Dopo la crisi, più contendibilità e più armi agli azionisti
Luca Enriques, professore di diritto commerciale e Commissario Consob, ha distillato per il Foglio e lavoce.info un articolo che è assieme una disamina sintetica e accurata delle cause della crisi finanziaria, e un’utile focalizzazione delle componenti di “corporate governance” delle stesse.
Nelle banche travolte dalla crisi, per Enriques “è mancata, da un lato, una leva di governance fondamentale per la buona gestione, il monitoraggio da parte dei creditori” mentre al contrario vi è stata “per soci e manager, la tentazione di scommesse sempre più rischiose a spese dei contribuenti”. Inoltre
il mercato del controllo societario ha premiato, nel breve, i peggiori: le banche più apprezzate da un mercato distorto (perché contava sulle garanzie pubbliche) hanno potuto acquisire le società ad esso meno gradite (magari perché più prudenti), diventando ancor più grandi e dunque più inclini all’azzardo morale.
L’articolo è da leggere e meditare, ma ci fa soprattutto apprezzare il grande merito di studiosi come Enriques o Jonathan Macey (che proprio nel mezzo della crisi ha pubblicato il suo strepitoso Corporate Governance. Promises Kept, Promises Broken, che nel 2010 potrete leggere in italiano per IBL Libri): l’applicare cioè all’interno delle imprese strumenti analitici cari agli studiosi di public choice.
Alla fine, il succo dell’articolo di Enriques (e del libro di Macey) è molto semplice: bisogna assicurarsi che i diritti di proprietà siano appieno rispettati. Condizioni di opacità e autoreferenzialità del management mettono a rischio il corretto funzionamento dei mercati proprio nella misura in cui contribuiscono a indebolire i diritti dei proprietari.