7
Feb
2014

Multe ai giornalisti per l’uso improprio delle parole?—di Gianfilippo Cuneo

Riceviamo e volentieri pubblichiamo da Gianfilippo Cuneo.

Che l’Italia sia in una situazione disastrosa è evidente; i colpevoli sono molti, ma c’è una categoria che è particolarmente colpevole ed è quella dei giornalisti. La colpevolezza è aggravata dal fatto che per obbligo professionale i giornalisti dovrebbero informare, ed invece disinformano, magari inconsciamente, con un diffuso uso sbagliato delle parole da loro scelte per descrivere le situazioni. I cittadini disinformati poi hanno attese irragionevoli, fanno scelte politiche errate ecc.: quindi il danno è grave e bisogna intervenire, magari con multe salate a chi usa le parole sbagliate.

Se un medico descrivesse una polmonite come uno stato febbrile, direbbe una cosa che da un certo punto di vista è corretta, ma nella sostanza profondamente sbagliata. Se un magistrato parlasse di sottrazione di un oggetto invece che di un furto sarebbe redarguito. Se un ingegnere dichiarasse che una costruzione è inclinata invece di caratterizzarla come pericolante potrebbe esser radiato dall’albo. Ma perché invece un giornalista sportivo può dire che la squadra ha perso per 0 a 10 invece che dire che è stata travolta dall’avversario? Insomma, in tutte le professioni ci sono sanzioni per chi usa le parole sbagliate per descrivere i fatti, per i giornalisti no.

Le parole servono a descrivere fatti o fenomeni, non sono pennellate di colore su un quadro astratto; una parola sbagliata o imprecisa può descrivere un fatto all’opposto di quello che è. La qualità e intensità del fatto, la sua tendenza, le sue implicazioni richiedono parole diverse. Una pioggia può essere di 1 cm o di un metro; però, nel secondo caso la parola da usare non è pioggia, ma diluvio.

L’uso improprio di parole è un peccato grave perché ingenera nel lettore o nell’ascoltatore un giudizio di maggiore o minore gravità, di tranquillità o di emergenza, di fiducia o di allarme. L’uso prolungato di parole sbagliate poi crea assuefazione o, ancor peggio, trasforma in verità o giusto qualcosa che è falso o sbagliato. Quando lo faceva Goebbels c’era dietro un disegno predeterminato; se invece uno lo fa inconsapevolmente forse può esser perdonato, ma non se è un giornalista che per mestiere dovrebbe stare attento a descrivere i fenomeni con parole che tengono conto della sostanza e che ha il potere di influenzare molte persone.

Proprio per evitare l’uso sconsiderato delle parole, nelle redazioni di giornali o libri anglosassoni ci sono manuali che descrivono quali parole, apparentemente sinonime di altre, possono esser utilizzate in quali circostanze; c’è anche la professione dell’editor, cioè un professionista che corregge il lavoro di scrittori o giornalisti per evitare imprecisioni, ripetizioni, oscurità di messaggi, non sequitur e gap logici. Da noi la professione di editor non esiste, e ciascuno è libero di usare parole che sono percepite dai lettori come significare qualcosa mentre in realtà significano anche l’opposto. Nell’aneddoto attributo ad Abraham Lincoln che domandava “Quante gambe ha un cane se si chiama la coda ‘gamba’?” il giornalista italiano risponderebbe 5, mentre tutti sappiamo che la risposta giusta è 4.

Vediamo ora alcuni dei casi più diffusi di malcostume linguistico.

Privatizzare. Si dice che si privatizzano le Poste quando invece si pensa solo di collocare sul mercato una percentuale del capitale, mantenendo saldo nelle mani dei sindacati e del Governo il potere di fare qualsiasi cosa. Quando la Fincantieri propone di fare un IPO i giornalisti parlano di privatizzazione ed i sindacati insorgono, quasi che già a quotazione sia l’inizio di un pericolo.

Azienda privata. Certamente una SPA è costituita secondo le leggi del diritto privato. Ma normalmente è più rilevante chi la comanda, e se è il pubblico non ci può esser dubbio che l’azienda sia pubblica. Si può capire che un manager, per poter fare quello che vuole senza i controlli (e i lacci) del diritto pubblico si appelli allo status giuridico della sua azienda; ma almeno non faccia l’ipocrita quando si parla di come è gestita!

Tornare a crescere. Se fino a ieri l’Italia fosse stata in crescita e poi ci fosse stato stato un breve momento di calo del PIL il verbo “tornare” sarebbe appropriato; se invece sono quindici anni che in sostanza il paese è in declino, anche se la realtà è talvolta offuscata da iniezioni di deficit pubblico (che sono contate come crescita), allora la parola da usare sarebbe “inventarsi” la crescita, e tutti comprenderebbero facilmente quanto l’impresa sia praticamente impossibile.

Crisi. Una crisi è un fenomeno passeggero, come la famosa crisi del ’29 che in 4 o 5 anni era stata riassorbita; quindi basta aspettare e tutto andrà bene. Un declino è invece un robusto trend storico, che è enormemente difficile invertire, come sapeva bene Venezia nel ‘500 quando divenne non competitivo trafficare con l’oriente attraverso la via della seta; Vasco da Gama aveva dimostrato che era meglio passare dal Capo di Buona Speranza. Marcare la differenza fra le due parole è importante: se l’Italia è in declino, e non in crisi, non si può continuare ad aumentare il debito pubblico (per esempio rispettando il deficit del 3%) perché non ci sarà mai un surplus che permetta di ridurlo, come si può immaginare che capiti quando finisce la crisi (peraltro quasi nessuno ha memoria di quando ci sia stato in Italia un surplus di bilancio; se non c’era nel “bel tempo antico” figuriamoci come potrà mai esserci in futuro!).

Imprenditore. E’ giusto chiamare imprenditore uno che ha creato un’azienda, ha rischiato, è stato abile e comunque è sopravvissuto alle avversità: ma perché chiamare un imprenditore anche il figlio di un imprenditore? Chiamiamolo “figlio di papà”, capitalista, riccastro (finché non dilapida l’eredità); non chiamiamo mica chirurgo il figlio di un chirurgo, o anche immobiliarista il figlio che gestisce gli immobili lasciategli dal padre!

Manager. Normalmente un manager è qualcuno che ha imparato a gestire un’azienda, una divisione, un business o anche una funzione aziendale. Ma se si paracaduta una persona senza qualità e senza competenze a riempire la posizione vacante di amministratore delegato di un’azienda, miracolosamente tale persona diventa un manager? Non importa se tale persona è figlia di un capitalista o un amico di un politico; non è un manager chi mai e poi mai sarebbe scelto da un investitore per gestire qualcosa di serio. Non so quale altra parola si potrebbe usare: re travicello? Avatar? Impostore? Qualsiasi parola va bene, ma non manager.

Banchiere. Un tizio viene messo a fare il Presidente di una banca e diventa un banchiere! Ma dai! Chiamatelo Presidente della Banca, ci vogliono solo due parole in più ma è più preciso.

Preda. E’ una parola che si usa quando si vuol paventare il rischio che un’azienda sia acquisita da un’altra. Ma rischio per chi? Gli azionisti di Loro Piana o di Brioni sono estremamente contenti che le loro aziende siano state prede dei grandi francesi del lusso, e il Santander è contenta che MPS si sia svenata per comprargli Antonveneta. E’ dimostrato che nel gioco del M&A normalmente ci guadagna la preda, e non il predatore. E’ riprovevole usare parole che evocano sentimenti emotivi negativi (“il povero agnello che è preda del lupo”) quando ci dovrebbe esser ammirazione per chi si è fatto comprare a valori stratosferici. Se davvero la gestione delle aziende è orientata a creare valore per gli azionisti, allora esser preda è un concetto positivo, non negativo.

Aiuto di Stato. La stampa italiana ha caratterizzato l’ingresso delle Poste in Alitalia come una brillante intuizione finanziario/imprenditoriale del Governo; guai a parlare di aiuto di stato! C’era un giudice che diceva: non so definire cos’è la pornografia ma la so riconoscere quando la vedo.

Salvare. L’Italia è il paese in cui salvare qualsiasi cosa è meritorio: salvare Pompei, l’Alitalia, l’occupazione. La letteratura manageriale dimostra che salvare qualcosa che non funziona è una zavorra all’economia, un attentato alla competitività, uno spreco di capitali, e sovente soltanto una dilazione dell’inevitabile fallimento. Si salva la gamba ferita se l’attesa è che poi non vada in cancrena, se no meglio amputarla. Se l’intervento di salvataggio produce una situazione sostenibile allora si può usare la parola salvare, altrimenti si può usare “buttare soldi nel cesso”.

Diritti acquisiti. Qualche giornalista ripete acriticamente che esiste il principio che non si possono toccare i diritti acquisiti. Ma chi l’ha mai detto? Un ladro che entrato in possesso di un bene altrui ha un diritto acquisito in vitù dell’articolo quinto (chi l’ha in mano l’ha vinto)? Un dipendente della Regione Sicilia che è stato assunto senza alcuna necessità oggettiva e solo per raccomandazioni politiche o bieche convenienze elettorali può dire che il suo stipendio è un diritto acquisito? “Diritti usurpati” descrive meglio la situazione.

Amministratore Delegato. Un padre può nominare il figlio/figlia Amministratore Delegato di un’azienda, o addirittura il figlio/a che ha ereditato l’azienda può farlo impunemente. Ma lo è? Se Amministratore Delegato è un titolo onorifico, come conte o commendatore, allora ci vuole qualche altra parola per descrivere chi ha davvero ha capacità e responsabilità di gestire.

Premio di maggioranza. Sembra che chi ha un pacchetto di azioni che permette il controllo di una società goda di un “premio”, e cioè che le sue azioni valgano di più delle altre. Tutti sappiamo che il “premio” corrisponde a benefici illeciti ed occulti; quindi non è un premio, è un’appropriazione indebita del valore delle azioni che spetta in modo uguale a tutti gli azionisti. Uno si dovrebbe vergognare di ricevere un premio per il controllo.

Sinergia, rapporto con parti correlate, conflitto di interessi. Sono parole che si usano quando l’azionista di maggioranza utilizza l’azienda controllata per fini propri; il caso dei Ligresti è eclatante (ancora più eclatante è che tutti lo sapessero e che nemmeno gli organi di vigilanza o di giustizia abbiano fatto niente per anni). Ma decidiamoci, una volta per tutte a chiamare furto (a danno delle minoranze) il dare stipendi ai consiglierei di amministrazione, che sono membri ella famiglia controllante, e che mai e poi mai un’azienda normale riconoscerebbe a tali incapaci! E’ anche un furto far comprare da un’azienda controllate un asset del controllante senza che un socio di minoranza abbia potuto esser d’accordo sull’opportunità dell’acquisto o sul prezzo. Non è una scorrettezza tollerabile, è un furto.

Importante: è un aggettivo che si applica a amministratori delegati di grandi aziende pubbliche o private. Ma uno è importante perché è capitato per caso (o per spintoni) a riempire la casella giuridicamente definita come amministratore delegato o perché ha creato valore per gli azionisti in misura superiore all’indice di riferimento? E’ importante perché la sua azienda compra un sacco di pubblicità dal giornale che lo incensa, oppure perché un concorrente lo pagherebbe a peso d’oro per andare a gestire la propria azienda? Le parole bravo, importante, prestigioso, di successo ecc. devono esser usate avendo riguardo ai risultati, non come descrizioni di status: anche il cavallo di Caligola era diventato importante!

***

Insomma: la vogliamo smettere di utilizzare le parole sbagliate per descrivere fenomeni che invece di essere positivi sono negativi, o riprovevoli in vece che commendevoli, o matematicamente sbagliati?

Propongo che questo blog raccolga altri esempi di parole utilizzate a sproposito; limitiamoci ai casi dei giornali, Tv e radio italiane, perché se dovessimo anche includere frasi dette da politici l’elenco sarebbe senza fine. Poi potremo compilare un manuale per le redazioni dei giornali e TV, nella speranza che siano introdotte multe, o quanto meno l’assegnazione di punti negativi a valere sui bonus e le promozioni, per sanzionare chi sproloquia.

 

6 Responses

  1. hahahhahh!!! grande!!… visto che ci tocca andare a picco, almeno facciamoci quattro risate!…

    Permettete, non so resistere, bisogna che dica che una celebre azienda “privata” era TAV Spa, all’inizio della vicenda, privata solo di nome perché, benché avesse forma societaria di Spa, era praticamente tutta pubblica…il “project financing” al 60% di “capitali privati” è sempre stato una “bufala colossale”, come disse all’epoca il Ministro dei Trasporti Claudio Burlando… e siccome TAV Spa era “privata”, non furono fatte gare d’appalto, ma assegnati i lavori a trattativa privata. Una robetta da 100.000.000 di euro attuali, all’incirca.

    Grande spettacolo, grandi artisti. Grande Itaglia.

  2. Mike_M

    La proposta dell’autore del post è interessante. Spero che sia fatta propria da Leoni Blog. In effetti, l’approssimazione con la quale troppo spesso i giornalisti (soprattutto quelli che hanno la capacità di orientare l’opinione pubblica) descrivono i fatti, appare troppo grossolana per potersi ritenere involontaria. Il giornalista dovrebbe in qualche modo rispondere dell’uso inappropriato delle parole, essendo queste lo strumento del suo mestiere. Ciò dovrebbe valere ancor più in un Paese come il nostro, in cui la corporazione dei giornalisti, al pari, se non più di altre, appare caratterizzata da una quantità di conflitti di interessi francamente sconosciuta ad altre latitudini.

  3. Francesco_P

    Se uno usa il termine corretto può essere accusato può essere politicamente scorretto, fino – in certi casi – alla condanna in tribunale. Kafka era nessuno al confronto dei propugnatori del linguaggio politically correct.

  4. Forse ricorrere a punizioni sarebbe esagerato, ma almeno il pubblico ludibrio ci starebbe bene per i giornalisti che, usando male le parole, disinformato. Un settore molto importante è quello dei tanti problemi sociali (sanitari, ambientali…) che hanno una sostanza scientifica. Pochissimi giornalisti sanno qualcosa di scienza, ma si sa: la categoria si autoassolve mettendo la cosa in ridere. Ammette infatti che giornalista è chi racconta e spiega agli altri ciò che lui stesso ignora o non ha capito. Il guaio che può continuare a farlo senza che la cosa susciti scandalo.
    Per dare un piccolo contributo a migliorare la situazione ho scritto due libri col gruppo Longanesi (“Il segreto ella chimica” e “Fischi per fiaschi nell’italiano scientifico”) e uno con la Giunti (“La chimica fa bene”). Non sarà tanto elegante farsi pubblicità da soli, ma credo che a molti giornalisti consultarli farebbe bene.

  5. Menzioniamo subito il fatto che molti giornalisti, parlando di questioni energetiche, fanno orribili confusioni fra energia e potenza, che sono due cose assai diverse.
    Ma i maggiori travisamenti riguardano l’argomento del nucleare, dove le balle, a volte vere e proprie bufale, si sprecano (ignoranza o pregiudizio antinucleare?). Come nel recente caso dell’aumento di radioattività registrato da un sensore dell’impianto nucleare di Sellafield, che si è tradotto in titoli fortemente allarmistici: ma si trattava di un accumulo di radon di origine naturale dovuto a particolari condizioni meteo, spiegazione che ha avuto ben scarso rilievo.
    E così per le notizie riguardanti i tonni radioattivi di Fukushima pescati sulle coste Usa, i calamari giganti mutati dalle radioazione approdati in California, …
    E anche per la notizia (2011) che dopo Fukushima la radioattività misurata a Roma era maggiore di quella rilevata a Tokyo, perchè ….Ma fermiamoci qui.

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