11
Ago
2009

Chi è giovane in tempo di recessione vorrà sempre Stato e redistribuzione

Negli anni tra il 1994 e il 2005, Alberto Alesina con una raffica di papers insieme ad una dozzina di economisti di mezzo mondo ha dato solidi fondamenti empirici allo studio delle interrelazoni tra avvenimenti storici  e preferenze economiche di lungo periodo manifestate dagli individui nei diversi contesti sociali, in particolare soffermandosi sulle caratteristiche che distinguono il modello anglosassone da quello europeo continentale. Il primo più basato sull’individuo, sulla convinzione che il successo dipenda dal duro lavoro e non dalla fortuna, e sulla diffidenza che le istituzioni servano innanzitutto a redistribuire il reddito invece che limitarsi a garantire libertà, proprietà ed equi punti di partenza per l’ascesa sociale, affidata nel suo concreto manifestarsi alle capacità di ciascuno.  La sintesi la trovate in “Fairness and Redistribution: US vs. Europe”, in American Economic Review, Vol. 95 (September 2005), alle pp. 913-35. Su quella base, si svilupparono tutta una serie di ricerche, alla caduta del comunismo, per capire meglio quali conseguenze di lungo periodo sarebbero derivate allo stato d’animo e alle convinzioni delle coorti di lavoratori che erano cresciute sotto il tallone dei regimi filosovietici, vedi su questo ancora di Alesina, nel 2008, “Good Bye Lenin (or not?) – The Effect of Communism on People’s Preferences,” American Economic Review, Vol. 97, pp. 1507-28.  Con analogo metodo, è venuto ora il momento di chiedersi: quali conseguenze eserciterà la recessione in corso, sui valori e sulle scelte di chi oggi ne subisce i colpi? Weimar – è fin troppo luogo comune – produsse il milieu ideale di consenso al nazismo. Da noi il fascismo si affermò prima, ma comunque fu decisiva la crisi da fine della sovrapproduzione bellica, con relativi sommovimenti sociali dalla settimana rossa del ’19 in avanti. E ora, che cosa ci aspetta? Non regimi tirannici ma purtroppo non molto di buono, almeno per noi liberali che crediamo nel mercato.

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11
Ago
2009

Produttività Usa a manetta: l’esatto opposto che da noi, recessione comunque

È assolutamente ovvio che i listini americani oggi non abbiano particolarmente brillato, dopo i dati preliminari sulla produttività americana nel secondo trimestre rilasciati oggi dal Dipartimento del Lavoro. Eppure sono numeri, in apparenza, tali da stappare champagne. Cerchiamo allora di tradurli, visto che confermano in pieno – purtroppo – quanto stiamo scrivendo su questo blog da settimane.

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11
Ago
2009

Pensieri estivi

Qui in Germania capita molto spesso di parlare di Italia e non soltanto per via del cibo, che pure rimane in cima alle preoccupazioni di gran parte dei tedeschi. Talora accade infatti di toccare argomenti più dolorosi, attinenti al delicato mondo della politica e dell’economia. Nei giorni scorsi, ad esempio, ho fatto quattro chiacchiere con una studentessa bavarese. Tra le prime cose che è riuscita a dirmi non appena ha saputo che ero italiano, ve n’è una che ho trovato particolarmente sconvolgente: “Io vengo in Italia – mi ha detto con entusiasmo- solo per viaggiare a bordo delle vostre Ferrovie. Sono così convenienti!” Al che, rabbrividendo, ho tentato di ricordarle che il servizio offerto da Trenitalia è di pessima qualità e soprattutto che il conto di prezzi così artificialmente bassi lo paghiamo noi contribuenti italiani. A suo modo aveva ragione Bastiat: ciò che si vede suggestiona molto di più di ciò che non si vede.

11
Ago
2009

L’occupazione americana e il frastuono statistico

Secondo i dati grezzi del Bureau of Labour Statistics (BLS), nel mese di luglio l’economia statunitense ha perso 1,33 milioni di posti di lavoro, un dato che dopo alcune correzioni statistiche si è ridimensionato ad una flessione del numero degli occupati non agricoli di 247.000 unità, cifra che ha fatto gridare al miracolo della stabilizzazione, dimenticando che quasi un quarto di milione di impieghi distrutti in un mese rappresenterebbe uno dei peggiori risultati delle fasi recessive americane dal 1948 ai giorni nostri, esclusa la Grande Recessione che stiamo attraversando. Un dato che induce a riflettere sulle tecniche di rettifica statistica applicate alle rilevazioni macroeconomiche.

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10
Ago
2009

Il guaio di Silvio, la santa diffidenza verso il big government

La levata di scudi generale odierna contro l’idea delle nuove gabbie salariali è giusta e sacrosanta: ma più che altro era scontata. Silvio Berlusconi, con la sua intervista al Mattino rilanciata oggi in interviste radiofoniche, su questo tema ha fatto il bis dell’errore di pochi giorni prima, quando il governo ha avuto la leggerezza di evocare la Cassa per il Mezzogiorno come precedente per l’annunciata nuova politica di sviluppo per il Sud.

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10
Ago
2009

L’ABI tedesca è più sincera, il profitto non fa primavera

Sempre a proposito di sincerità commendevole, nell’interpretare i dati e proporli al dibattito dell’opinione pubblica, due esempi freschi di giornata. Guardate qui: Andreas Schmitz, presidente della germanica Associazione Federale delle Banche, alla domanda se siamo in un credit crunch e se a suo giudizio ne esiste ancora comunque il rischio di aggravamento, onestamente ammette che si tratta di un grande pericolo assolutamente non sventato e dunque non si sente affatto di escluderlo, perché sarebbe del tutto irrealistico. Viene da sorridere, allineando questa semplice risposta di buon senso alla cortina fumogena pervicacemente diffusa da 10 mesi a questa parte da parte dei vertici e degli iscritti all’ABI italiana.

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10
Ago
2009

E lo chiamano federalismo ferroviario

Grandi novità per il trasporto su ferro in Lombardia. Una società pubblica che nascerà  dalla fusione dei due rami di azienda di Trenitalia e di Ferrovie Nord Milano che già oggi gestiscono il trasporto locale cui verrà affidata, senza gara, a partire dal 2010, la produzione dei servizi per un periodo di sei anni, rinnovabili per altri sei. Ma, soprattutto, soldi, tanti soldi in più. Dagli attuali 265 milioni di trasferimenti pubblici all’anno si passerà a 400 milioni, con un incremento pari al 50%: 135 milioni in più (110 milioni dalla Regione e 25 milioni, per tre anni, dal Governo) cui si deve aggiungere la quota parte dei 960 milioni per il rinnovo del materiale rotabile stanziati sempre dal Governo che sarà destinata alla Lombardia. Eppure, si dice, la fusione delle due società è giustificata dalla possibilità di conseguire maggiore efficienza.

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10
Ago
2009

Più deficit pubblico, meno investimenti e crescita

Due giorni fa Comstock Partners Inc. ha rilasciato un report utilissimo.  Dà una precisa misura quantitativa del cosiddetto deleveraging in corso nell’economia americana, del massiccio fenomeno di sostituzione tra debito pubblico e debito privato che sta avvenendo grazie al picco di spesa pubblica in deficit, e consente  perciò di sviluppare molte osservazioni critiche intorno a ciò che ci attende nel prossimo futuro e nel medio periodo. I dati degli USA non riguardano infatti solo gli americani. Checché si dica e si pensi da parte dei nuovi sostenitori del decoupling dei cicli, senza consumi americani l’offerta di prodotti e servizi del resto del mondo o non ha gli sbocchi ai quali era abituata in passato con conseguenze di produzione stagnante, oppure deve volgersi ai consumi interni – come sta provando a fare la Cina alimentando l’export di mezza Asia verso di lei, ma con grossissimi problemi di tenuta del sistema finanziario e bancario domestico nel medio periodo. Per questo vale la pena di dare un’occhiata al report di Comstock: la cosa riguarda anche noi, secondo Paese manifatturiero ed esportatore dell’Ue.

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9
Ago
2009

Mercati efficienti: nunc et semper Lucas pro nobis

Per chi se lo fosse perso o non avesse abitudine settimanale all’Economist, segnalo il magistrale intervento di Bob Lucas sul corrente numero. È un maestro per noi di Chicago (nell’infinitamente piccolo: anche mio), dunque non lo chioso ma mi limito a  diffonderlo. Imparando, come sempre. Tratta l’Economist come merita, cioè a pesci in faccia, per il suo report sulla dismal science in cui echeggiavano toni che erano quasi italiani, in merito alla solita storia sugli economisti inutili visto che non hanno saputo prevedere la crisi. Tante volte abbiamo anche nel nostro piccolo polemizzato sull’argomento, smentendo innanzitutto proprio la balla relativa alla presunta assenza di allarmi precedenti. Proprio chi non si riconosce in politiche monetarie lasche, aveva più volte inutilmente levato la voce rispetto alla formula Greenspan + high yields = systemic risk.  Ma l’intervento di Lucas è apprezzabile innanzitutto perché sbaracca con il giusto disprezzo chi vorrebbe invece accostare l’origine della crisi alla teoria dell’efficienza cognitiva dei mercati, uno dei maggiori contributi venuti alla finanza moderna dalla scuola di Chicago. E’ stato Eugene Fama- allievo del genialissimo Benoit Mandelbrot – in un famosissimo articolo pubblicato nel 1969 sull’International Economic Review dal titolo The Adjustment of Stock Prices to New Information, a porre le basi della cosiddetta EMH, Efficient Market Hypothesis. La sua teoria comprende tre diversi sub modelli di efficienza – debole, semi forte e forte – nella riflessione dei prezzi degli asset alle informazioni note, ed è accompagnata  dalla dimostrazione che l’efficienza di mercato non può essere respinta senza confutare insieme una qualunque ipotesi di modello di equilibrio del mercato. L’EMH non ha MAI voluto significare che i prezzi siano in sé intrinsecamente “razionali” se all’aggettivo si attribuisce il significato di evitare instabilità, e tanto meno eticament “giusti”: comporta solo che essi esprimano e scontino i dati e gli andamenti noti.  I behavioristi da una quindicina d’anni hanno attaccato duramente la EMH in nome del bias infomativo e cognitivo. E questo ci sta, in un mondo di informazioni finanziarie assolutamente “troppo” asimmetriche come quello in cui viviamo. Ma l’attacco dell’Economist  sapeva invece di mera burletta keynesiana alla finanza intrinsecamente instabile, per questo meritava di essere bastonato. La conclusione di Lucas, su questo, al momento è per me pressoché de-fi-ni-ti-va (anche se non bisognerebbe mai dirlo, in alcuna scienza umana): «The main lesson we should take away from the EMH for policymaking purposes is the futility of trying to deal with crises and recessions by finding central bankers and regulators who can identify and puncture bubbles. If these people exist, we will not be able to afford them». Lucas ora e sempre, per quello che mi riguarda.