27
Nov
2012

Perché Hollande non può dirsi sorpreso del suo declassamento — di Emmanuel Martin

Questo articolo è stato originariamente pubblicato sul quotidiano “Il Foglio” del 22 novembre 2012.

Moody’s ha declassato la Francia da AAA a Aa1, mantenendo un “outlook negativo” sul paese, a causa delle “sfide strutturali” di Parigi – perdita di competitività, mercato del lavoro rigido, squilibri fiscali – e della sua esposizione alla crisi europea attraverso i meccanismi di salvataggio comunitari e i suoi istituti di credito.

Quella presa dall’agenzia di rating potrebbe sembrare una decisione che genera confusione. C’è infatti chi aveva pensato che nelle ultime due settimane il presidente della Repubblica, François Hollande, avesse impresso una svolta di 180 gradi rispetto alle politiche annunciate in campagna elettorale. Per Moody’s però queste recenti misure “è difficile che siano di portata sufficientemente vasta per rilanciare la competitività”.

Primo, il governo aveva trovato un po’ di “ispirazione” nel Rapporto Gallois, commissionato dallo stesso esecutivo per approfondire il problema della mancanza di competitività dell’industria francese. Ma il Rapporto riguarda l’industria francese, che rappresenta soltanto il 13 per cento del PIL. Inoltre le “soluzioni” proposte, pur non nuovissime, non sono state ancora applicate nemmeno in parte. La misura più commentata è la riduzione di 30 miliardi di euro dei contributi sociali che fanno parte del costo del lavoro sostenuto dalle imprese.

Quest’alleggerimento doveva essere compensato con un aumento dell’Iva e una riduzione della spesa pubblica. Hollande ha rivisto la misura: le società beneficeranno di un credito fiscale nel 2014, con la possibilità di avere uno sgravio già per il 2013.

L’idea resta quindi quella di ridurre i costi per le imprese. E l’Iva aumenterà di soli 0,4 punti – fino al 20 per cento – per l’aliquota più alta, dal 7 al 10 per cento per l’aliquota intermedia, mentre sarà ridotta dal 5,5 al 5 per cento l’aliquota sui beni di prima necessità. Questa scelta, secondo molti analisti, non è quella giusta. Equivale a rubare a Pietro per dare a Paolo. L’ossigeno concesso alle società sarà sottratto ai consumatori. Perché poi aumentare così tanto l’aliquota intermedia, che si applica soprattutto a settori nei quali non c’è competizione con l’estero, come l’edilizia o la ristorazione, e non invece l’aliquota massima che si applica ai prodotti più in competizione con il resto del mondo?

La Francia, poi, ha un problema di spesa pubblica. È troppo elevata e inefficiente, il paese non se la può più permettere.

Durante la conferenza stampa dello scorso 14 novembre, Hollande ne ha parlato, ha detto che “quando la spesa pubblica era al 52 per cento del PIL non stavamo peggio rispetto a oggi che abbiamo la spesa pubblica al 57 per cento del PIL”. Questa è una frase incoraggiante. Ma è difficile capire come il presidente potrà resistere alle pressioni del suo elettorato. E per poter ridurre la spesa pubblica, uno deve avere una popolazione che capisce cosa è veramente in gioco, che sia in qualche modo mobilitata, e soprattutto ha bisogno di un piano chiaro su come operare i tagli di spesa. Il modello sociale francese è allo stesso tempo centralizzato e corporativo, con ciascuna corporazione che negozia con lo stato i suoi benefici per poter “vivere a spese di ogni altro”. Un dialogo sociale, se vuole puntare a un accordo riformatore, non potrà sicuramente emergere da tutto ciò.

Comunque questo piccolo cambiamento di posizione di Hollande è sembrato ad alcuni una svolta importante. Ma non lo è, perciò il declassamento di Moody’s non è sorprendente. Le conseguenze della “dégradation”, probabilmente, non provocheranno danni nel breve periodo. Primo, perché la Francia era stata già declassata da Standard&Poor’s a gennaio, e l’effetto non fu negativo. Moody’s sembra essere arrivata un po’ in ritardo. Anche perché Parigi è stata governata in deficit per quasi quarant’anni, ha perso peso nei mercati globali per oltre un decennio e ha mantenuto un tasso di disoccupazione superiore al 7 per cento per trent’anni. Inoltre la Francia non è al gradino più basso dei 21 esistenti, ma è stata “solo” declassata da AAA a Aa1: per la maggior parte degli investitori, se si escludono i fondi pensione, questo non costringe a una ristrutturazione dei portafogli d’investimento. La Francia rappresenta il secondo maggiore e più liquido mercato del debito in Europa: per gli investitori che hanno bisogno di diversificare il loro portafoglio rimane l’opzione “second best” dopo la Germania. E rispetto a Spagna e Italia, gli investitori continueranno a preferire la Francia perché è considerata “meno insicura”: il paese, quindi, sta godendo dell’effetto “male minore”. Ma tutto questo non durerà per sempre.

Emmanuel Martin è Direttore dell’Institute for Economic Studies Europe. Traduzione dal francese per Il Foglio di Marco Valerio Lo Prete

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6 Responses

  1. Francesco_P

    Le considerazioni esposte nell’articolo sono ineccepibili. Purtroppo il nodo della spesa pubblica e dell’alto livello di indebitamento valgono per tutta l’Europa, compresi i “primi della classe”.

    La Francia è forse la nazione più bipartisan del mondo per quanto concerne lo statalismo: nessuno si salva, dai seguaci della signora Marina (Le Pen) alla gauche passando per i neogollisti.

    L’inesorabile esito dello Stato-imprenditore è rappresentato da fenomeni come:

    – l’inflazione della burocrazia;
    – l’inflazione delle pretese del fisco;
    – la mancata selezione di una classe imprenditoriale di grande spessore (a parte le “eccezioni che confermano la regola”);
    – la fibrillazione delle correnti dei partiti;
    – la corruzione;
    – l’incapacità di invertire la recessione.

    Insomma, più o meno quello che stiamo subendo sulla nostra pelle noi italiani, decisamente più avanti dei cugini francesi nel processo di decadenza.

  2. Elfo

    Belgio, Danimarca, Austria, Finlandia hanno una spesa pubblica molto vicina a quella francese, eppure non c’è vento di crisi. Me lo potete spiegare?

  3. luca Leonardi Paris

    Bè..vorrei suggerire la lettura del libro di Seminerio ” la cura letale”. si parla anche di Francia…e degli errori simili all’italia…e della fine simile a cui è destinata… senza dire che per coloro che i numeri ed i dati economici un pochino li pesa…non ho dubbio sulla pericolosa previsione.

  4. Francesco_P

    @Elfo

    Siamo sicuri che vada tutto bene, proprio bene?

    Interessante link : http://www.tradingeconomics.com/netherlands/gdp-growth
    Sempre per l’Olanda le previsioni sono per il 2012 sono per un rapporto deficit / PIL del 4,2%
    I Paesi del nord Europa sono in uno stadio precoce della malattia (la famosa euroburocratite) che vede la Francia all’inizio dello stadio di manifestazione sintomatica violenta.

  5. marco

    Potrei anche condividere, ma mi sorgerebbe spontanea la domanda se gli US abbiano i fondamentali per mantenere la tripla A dal 2011. Se no Moody mi sembra come Monti
    Asimmetrica

  6. Luciano

    SE PARIGI PIANGE LONDRA NON RIDE
    USA,Regno Unito e Irlanda -il mitizzato capitalismo anglosassone- se la passano molto peggio!
    Se lo scopo de “Il Foglio” é tessere le lodi del modello “anglosassone” a danno del modello “renano”..bhè, siamo un pò nell’imbarazzante situazione del bue che dà del cornuto all’asino..

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