Un autunno caldo. Speriamo
Older leftish readers should be stunned that the result could be Labour leaving power with higher youth unemployment than in the darkest days of Mrs Thatcher’s administration…(continua)
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Se si tratta di deficit pubblici, tenere elezioni politiche in tempi ordinari può rappresentare un freno: le parti politiche si sforzano almeno a parole di presentare piattaforme di riduzione. Ma andare alle urne in tempi di crisi può anche sfociare nell’esito opposto, perché partiti e coalizioni “temono” di apparire agli elettori troppo frenati sulle misure di sostegno alla domanda e all’offerta. Vedremo presto in Germania come e se il voto contribuirà a definire un abbozzo almeno di exit strategy dall’alto deficit e debito pubblico – vedi articolo dell’Economist. Ma almeno sino a questo momento il tema fiscale non è stato propriamente al centro dell’arena elettorale tedesca. Quanto all’Italia, dall’attuale governo è in corso la più che prevedibile pressione mediatica antievasori, in vista dello scudo fiscale: ma sui fondamenti regna la notte fonda, e vengono diffusi studi che a mio giudizio sono infondati. Dobbiamo davvero morire ancor più tassati di prima, per colpa della crisi? Vediamo meglio. Read More
L’Istituto Bruno Leoni piange la scomparsa di Franco Forlin, suo tesoriere dal 2004 e una persona semplicemente fondamentale per l’operatività e la crescita dell’Istituto. Nato nel 1941, Forlin è stato stroncato da un lungo male, che aveva affrontato col supporto amorevole della moglie Marcella e della sorella Edi.
Conoscevo Franco da quando, per il ventesimo anniversario della sua azienda, decise di fare un regalo particolare a clienti, fornitori ed amici: un libro che rientrasse nella tradizione di pensiero che aveva appreso da Sergio Ricossa, sui banchi dell’università di Torino. Gli parve naturale andare a chiedere consiglio all’antico maestro. Ricossa ebbe la bontà di suggerirei che fossi io a scriverlo, e ne venne fuori un pamphlettino (Lettera a un amico no global), con una bellissima prefazione di Ricossa stesso.
Che un libro nasca così, è cosa rara dappertutto – ma in Italia in particolar modo. Il fatto che un imprenditore italiano, di mezzi non illimitati, volesse investire su uno strumento di promozione delle idee di mercato mi stupì enormemente. Questo rendeva Franco ancora più “eccentrico” nella business community torinese dei suoi cappelli vistosi e della predilezione per le cravatte a farfalla. Minoritario in tutto, le sue fedi erano il liberismo e il Toro.
Quando, poco dopo, cominciammo a parlare di fondare l’Istituto Bruno Leoni, coinvolgere Franco venne naturale. Ci si immerse con tutto se stesso, come in passato aveva fatto con altre associazioni non profit e circoli di vario genere. Non scettico ma giustamente preoccupato, all’inizio, circa le nostre possibilità di successo, osservò la crescita dell’Istituto con meraviglia, stupore, ed entusiasmo. Ci trovammo assieme a gestire qualche difficoltà. Franco seppe giocare un ruolo determinante anche in situazioni complesse e scivolose.
In breve, maturò una convinzione granitica, che non si vergognava affatto di esternare e condividere: che l’Istituto Bruno Leoni fosse impegnato in una grandiosa e difficile missione di “civilizzazione” della cultura italiana. Per questo, faceva per l’IBL senza sforzo cose piccole e grandi.
I liberisti dovrebbero saperlo, ma spesso se ne dimenticano: l’organizzazione è tutto. Le idee migliori non camminano da sole, hanno bisogno di crescere all’interno di “serre” adeguatamente curate. Se l’Istituto Bruno Leoni, pur con tutti i suoi errori e i limiti, è riuscito a “strutturarsi” in qualche modo, il merito va in prima battuta ascritto al senso dell’organizzazione, di più: alla passione dell’organizzazione, che aveva Franco Forlin.
Senza di lui, questa piccola iniziativa non avrebbe potuto svilupparsi in maniera ordinata e consapevole. Senza di lui, l’IBL sarebbe probabilmente abortito – come accade a molte realtà simili. La nostra gratitudine nei suoi confronti e’ pari solo al dolore. Addio, Franco.
Certo, in Italia in questa crisi non abbiamo registrato fallimenti bancari. Ma non sarebbe male, immaginare che Bankitalia e Consob rispondessero direttamente a domande e querimonie di risparmiatori e azionisti incazzati. A Londra succede. Hector Sants, ceo della FSA che nell’ordinamento britannico assorbe le competenze che da noi sono ripartite tra Bankitalia – stabilità finanziaria micro e macro – e Consob – obblighi di trasparenza al mercato – sistematicamente si alterna dalle colonne di quotidiani come il Telegraph e il Times, e risponde direttamente ai lettori, vedi per esempio qui. Non sono risposte diplomatiche. Agli arrabbiati contro la prassi degli alti bonus bancari, che non cessa anche in istituti salvati o sorretti dal denaro del contribuente, Sants replica che non è il regolatore a dormire ma la politica a negargli sinora il potere d’intervento, al di là di tante chiacchiere. Idem dicasi sul problema Too Big To Fail: dipendesse da me, dice Sants, adotterei requisiti di capitale variabili per tipo e dimensione di asset patrimoniali, con finanziamento del fondo tutela depositi inversamente proporzionale alla taglia delle banche, ma finché non si decide nulla nei tanti fori di cooperazione internazionale che se ne stanno occupando, non prendetevela con me. Pensate a come sarebbe divertente, chiedere a Draghi perché Bankitalia per oltre un anno non ha fatto niente su Delta a San Marino, alla Consob come la pensa sulla continuità aziendale dei conti di Risanamento negata dalla Procura di Milano, o all’Antitrust perché su Intesa-Agricole-Generali si debba aspettare fino a babbo morto…
Notizia incoraggiante per Berlusconi dal Regno Unito. Silvio non è il solo, a preferire elette in Parlamento selezionate per stacco di coscia. Alan Scard, presidente del comitato dei selezionatori per i candidati Tories nell’Hampshire, dice che la sua scelta va a favore delle donne solo se sono belle. Vediamo se Repubblica e il fronte anti-papy rilancia la questione: ho i miei dubbi. Ma a che cosa servono, concretamente, donne elette in Parlamento? Domanda assai politicamente scorretta, posta così. Quella “accettabile” suona invece: quali sono le risultanze concretamente osservabili, correlate a un numero maggiore di donne elette? Chi fosse interessato, trova sull’argomento un paper fresco fresco di dati comparati , ovviamente curato da un’accademica svedese. Attenti alla conclusione: “la teoria della presenza” vorrebbe che al diminuire del gender gap in politica sia inversamente correlata la crescita del female empowerment. In realtà, a quanto pare non è affatto detto. Bisognerebbe approfondire se la regressione standard non venga ulteriormente contenuta, al crescere di elette quando prescelte per circonferenza petto.
D. Wessel, In FED we trust: Ben Bernanke’s war on the Great Panic, Crown Business, 2009.
Confesso, non ho mai sostenuto l’esame di politica monetaria. Sono stato solo un anomalo studente di giurisprudenza. Tralasciamo i perchè dell’anaomalia. Come giustamente sostiene Oscar Giannino avrei ben pochi titoli per segnalare qualcosa sulla Federal Reserve. Mi limiterò al gossip.
Sanford Levinson recensisce su Balkinization il nuovo libro di David Wessel (WSJ). Perchè il libro è interessante? Wessel ci fa entrare nei giorni della crisi e nelle stanze dove sono state prese le decisioni per affrontarla. Levinson mette in evidenza due cose. Prima si concentra sui poteri della FED:
Even if Paulsen was playing a role (often quite an unhelpful one), the ostensible President of the United States, one George W. Bush, was entirely irrelevant to most of the events Wessel describes, as was, by and large, Congress, at least until the sums of money became so completely gigantic that Congress had to authorize them.
Wessel entra nella psicologia dei personaggi che, dalla stanza dei bottoni, decidevano il da farsi. La weltanschauung di quei giorni era quella del “Whatever it takes“. Pronti a far tutto pur di portare a casa il risultato. Scrive Levinson:
The second point is perhaps of even more immediate concern to lawyers, for Wessel’s recurrent mantra, always in italics is whatever it takes. This describe Bernanke’s determination that the slide toward another Great Depression, if not worse, not take place on his watch and his concomitant willingness to do “whatever it takes” to avoid that. Thus the invocation of a hitherto obscure 1932 law–and the fact that it was passed in 1932 is of independent interest, since that obviously precedes FDR’s coming to power–that authorized the Fed to do a variety of amazing things in “unusual and exigent” circumstances. One might well regard this as an example of “delegation run riot,” at least in traditional terms. But Wessel notes that even that law wasn’t an out-and-out blank check, and that it required some creative lawyering and jerry-rigging of institutional structures to justify what was done. “Seeing imminent danger to the financial system, Bernanke and the New York Fed’s Tim Geithner had no choice but to improvise….” (p. 148, emphasis added). Indeed, to quote from the concluding chapter, “they stretched law to do whatever it takes to protect the system from clear and present danger” (p. 274, first italics added).
E qui Levinson affronta il problema della “constitutional dictatorship“. Ma questo è un esercizio di stile per poveri giuristi.
I tempi cambiano, ma le divisioni restano. Due economisti keynesiani, della London School of Economics e di Paris IX Dauphine, in questo paper si preoccupano di ciò che per noi sarebbe invece ottimale. La tendenza generale, in atto da un ventennio, alla graduale diminuzione del prelievo fiscale sulle imprese nell’area OCSE porta a una parallela diminuzione degli investimenti pubblici. A ogni 15% di calo dell’aliquota media, scrivono, corrisponde un calo degli investimenti pubblici che può andare da uno 0,6% ad “addirittura” più di un punto percentuale di prodotto. Conclusione, a prescindere dall’accuratezza dell’inferenza che a me personalmente lascia abbastanza perplesso (ma non è questa la sede per un approfondimento ipertecnico): se siete keynesiano o comunque statalista, penserete che abbassare le imposte alle imprese è due volte sbagliato; se siete un marginalista offertista, un neoclassico o comunque un antistatalista, penserete che abbassare le imposte è giusto non una volta ma due, perché l’investimento degli attori del mercato è per forza di cose più efficiente di quello deliberato e attuato dallo Stato.
La prima giornata del meeting di Jackson Hole vede i mercati europei in rally con crescite tra il 2 e il 3% degli indici. Vi invito a leggere il testo di Ben Bernanke, in apertura dei lavori, che ha provocato tutto questo entusiasmo. Da giornalista, ai lettori – e agli operatori di Borsa in azione – lo avrei presentato col titolo del WSJ – Bernanke: Recovery to Start Off Slowly – non con quello del Financial Times – Bernanke Optimistic on Economic Growth. Eppure è la seconda tesi che ha prevalso: il titolo stu-pe-fa-cen- te di apertura, del sito della Stampa diretta da Mario Calabresi, in queste ore è “La FED: preso la crisi sarà finita”. Parole che Bernanke non si è neppure sognato di dire. Il “nostro” Martin Feldstein porta a casa la palma di giornata, per chiarezza e secchezza di giudizio. Qui la sua intervista di commento a Bloomberg : Us Economy Weak, May Dip Again. La penso come Feldstein. La disoccupazione USA peggiorerà e la crisi USA potrebbe persino peggiorare. Ma vale la pena di esaminare il testo di Bernanke con cura. Read More
Alcuni lettori (amici e sodali) di tanto in tanto ci scrivono chiedendo notizia dei rapporti di collaborazione fra IBL e altri think tank, e di iniziative che hanno una prospettiva “internazionale” nel mondo delle organizzazioni di ispirazione “liberista” come la nostra. In questi giorni e’ in corso a Marsiglia la sesta “European Resource Bank”, un po’ convegno un po’ fiera: l’obiettivo e’ quello di riflettere assieme sulle buone pratiche messe a punto dai diversi istituti, vedere cosa si puo’ imparare gli uni dagli altri, magari cercare di coordinare quelle iniziative che possono essere fatte in partnership. Read More