29
Mag
2010

Piccolo Guinness della spesa pubblica (II)

Credo non valga per la spesa pubblica il detto ‘se la conosci la eviti’, ma conoscerla è importante non fosse altro per non farci ingannare quando ci viene chiesto di mettere mani al portafoglio per finanziarne l’ennesima crescita. Sollecitato da diversi commenti al precedente post, ritorno sul tema per rispondere a due quesiti: (a) quali voci di spesa concorrono a spiegare gli otto punti in più di spesa pubblica in rapporto al Pil tra il 2000 e il 2009; (b) se la recente manovra influisce o meno sulle voci che sono accresciute di più nel decennio.

Variazione delle spesa pubblica primaria in rapporto al Pil tra il 2000 e il 2009

  1. Consumi intermedi e prestazioni sociali in natura: +3,0 punti %;
  2. Prestazioni sociali in denaro: + 2,8 punti %;
  3. Redditi da lavoro: + 0,9 punti %;
  4. Contributi agli investimenti e altre spese in c/capitale: + 0,5 punti %

Nota: (1) Sono gli aquisti della P.A. (beni e servizi, compresi i servizi per prestazioni sociali di cui beneficiano i cittadini); (2) Sono le erogazioni previdenziali; (3) E’ il costo del lavoro dei dipendenti pubblici; (4) Sono i contributi agli investimenti effettuati da soggetti esterni alla P.A. (più voci residuali in c/capitale).

I dati precedenti rappresentano la differenza assoluta tra quanto pesano queste voci di spesa sul Pil nel 2009 e quanto pesavano nel 2000. E’ tuttavia importante verificare anche l’incremento percentuale del loro peso sul Pil data la dimensione molto differente delle varie voci. Come si può osservare, il costo dei dipendenti pubblici scende dal podio. 

Variazione % del peso sul Pil delle voci di spesa pubblica primaria tra il 2000 e il 2009

  1. Consumi intermedi e prestazioni sociali in natura: + 41 %;
  2. Contributi agli investimenti e altre spese in c/capitale: + 35 %
  3. Prestazioni sociali in denaro: + 17 %;
  4. Redditi da lavoro: + 8 %.

Seguendo questa graduatoria la manovra di finanza pubblica avrebbe dovuto mettere mano in primo luogo alla spesa per acquisti della P.A. (che è la vera voce fuori controllo della spesa pubblica), verificare i contributi agli investimenti dati al settore privato (ivi comprese le imprese pubbliche societarizzate), intervenire sulla spesa previdenziale che oltre a essere la più consistente tra la voci di spesa continua a crescere più del Pil. Non mi sembra che la manovra le abbia prese granché in considerazione e per questo sono piuttosto critico (rimando per un’analisi della manovra al mio contributo per ilsussidiario.net).

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4 Responses

  1. Articioch

    Ma c’è una cosa che io non capisco.
    Dal 1980 ad oggi il prelievo fiscale è passato da più del 30% a più del 40%. In mezzo ci son state diverse le privatizzazioni. Il prelievo ed il debito pubblico non avrebbero dovuto diminuire, in quel periodo? Se no tanto valeva tenersi i carrozzoni!

  2. cesare b.

    il punto 1. rimanderebbe alla corruzione dilagante (settore Sanità in primis) ed a “mostruose” inefficienze ed irresponsabilità nella e della P.A.
    il punto 2. rimanderebbe anche al fallimento degli interventi “spot” pro-investimenti (al Sud in primis)
    il punto 3. rimanderebbe anche alla VERGOGNA dei pre-pensionamenti (e meno male che l’uguaglianza è uno dei principi cardine di ogni democrazia…)

    Ma questi problemi li scopriamo solo ora o non avevamo mai avuto il coraggio di guardarli in faccia?

  3. Ugo Arrigo

    @Articioch
    Le privatizzazioni in diversi anni del decennio ’90 hanno ridotto anche in misura rilevante il fabbisogno pubblico ma in nessuno sono riuscite ad azzerarlo. Il debito pubblico in conseguenza è aumentato in tutti gli anni, anche se in qualcuno meno velocemente di altri. Con la gestione Tremonti dell’economia le uniche ‘privatizzazioni’ di rilievo del decennio in corso sono state cessioni di partecipazioni pubbliche a … Cassa Depositi e Prestiti. Per quanto riguarda invece gli enti territoriali non mi risulta che abbiano mai ceduto in nessuna epoca il controllo di nessuna impresa partecipata. Senza le privatizzazioni degli anni ’90 non saremmo tuttavia riusciti a entrare nell’euro e oggi il nostro costo del debito non sarebbe il 4% ma più del doppio e la nostra spesa annnua per interessi sarebbe di 100 miliardi più elevata.

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