni federali.
    Anche l’accorpamento dei Comuni più piccoli segue questa logica. Si unificano dei servizi, ma non la distribuzione capillare dei centri di potere. Non si fa politica del territorio frazionando i sindaci. Al contrario si favoriscono gli sprechi dovuti a opere duplicate o non portate a termine per via degli infiniti contenziosi.
    Questa apparente illogicità si spiega con la moltiplicazione dei centri di potere, meglio se non elettivi, che permettono di mantenere in vita una classe parassitaria e gli “affari” delle corporazioni.
    Questa è la via migliore per il “fallimento“, ma intanto qualcuno ci guadagna.
    P.S.
    In uno Stato più piccolo è possibile applicare il modello cantonale svizzero. Le responsabilità del Cantone sono ampie, ma altrettanto chiare. Nell’Italia unitaria bisognerebbe guardare ad altri modelli, ma se l’Italia fosse divisa in più Stati indipendenti, come sarebbe naturale, allora si potrebbe adottare il modello Svizzero, almeno negli Stati del Nord. Cosa intendo per Stati Indipendenti? Il Lombardo Veneto è uno Stato, Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta sono un’altro Stato, Emilia Romagna e Marche formano un altro Stato e così via, unendo grandi bacini regionali con radici storiche e sistemi economici relativamente omogenei, non certo micro-stati; per le specificità ci sono i Cantoni.
    Insomma tanti Stati indipendenti che si dividono come la Repubblica Ceca dalla Slovacchia per uscire dalla crisi inesorabile in cui ci hanno cacciati i fallimenti dello Stato Centrale unitario, dal risorgimento, al fascismo, dalla prima alla seconda Repubblica.

  6. roberto

    Egregio, scusi il commento netto,
    ma veramente non se ne può più di prese in giro:

    – l’ennesima pazzia delle province appena citata
    – l’ordine previsto di 250 auto blu
    – i tagli che non si vedono
    – soldi elargiti alla c..
    – gli affitti delle sedi istituzionali
    etc., etc.

    I cittadini di buon senso come lei si impegnano nel valutare proposte e soluzioni con un minimo di criterio, ma è come la favola dello scorpione con la rana mentre attraversano il fiume.
    Non è colpa loro è nella loro indole, quindi vanno eliminati..

    Ho appena visto il discorso di fine anno di Letta con le domande preparate dei giornalisti e poi ho pensato a quello di Obama.
    Non commento, non ne ho più voglia.

    Un saluto e Auguri
    RG

  7. Filippo

    Faccio fatica a pensare che si arriverà a vedere l’abolizione di questi enti inutili,vorrebbe dire che la politica è in grado di esistere senza dare poltrone e posti di lavoro ai politici trombati o agli amici degli amici o ai parenti di chicchesia etcetc,vorrebbe dire che la politica è in grado di darsi una gestione razionale,cosa che temo sia incompatibile con la politica italiana come è stata fino ad ora.Non credo che i politici arriveranno mai a mettere in opera il taglio di una rilevante parte di se stessi e di tutti gli affari e clientele che ruotano attorno al sistema così come è costituito,non è nella loro natura e la connivenza di parte del mondo dell’impresa e della finanza non rende la cosa conveniente.Lo Stato in questo blog viene dipinto come un mostro che divora i propri figli,sono d’accordo ma se tutti coloro he non sono parte dello Stato facessero fronte comune contro questa bestia le cose potrebbero cambiare.
    I sogni di vedere tagli di decine di migliaia di inutili dipendenti pubblici,inutili perchè alle dipendenze di enti inutili o perchè svolgono funzioni inutili rimarrà tale,un sogno.Stiamo ancora troppo bene,non abbiamo ancora toccato il fondo.L’Italia mi sembra una persona che è finita in fondo al mare,sta trattenendo il fiato in attesa di un’onda che la riporti su.Se l’onda arriva e quindi il Paese riparte allora avanti pure si continuerà senza cambiare nulla a spendere e dilapidare il denaro pubblico,con la complicità di parte delle imprese e del mondo finanziario conniventi con questo sistema.Se il Paese non riuscirà a risalire allora forse si trovarà la forza per cambiare sistema per cercare di sopravvivere.

  8. Aronne Florian

    Credo che il problema non siano le regioni, le province o i Comuni ma sia la riforma completa delle Amministrazioni locali. Sbaglia chi pensa che i Comuni siano la soluzione di tutto: non ci possono essere in Italia + di 8.000 Comuni. Il comune dove vivo conta 13.000 abitanti, io lo considero piccolo, ma è fra i primi 2.000 Comuni per residenti: significa che ce ne sono 6.000 di piccolissimi.
    Il problema è che andrebbero creati 2 livelli di Governo Locale: i comuni da 20-25 mila persone e le province/regioni da circa 2-3 milioni. Naturalmente so che in Italia vuole che cambi tutto alla fine è quello che vuole che nulla cambi ma purtroppo abolendo le province (la parte politica solamente) non cambierà molto, sopratutto se non si incide nella parte burocratica e meritocratica dei dipendenti: persone che nemmeno si rendono conto con quale velocità sta cambiando il mondo.

  9. Francesco Cafaro

    E’ vero che le città metropolitane si sono moltiplicate a dismisura, ma perché per Giannino Venezia si, mentre Bari, Genova e Firenze no? Mah! In termini di hinterland parliamo di realtà assolutamente comparabili, ma basterebbe citare i dati del traffico portuale, aeroportuale e ferroviario per capire quali sono i grandi nodi urbani italiani.
    E poi basta con questa storia del risparmio !!!! Gli enti metropolitani dovevano rispondere ad una necessità ontologica, prima che economica, per restituire organicità e cittadinanza a persone “esondate” negli ultimi decenni dai confini veteromunicipali. E in questo senso la permanenza delle province avrebbe forse consentito, con diversa contestualizzazione dei canoni estetici, una tutela più efficace del patrimonio rurale e naturalistico, anch’esso valore economico!

Leave a Reply