10
Apr
2011

Procurad’e moderare, barones sa locherìa…

Sos disculos nos mandàna
Pro castigu e curressione,
Cun paga e cun pensione
Cun impleu e cun patente;
(…) E si algun ‘nd’impleàna
Chircaiant su pius tontu
Pro chi lis torrat a contu
cun zente zega a trattare.

(Ci mandavano i peggiori/per castigo e condanna,/con salario e pensione,/con impiego e con patente. E se assumevano qualcuno/cercavano il più tonto,/perché a loro conveniva/trattare con gente stupida)

da “Procurad’e moderare”, inno popolare sardo scritto da Francesco Ignazio Mannu nel 1794

Marco Boninu mi segnala che secondo la legge regionale 1 del 2010 gli agriturismi della Sardegna potranno somministrare ai loro ospiti esclusivamente prodotti sardi. Non solo prodotti trasformati e confezionati in Sardegna, ma addirittura prodotti realizzati con materia prima sarda. Per capirsi, il té e il caffé no. La pasta e il pane, se non sono prodotte con grano duro e frumento sardo, nemmeno.

Questa dei prodotti che è ammesso somministrare o meno negli agriturismi è una vecchia questione che riguarda un po’ tutte le regioni, che disciplinano la materia nell’ambito di una legge quadro nazionale. In genere alla radice del problema è la presunta concorrenza sleale che le aziende agrituristiche opererebbero ai danni degli esercenti convenzionali, ristoranti e alberghi, quindi porre delle limitazioni al tipo di pasti, al numero dei posti ammessi ed altro è un modo surrettizio per compensare le agevolazioni fiscali di cui queste imprese godono. In genere, almeno in altre regioni, queste limitazioni riguardano una certa percentuale di alimenti che deve essere necessariamente prodotta in azienda.

Ma quel che mi preme sottolineare in questa sede è un’altra cosa, anzi due: in primo luogo, quando si ammette il principio che le autorità pubbliche possano decidere gli orientamenti e le scelte aziendali delle imprese, davvero non si sa dove si va a finire: in questo caso, per applicare la legge in questione, la regione Sardegna ha pubblicato un avviso pubblico per l’iscrizione all’elenco regionale dei fornitori a cui gli agriturismo dovranno rivolgersi per l’acquisto di derrate alimentari che non è possibile produrre all’interno delle aziende. Potranno aderirvi (in forma singola o associata) le imprese agricole e artigianali e quelle industriali di trasformazione di prodotti agroalimentari e di vini con certificazione di origine operanti in Sardegna.

La politica isolana si candida quindi a controllare l’intera filiera, dal produttore al consumatore, attraverso un complesso sistema di autorizzazioni e certificazioni: un sistema costoso per contribuenti e consumatori, mortificante per le imprese e potenzialmente criminogeno, dato che dalla presenza su un elenco, dall’elargizione di un certificato potrà dipendere la sopravvivenza stessa di molte imprese, e dato che, tanto per cambiare, il rispetto di una legge tanto sciocca è nei fatti sostanzialmente impossibile.

In secondo luogo, quando si accettano limitazioni alla propria libertà in cambio, ad esempio, di privilegi fiscali, anche se la cosa in origine può sembrare conveniente, si dovrebbe ricordare che si perde completamente la possibilità di influire sul prezzo: è la politica che deciderà la misura dei privilegi, è la politica che deciderà il prezzo da pagare in cambio. Alla lunga non conviene mai.

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9 Responses

  1. Premesso che per principio tutta la faccenda per me andrebbe risolta togliendo sia i vantaggi fiscali che i limiti all’attività (se no non scriverei su questo sito, chiaramente), ritengo che vada rimarcato che l’agriturismo per definizione nasce come forma (sussidiata) di promozione dei prodotti locali, e questo chiaramente non a sola fine di immagine ma anche per dare un mercato ai relativi prodotti, per dare un’aura di “autenticità” dei beni (in qualche modo cioè definendone e certificandone una certa “scarsità”) il che ne fa salire il “valore percepito”.

    Devo dire che spesso questa “santificazione” era alquanto truffaldina, come molto sono truffaldine altre certificazioni di “origine” o di “disciplinare”, che semplicemente nascondono in un marchio di autenticità locale il concorso di materie prime esterne (non tutto il latte del parmigiano è munto a Parma, per capirci). Se le cose stanno come raccontate, direi che almeno la Sardegna è coerente.

    Finora negli agriturismi (abito in Toscana, qui è pieno) le cose “non tipiche” venivano fatturate a parte proprio per separare l’oggetto dell’agriturismo. Magari nell’obbligo di fatturazione non rientravano cose come il limoncello (ed è lecito chiedersi se a Pisa coltivino i limoni sul lungarno…). In un certo senso, poi, fare un grosso pasto in cui metà roba è “tipica” e altra no, può suonare strano come modo di promuovere i prodotti locali… E in effetti questa è la stessa situazione delle cooperative (che hanno un vantaggio fiscale in quanto svolgono una attività mutualistica che comunque non deve essere esclusiva e nemmeno preponderante… ah che bello regolamentare sulle buone intenzioni!) Certo, su quest’ultimo punto si cade molto su un discorso di opportunità più che di logica e coerenza, ma la politica è questo (e non si sa mai dove si finisce).

    Insomma, per quanto drastica, la soluzione sarda mi sembra quella più in linea con il principio fondante del vantaggio fiscale degli agriturismi: un do ut des tra privilegi e regolamentazioni per “fini superiori”.
    Che poi andrebbe in realtà cancellato tutto, dai privilegi alle regolamentazioni, è chiaramente un altro piano di discussione che comunque condivido.

  2. Borderline Keroro

    Che bello! Si torna all’economia curtense!
    Più ecologica – a km 0.
    Più salutare – basta con l’iperalimentazione.
    Più economica – i servi della gleba costano poco.
    Meno faticosa – il tuo feudatario ti risparmierà la fatica di scegliere tra zuppa di verze e zuppa di verze.
    Questo sì che è progresso!
    Wiwa il progreso progresista e verdisimo! Wiwa la natura.

  3. Giovanni Bravin

    Agriturismo o Agrifurbismo? Qui sta il dilemma. In troppi, praticano prezzi d’albergo, dando un pessimo servizio, perché si considerano “agriturismo” e cucinano quello che trovano dal grossista, non certamente loro prodotti come la Legge vorrebbe!

  4. george26

    Personalmente trovo questa soluzione inutile! Vivo in un paese della costa nord-orientale sarda, e di turisti ne arrivano tanti. Qualche anno fa, c’erano più agriturismi che pizzerie/ristoranti, ma in realtà i proprietari non producevano nemmeno il formaggio da grattugiare sui “malloreddus”. Hanno fregato tanti turisti e altrettanti onesti proprietari di agriturismi VERI dell’interno della Gallura, che fanno le cose per bene e con serietà. Adesso il “mercato” e il “consumatore” con il passa parola e anche con qualche guida gastronomica, hanno permesso che questi pseudo-agriturismi chiudessero. Senza bisogno di troppe regolamentazioni. E chi invece fa e faceva un agriturismo vero e di qualità, continua tutt’ora a lavorare e risente solo del peso della crisi.

  5. Giovanni Bravin

    @george26
    Pienamente d’accordo con Lei! Sottolineo però il fatto, qualche furbo, ha sottratto giusti ricavi a VERI agriturismo. Attualmente noto un proliferare di Bed & Breakfast, con prezzi oppure ubicazioni ingiustificati dal loro ruolo.

  6. Giordano Masini

    Qualche precisazione: Leonardo dice “l’agriturismo per definizione nasce come forma (sussidiata) di promozione dei prodotti locali, e questo chiaramente non a sola fine di immagine ma anche per dare un mercato ai relativi prodotti, per dare un’aura di “autenticità” dei beni (in qualche modo cioè definendone e certificandone una certa “scarsità”) il che ne fa salire il valore percepito”.

    Questo non è vero. L’agriturismo è, molto più semplicemente, un’attività di ristorazione e/o ospitalità svolta nel’ambito di un’azienda agricola. Il problema nasce dal momento che le aziende agricole hanno un regime fiscale agevolato e se l’attività è complementare a quella agricola allora anche ad essa vengono estesi gli stessi benefici. Ma la complementarietà con l’attività agricola può essere stabilita attraverso le giornate di lavoro, il reddito prevalente o altri parametri, non certo attraverso ciò che uno mette nel piatto.

    Quindi la questione “agriturimo vero” vs “agriturismo finto” è un finto problema, nato solo per chiedere qualcosa (sempre di più, a quanto pare) in cambio delle agevolazioni fiscali, semplicemente perché non esiste una tipologia di attività che possa dirsi più “autentica” delle altre. D’altronde non esiste il “ristorante vero” e il “ristorante finto”, ognuno il ristorante se lo fa come meglio crede ed è il gradimento dei consumatori a decretarne il successo o il fallimento. Dovrebbe essere così anche per gli agriturismi.

  7. @Giordano Masini
    Be’ se si tratta di ristorazione accessoria all’attività agricola, mi par chiaro che ci debba essere una continuità tra la produzione agricola e la ristorazione, altrimenti di che parliamo? di estendere l’agevolazione fiscale agricola toscana al ristorante cinese aperto dagli stessi proprietari dell’allevamento di mucca chianina?
    Se fosse come dici tu, allora l’agevolazione avrebbe ancora meno senso tout-court.
    Cmq concludiamo entrambi che l’agevolazione in se dovrebbe sparire e basta, quindi stiamo discutendo solo di “cosa avrebbe pensato il pianificatore quando si è inventato ‘sta storia”.

  8. Piero Sampiero

    1)Se vado in Sardegna, presumibilmente apprezzo i prodotti di origine garantita.
    Se voglio consumare i biscotti del mulino bianco, anziché il pane ‘carasau’, resto a casa.
    Non so di quali certificazioni, autorizzazioni abbisogni l’ agriturismo delle altre regioni, ma penso non siano molto differenti da quelli stabiliti per i sardi: può darsi che una modifica costituzionale in tal senso agevoli la deburocratizzazione, ma salvaguardiamo la diversità.
    2)Se non va bene il sistema dei contributi pubblici, si punti alle agevolazioni fiscali; ma le imprese dei giovani non hanno altri mezzi per decollare.

  9. Piero Sampiero

    Beninteso, Masini fa una diagnosi sostanzialmente corretta in astratto, ma in concreto occorrerebbe anche valutare con realismo quali rimedi sono possibili per eliminare lo strapotere della politica (o della partitocrazia), che col federalismo mal fatto male applicato troverà nuovi alibi per imperversare sulla società civile. Banche e fisco sono al servizio della politica: che fa il governo?
    Riguardo alla Sardegna, mi pare importante esaminare la sua condizione, alla luce della fiscalità realizzata nell’Isola, grazie al governo centrale e a quello periferico, quasi sempre, in simbiosi tra loro nel vessare i cittadini-schiavi e descritta con sufficiente precisione nel link seguente:http://www.agoravox.it/L-Italia-era-desta-il-fisco-l-ha.html
    Non sarebbe ora di ribellarsi?

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