13
Set
2012

Ma con Milanosport il Comune deve cambiare rotta

L’assessore allo Sport e Benessere del Comune di Milano, Chiara Bisconti, ha risposto alla proposta, che formulavo in questa ricerca, di chiudere Milanosport S.p.A. e vendere gli impianti sportivi comunali. Dall’intervista emerge che la presente amministrazione comunale non prenderà in considerazione questa idea, ma seguirà le seguenti direzioni: dare in gestione diretta altri impianti e cercare di ridurre il passivo della partecipata che il Comune è chiamato ogni anno a ripianare. Da contributo di otto milioni di euro nel 2011, l’obiettivo è di “chiudere fra tre anni a meno 2 milioni, concentrando i nostri sforzi sulle piscine.”

Dopo più di vent’anni che questo modello di gestione degli impianti degli impianti sportivi comunali  dà prova di essere fallimentare, davvero Milanosport merita un’altra possibilità? 

Già nel 1993 il Corriere della Sera  descriveva il Centro Milanese per lo sport e la ricreazione, antenato di Milanosport, “un’idrovora capace di risucchiare ogni anno una decina di miliardi [di lire] di passivo”. Oltre all’aspetto finanziario, è la pianificazione stessa ad essersi rivelata fallimentare: da un lato mancano gli impianti agonistici (in Milano non c’è una vasca olimpica coperta che possa ospitare competizioni di livello), dall’altro c’è sovrabbondanza di impianti per lo sport di base.

L’Assessore difende Milanosport perché una privatizzazione porterebbe alla chiusura degli impianti sportivi in periferia che “non hanno redditività per un privato”. Questo al massimo può essere vero oggi, ma è diretta conseguenza delle politiche del Comune. Si prenda ad esempio il quartiere Affori, dove nel raggio di un chilometro esistono 5 centri sportivi, tre dei quali con piscina. Questi centri sportivi hanno tassi di riempimento non superiori al 15-20% e margini negativi o molto limitati. E’ l’ostinazione del Comune a tenere aperti tutti questi impianti sportivi per sport di base a renderli poco redditizi.

In secondo luogo, Milanosport viene difesa per il suo “valore sociale”. Ricordiamo questi venti anni (almeno) di gestione in perdita sono stati finanziati con imposte sui cittadini che hanno contribuito a eroderne il reddito disponibile (il che significa anche meno reddito per finanziare tutte le proprie spese, ivi comprese quelle relative allo sport). E quelle maggiori imposte non hanno avuto un esclusivo fine sociale, in termini di sostenere le fasce deboli a praticare sport. In realtà, a livello economico, un Comune che sostiene una società come Milanosport equivale a ulteriori imposte prelevate da tutti i cittadini, abbienti e non, per trasferirle (sotto forma di biglietto d’ingresso a prezzo inferiore a quello di mercato) a tutti coloro che entrano in quegli impianti comunali, non solo le fasce deboli. È emblematico il successivo stralcio da un’intervista del Sole 24 Ore Lombardia del 18 maggio 2011 a Mirko Paletti, un presidente dimissionario di Milanosport, che per difendere la qualità di una piscina gestita dalla municipalizzata cita alcuni personaggi famosi che la frequentano.

“Per esempio qui alla Cozzi, che è una struttura ottima, abbiamo profitti. Abbiamo anche clienti noti come Martina Colombari o Cattelan…[…]” Come domandato dal cronista: “Ma perché la Colombari o Cattelan dovrebbero pagare un ingresso scontato del 50% rispetto al mercato?“

Infine, finché sarà presente una società come Milanosport non si potrà parlare di reale concorrenza nel mercato degli impianti sportivi milanesi. Questo perché non dovendo coprire i costi coi ricavi, grazie al contributo erogato ex-post dal Comune a fine d’anno, e non dovendo scontare il costo d’affitto degli impianti, Milanosport sarà sempre in grado di offrire prezzi inferiori a quelli di mercato, danneggiando così i concorrenti privati.

Più che quel limitato valore sociale, da difendere sono i redditi dei contribuenti e la concorrenza. Continuare a tenere aperta una municipalizzata in perdita, strada già percorsa da oltre vent’anni, non porta da nessuna parte: quello che è necessario è un deciso cambio di rotta.

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3 Responses

  1. Essendo cresciuta con Milanosport e frequentando ancora le strutture (da nuotatrice e da mamma) mi sento di dire però che, negli anni, le cose sono comunque migliorate (strutture, servizi, pulizia ecc).E’ vero, si potrebbe fare molto di più e una città come Milano ha bisogno di luoghi di aggregazione, tra cui i centri sportivi. Concordo quindi con il colabrodo che ha bisogno di essere arginato (o semplicemente gestito meglio).
    Una piccola curiosità: oltre ai vip, nelle piscine comunali gli impiegati comunali hanno spesso corsie preferenziali (e non parlo solo del biglietto d’ingresso). E a noi milanesi ci tocca nuotare come cittadini di serie B.

  2. Pietro Riccio

    Leggendo l’intervista alla Bisconti,leggo che si definisce una bocconiana che viene dal privato e crede nel dirigismo.
    Evidentemente la Bocconi non è questa grande università.

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