23
Giu
2010

Liberalizzazioni: bene anche i Radicali e bentornata Emma

Dopo le sei proposte di Pierluigi Bersani, oggi sono venuti allo scoperto i Radicali. I leader del partito – Emma Bonino, Mario Staderini, Michele De Lucia e Marco Beltrandi – hanno illustrato un pacchetto di emendamenti alla manovra finanziaria. Il senso generale delle proposte è quello di “raddrizzare” le storture dell’intervento tremontiano, giudicato molto duramente:

misura strutturale, tagli lineari, interventi emergenziali, settoriali o a colpi di “una tantum”. Misure inique, dunque, dall’efficacia limitata, ma soprattutto senza alcuna prospettiva, per il nostro Paese, di riforme, crescita, sviluppo. Per distribuire ricchezza, bisogna prima produrla; in caso contrario, si distribuisce solo povertà, se non – addirittura – miseria.

La diagnosi è, sostanzialmente, condivisibile, al netto della polemica politica. E la terapia?

Pensioni. I Radicali suggeriscono un graduale innalzamento dell’età pensionabile a 65 anni per tutti i lavoratori, uomini e donne, pubblici e privati, a decorrere dal 2018. Coi risparmi così realizzati, si suggerisce di creare strumenti più efficaci e affidabili degli attuali destinati al “sostegno del reddito, alla formazione e al reinserimento nel mercato del lavoro“. So che va molto di moda, e so di andare controcorrente, ma entrambe le misure mi lasciano perplesso. Per quel che riguarda l’età pensionabile, il mero innalzamento è un second best: il first best sarebbe la piena liberalizzazione dell’età del pensionamento, in cambio dell’abolizione di qualunque livello minimo della rendita pensionistica. In fondo, se uno vuole smettere di lavorare a 40 anni, perché vive in campagna e ha l’orto si sostenta da sé, e dunque per le spesucce gli basta un assegno da 100 euro vita natural durante, perché impedirglielo? Per quel che riguarda la costruzione di un welfare “nordico”, è questione complessa a piena di implicazioni, ma quanto meno la contropartita non dovrebbe essere il mero equilibrio contabile – meno pensioni contro più tutele – ma anche regolatoria – più sostegno ai lavoratori in cambio di un mercato del lavoro più libero. Ecco, questa seconda gamba non c’è, e in sua assenza non so se il gioco possa valer la candela. Ne abbiamo discusso qui.

Voucher. Sulla sanità, i Radicali propongono una proposta rivoluzionaria ma monca – o, almeno, insufficiente. Suggeriscono infatti di dotare ciascun individuo di una serie di “buoni sanità” utilizzabili per tutti i servizi di cura e assistenza. I voucher hanno una serie di vantaggi indiscutibili, che vanno dalla regolarizzazione di una serie di posizioni lavorative in particolare nell’assistenza, alla possibilità di creare forme di competizione tra le strutture pubbliche, e tra queste e le strutture private. Il problema è che, in un contesto ampiamente statizzato come il nostro, i voucher sono utili ma non sufficienti: occorre iniettare maggiori dosi di privato, creando un contesto competitivo che sia veramente equo. Ma, per evitare che questa appaia come una critica “benaltrista”, non ho problemi a dire che non c’è alcun motivo di avversare la proposta, mentre ci sono molti e buoni motivi per sostenerla. Comunque, la nostra posizione sul tema sta qui (e in un libro di prossima pubblicazione a cura di Alberto Mingardi e Gabriele Pelissero per IBL Libri: stay tuned).

Isae. Di fatto qui si vuole salvare, cambiandogli la faccia, l’Isae. Boh.

Liberalizzazioni. Qui sta della ciccia davvero sugosa, e forse è il capitolo più interessante e rivoluzionario dell’intero pacchetto di riforme radicali. La prima e più bella consiste nella sostanziale abolizione dell’Inail, consentendo l’ingresso dei privati nel mercato assicurativo degli infortuni sul lavoro. Credo noi dell’IBL siamo stati tra i primi a suggerirlo, qui. Sulle banche, si propone l’istituzione di un’autorità di controllo sull’attività delle fondazioni di origine bancaria e si suggerisce il ripristino del divieto di impresa nei settori non bancari e non finanziari: lasciamo perdere. Sulle infrastrutture energetiche si propone la separazione proprietaria delle reti, in particolare quella gas, dagli incumbent. Non è disponibile il testo della proposta, quindi non la so valutare tecnicamente (in realtà non serve una legge, serve solo una data per rendere efficace quello che la normativa vigente già impone), comunque il principio è giusto e coraggioso, come spiego qui. Libri: si suggerisce una parziale liberalizzazione dei prezzi, consentendo al librario di praticare sconti superiori al 15 per cento nei 20 mesi successivi alla pubblicazione (chissà perché solo per un periodo di tempo limitato). Buono ma poco coraggioso. Qui le buone ragioni per un intervento più… radicale. [UPDATE: Come spiegato nei commenti, l’emendamento radicale ha l’effetto di liberalizzare completamente i prezzi dei libri, perché questi sono già liberi a partire dal ventesimo mese dalla pubblicazione. Mi scuso per l’errore]. Sale cinematografiche: togliere alle regioni il potere di programmare (o impedirne) l’apertura. Giusto. Ne abbiamo parlato, con una riflessione più ampia sulle regolamentazione del commercio, qui. Idem per la liberalizzazione delle vendite dei giornali. Viene poi proposto un significativo alleggerimento dei vincoli alle vendite sottocosto (ma, anche qui, perché non liberalizzarle del tutto?). Infine, conclusione in bellezza: abolizione del valore legale del titolo di studio. Hip hip hurrà!

Costi della politica. Riduzioni assortite dei contributi pubblici ai partiti. Why not?

Risparmi nella pubblica amministrazione. Il primo emendamento propone di privilegiare il software open source rispetto a quello proprietario. Mi lascia molto perplesso: non c’è ragione a priori di ritenere l’uno meglio dell’altro, specie quando il software serve per svolgere funzioni precise. Non metto link perché non trovo, ma sono sicuro che anche questo l’avevamo detto qualche anno fa, quando se ne era parlato. Poi c’è un tentativo di rendere un filo più civili le nostre norme sull’immigrazione, e non possiamo che approvare. E infine c’è la questione della liberalizzazione dei servizi pubblici locali, su cui è superfluo dire che siamo del tutto allineati.

Stato di diritto e fisco. Vengono eliminati gli interventi più violenti e da stato di polizia tributaria contenuti nella manovra tremontiana. Avanti tutta!

Fiscalità ambientale. Vengono avanzate tre proposte: una carbon tax il cui gettito sia impiegato per ridurre il carico fiscale sul lavoro. Promossa. La costituzione di un fondo di garanzia contro i danni delle estrazione offshore (mica siamo in Louisiana, perbacco). La riduzione degli incentivi all’eolico: qui non è chiaro come, ma di fatto un provvedimento del genere, e persino esagerato, c’è già nella manovra. Il problema è complesso e penso di tornarci presto in modo più ampio, ma mi pare anzitutto sia necessario distinguere tra impianti esistenti o autorizzati (per i quali pacta sunt servanda) e installazioni future. Inoltre non ne capisco la logica: in un’ottica di carbon tax, tutti i sussidi andrebbero aboliti. Inoltre, e questo ha dell’incredibile, credevo fosse ovvio che il vero scandalo in questo paese non sono i sussidi all’eolico, ma quelli al solare fotovoltaico. Se proprio si deve, pregasi iniziare da lì.

Tutela delle aree protette. I radicali vorrebbero restituire ai parchi i soldi tolti da Tremonti. Vade retro!

Urbanistica. Sono molto combattuto su questo emendamento, che vorrebbe rintuzzare le ambigue aperture della manovra sulla possibilità di re-introdurre imposte sugli immobili negli enti locali. Da un lato, mi sta bene: serve a contenere la pressione fiscale totale. Dall’altro insomma: se davvero dobbiamo prendere sul serio la riforma federalista, il problema non è impedire agli enti locali di autofinanziarsi come gli pare, ma tagliare le unghie al fisco centrale.

In conclusione: il pacchetto è ampio e variegato, ma la maggior parte delle proposte sono più che sensate. Quindi, nella maggior parte dei casi speriamo vengano approvate, sapendo che ciò non accadrà. Fa piacere, e mi scuso per la conclusione un filo polemica, scoprire che la Dott.ssa Bonino-Jeckyll ha ripreso il sopravvento su Miss Emma-Hyde che, durante la corsa alienata per la presidenza del Lazio, aveva subito una mutazione genetica nel solco tremontian-rifondarolo. Bentornata tra noi!

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23 Responses

  1. Alberto

    Beh che dire… notevole da parte dei radicali, e soprattutto alcune veramente ottime…Peccato che “speriamo vengano approvate, sapendo che ciò non accadrà”..
    La speranza è l’utlima a morire dott. Stagnaro! anche se ultimamente lei ( la speranza) la vedo piuttosto malconcia…
    Ottimo articolo ( come al solito..)-
    Saluti Alberto

  2. Zippo

    Per lo meno sulle proposte dei Radicali e del PD c’e’ qualcosa di cui parlare e discutere.
    Sulle proposte del PDL o della Lega Nord, anche volendo, cosa c’e’ da dire?
    Nulla, perche’ di obiettivi non ne hanno.
    A parte quello di spartirsi il bottino, ovviamente…

  3. Renzino l'Europeo

    Quante buffonate, soprattutto quella “conclusione in bellezza: abolizione del valore legale del titolo di studio”. Ma dove vivete? Il valore legale esiste dappertutto.

  4. Piccolapatria

    Non ricordo l’anno dei ’90 quando i radicali promossero una benemerita “lenzuolata” di Referendum liberali, inerenti la politica, il lavoro,le pensioni, la magistratura ecc… Furono raccolti milioni e milioni di firme con la collaborazione anche della Lega, l’appoggio di buona parte della stampa ( tra cui Montanelli) e numerosi commentatori che ancora contano. Avversi i sindacati che venivano toccati per la richiesta dell’abolizione della ritenuta automatica a loro favore sulle buste paga da parte dei datori di lavoro. In parte furono cassati dalla Magistratura “non ammissibili” ( se non ricordo male,per esempio, l’abolizione della ritenuta d’acconto). Per gli altri si andò al voto con esiti favorevoli ma senza alcuna conseguenza concreta o per mancata attuazione o con norme che aggirarono stravolgendo l’indicazione referendaria, vedi il finanziamento dei partiti diventato più oneroso e oscuro. Ma, quando i radicali si candidarono in appoggio a Prodi, la liberale Emma in più occasioni televisive di campagna elettorale rivendicava con ritornello insistente e a raffica per essere incisiva nel messaggio : scuola pubblica,scuola pubblica, scuola pubblica… Ora sono all’opposizione e finalmente tornano ad essere i liberali che apprezzo e ammiro e con i quali ho condiviso e appoggiato le iniziative. Meritano attenzione le loro proposte da parte di questo governo, se è vero che ha a cuore le sorti della povera Italia.

  5. Riccardo

    ma perchè invece di parlare di grandi riforme non si comincia da piccole cose semplici semplici! visto che siamo in periodo di denuncia dei redditi ma vi rendete conto che si paga le tasse su un immobile per il semplice fatto di possederlo (dopo aver pagato fior di soldi di iva o imposta di registro al momento dell’acquisto!)
    ogni tanto anche i giornalisti non dovrebbere perdere tempo a commentare uscite con poco senso…. in sintesi where is the beef in tutte queste belle parole

  6. focusliberale.splinder.com

    L’emendamento sul prezzo dei libri va esattamente nella direzione indicata dall’ottimo paper dell’IBL di Benedetto Della Vedova e Piercamillo Falasca. Attualmente il prezzo è liberamente fissabile dal rivenditore solo trascorsi 20 mesi dall’uscita del libro. L’emendamente mira ad estendere tale possibilità anche ai primo 20 mesi, con l’effetto di liberalizzare totalmente il prezzo.

  7. stefano

    @Renzino l’Europeo
    Più o meno caro Renzino; fatto sta che il titolo di studio preso all’Università di Bari** per lo Stato italiano ha praticamente più valore di quella presa a Oxford.
    La qual cosa mi pare una monumentale minchiata, con rispetto parlando per chi ha studiato a Bari.
    E ti assicuro che devo quotidianamente confrontarmi con gente laureata che dovrebbe ritornare alle elementari, e chissà come mai tutta nella P.A. o quasi (ma nel privato dura poco).
    Se si introducesse un po’ di concorrenza tra università, le cose migliorerebbero grandemente, per cui sono d’accordo con l’abolizione del valore legale.
    Se tu hai una ricetta migliore, ti ascolto, senza alcuno spirito polemico.

    **Mi sovviene questa università in particolare perché, in un articolo letto tempo fa, mi ha colpito il fatto che all’interno di questo ateneo sono quasi tutti parenti: sicuramente perché tutti geneticamente migliori degli altri, nessun tipo di favoritismo, ci mancherebbe!

  8. Piccolapatria

    Il valore legale del titolo di studio.
    Non credo che sia uguale dappertutto. In Inghilterra la laurea italiana, se richiesta per accedere per esempio a un PHD inglese o per un impiego universitario, è valida semplicemente tradotta dall’italiano e firmata in originale dall’ateneo in cui si è conseguita e quindi riconosciuta come titolo. Per completare l’esempio: l’accesso al lavoro in una Università anche pubblica, in qualità di docente, non avviene attraverso un concorso ma semplicemente rispondendo ad un annuncio di offerta di lavoro e si viene assunti, se in possesso delle caratteristiche richieste , tra cui il titolo di studio e previo uno o più colloqui e la presentazione di almeno tre credenziali scritte e firmate da figure professionali individuabili. L’impiego ha carattere privato ed è quasi sempre a tempo determinato rinnovabile. Più o meno la stessa prassi per USA dove, solo per alcuni casi tipo partecipazione a corsi universitari che daranno seguito a un titolo usabile in USA, viene richiesta l’equipollenza tramite un’agenzia apposita che ne certifica la validità. Anche in USA l’impiego ha carattere privato anche nelle Università federali ed è sempre a tempo determinato rinnovabile. Mentre in Francia e in Spagna è come in Italia.

  9. Renzino l'Europeo

    @stefano

    Quello che indichi è la questione del *riconoscimento* dei titoli di studio di altro Paese: affare oggidì quasi di routine, regolato nelle procedure da Trattati sopranazonali e apposite norme interne.
    Ref.:
    http://www.enic-naric.net/
    http://www.cimea.it/
    La concorrenza fra Università esiste: chiunque è libero di iscriversi dove vuole.
    Il c.d. “valore legale” non implica l’equivalenza dei titoli, ma l’equipollenza a certi fini ed usi, ed è così in tutto il mondo, con forme di controllo e di garanzia della qualità che variano da Paese a Paese. I “polemisti” italiani non raccontano correttamente le cose.

  10. Il c.d. “valore legale” non implica l’equivalenza dei titoli, ma l’equipollenza a certi fini ed usi, ed è così in tutto il mondo, con forme di controllo e di garanzia della qualità che variano da Paese a Paese. I “polemisti” italiani non raccontano correttamente le cose.

    Polemista (e ignorante) sarai tu caro Renzino.
    Garanzia di qualita’ un cavolfiore: con questo sistema del valore legale del titolo di studio, per la legge italiana hanno lo stesso valore una laurea a Berkeley (presitigiosa universita’ della California) ed una laurea a Berkley (universita’ finta dove puoi comprare per 2’000 dollari una laurea ad honorem).
    Vedere per credere: http://berkley-u.edu/hon_deg.html

    Hai capito ora?
    Non si tratta d’ipotesi astratte, ma di fatti concreti. Comprati la laurea alla Berkley e ti potremo chiamare (in Italia) Dottor Renzino.

  11. Renzino l'Europeo

    dave :

    Polemista (e ignorante) sarai tu caro Renzino.Garanzia di qualita’ un cavolfiore: con questo sistema del valore legale del titolo di studio, per la legge italiana hanno lo stesso valore una laurea a Berkeley (presitigiosa universita’ della California) ed una laurea a Berkley (universita’ finta dove puoi comprare per 2′000 dollari una laurea ad honorem.

    Ma per favore, signor dave, si risparmi le Sue osservazioni, e si legga invece le informazioni contenute nei siti che Le ho indicato. In poche parole: studi.

  12. Innanzitutto grazie a Carlo Stagnaro e a voi tutti per l’attenzione alle nostre proposte, che necessariamente hanno scontato il fatto di essere tentativi di correzione di una manovra, non la “nostra manovra”.

    Ha esattamente ragione piccola patria, riforme liberali in questo Paese ce ne potevano essere molte gia 15 anni fa, con i pacchetti di referendum che abbiamo presentato negli anni 90 e sinanche nel 2000, quando Berlusconi li defini’ “comunisti” e disse che li avrebbe fatti lui una volta al Governo. s’è visto….
    C’era l’abrogazione del monopolio inail, del monopolio pubblico del servizio sanitario, quelli sul mercato del lavoro, sulle trattenute sindacali, sulla giustizia, sul finanziamento pubblico, sino anche all’abrogazione del sostituto d’imposta.

    oggi il referendum l’hanno vietato, passerebbero solo quelli permessi dal regime.
    speriamo di recuperare alla vita pubblica italiana questo strumento.

    Sulle pensioni manca pero la proposta di legge Pannella-Ichino-Cazzola per la prosecuzione del rapporto di lavoro oltre i limiti legali di età

    http://www.radicali.it/view.php?id=145320
    quanto al softuare libero, non c’è un obbligo per la PA ma una indicazione di preferenza: se si vuole utilizzare uno proprietario, lo si puo fare ma lo si deve motivare.
    La ragione è proprio economica, verso il prodotto meno costoso. Ogni anno province e comuni spendono circa 30 milioni di euro per Office, e le amministrazioni statali quasi il doppio.
    è evidente che non c’è una scelta basata sulle necessità ma si tratta di spese fatte per default.

    Sul resto, beh, c’è da approfondire e gli spunti del IBL sono sempre un tesoro per noi radicali.

    a presto

    Mario

  13. Ruggero

    da ex elettore radicale (oramai non voto dal lontano 2002) mi pare poca roba … soprattutto non mi convince l’abolizione dell’inail: ne seguirebbe un progressivo aumento dell’assucurazione contro gli infortuni come avvenuto per il mercato auto!!!

  14. Carlo Stagnaro

    @Focus Liberale: Grazie della segnalazione sui prezzi dei libri, ho provveduto a correggere il testo. Bene così!
    @Riccardo: è strano, ma tutte le volte che si parla di grandi riforme, qualcuno invoca la politica dei piccoli passi, mentre quando si propongono piccoli passi qualcun altro invoca le grandi riforme. Io credo che servano entrambe le cose, e quando vedo proposte – siano esse piccoli passi o grandi riforme – che vanno nella direzione giusta, non mi faccio problemi a dirlo e, per quel poco che posso, sono felice di sostenerle.
    Sul valore legale del titolo di studio, mi sembra che tutte le risposte necessarie siano emerse direttamente nei commenti. Sui referendum radicali (e leghisti) degli anni ’90, stendiamo un velo pietoso. E’ stata una grande speranza ed è stata completamente disattesa a causa dell’enorme impegno del nostro disgraziato ceto politico, di destra e di sinistra, nello smantellarne i risultati. E’ anche per questo, forse, che gli elettori hanno perso fiducia nello strumento referendario: doveva essere un mezzo di controllo e pressione sui politici, e i politici l’hanno completamente neutralizzato. Chi crede nella democrazia, dalla vicenda referendaria dagli anni Novanta in poi può trarre una serie di lezioni su come i rappresentanti “democraticamente” eletti possono impedire ai cittadini di esercitare la propria sovranità.

  15. Carlo Stagnaro

    Mario:
    Ti ringrazio molto dei chiarimenti e dei commenti. E ne approfitto per farti e farvi i complimenti per un pacchetto di proposte che, nella larga maggioranza dei casi, sono buone o molto buone, nella nostra prospettiva.
    Sulla proposta Pannella-Ichino-Cazzola, naturalmente, non posso che essere favorevole. Non l’avevo commentata perché non mi pareva facesse parte del pacchetto di emendamenti alla manovra presentato sul sito dei radicali, ma può essere stata una mia svista. Mi sembra un tentativo interessante di superare i limiti artificiosi – sia verso l’alto sia verso il basso – all’età pensionabile. Ma, in astratto, resto convinto che il problema vero sia il superamento dell’idea stessa di età pensionabile: anche se capisco che il boccone politicamente più indigesto sia quello di prendere sul serio, ed essere coerente con, i coefficienti di attualizzazione. Finché sarà un tabù politico quello di erogare rendite pensionistiche molto basse, dovremo necessariamente pensare in modo unidimensionale, avendo come unica leva a disposizione quella dell’età. Ed è ovvio che in un contesto di allungamento dell’età media, l’età del pensionamento non può che crescere e, in questo, la vostra proposta di alzarla a 65 anni è giusta e inevitabile (contrained, lo ripeto, dall’impossibilità politica di accettare pensioni molto basse).
    Sul software libero capisco la logica ma resto perplesso: spendere di più per un software proprietario, che tutti sanni usare fin dall’inizio e dunque non richiede alcuna forma di training (sia sotto forma di corsi, sia sotto forma di tempo perso nell’apprendimento) può comunque essere economicamente vantaggioso. E’ ovvio che è difficile formalizzare il problema, e dunque qualunque soluzione – la preferenza per il software libero piuttosto che per quello proprietario – è facilmente criticabile.
    In bocca al lupo e grazie per il tuo intervento.

  16. giovanna

    i radicali sono l’unica forza politica autenticamente liberale al momento disponibile su piazza. Dunque, nessuna sorpresa per queste proposte che, sicuramente perfettibili, rientrano in una consolidata tradizione di proposte liberali e liberiste e riportano a un impianto ideale solido

  17. spago

    Sull’uso del software open source non c’è un motivo di convenienza semplicemente economica. L’open source è inevitabilmente un software con maggiore interoperabilità e portabilità, è dunque più longevo e meno soggetto al problema dell’invecchiamento digitale (grande problema delle amministrazioni italiane). Un software proprietario invece è sempre e comunque maggiormente vincolato. L’importante è scegliere comunque software che aderiscano agli standard internazionali correnti e scegliere ciascuno dei softwares diversi

  18. Ciao Carlo. Sono Luca Nicotra, segretario dell’associazione Agorà Digitale, ed ho collaborato all’elaborazione dell’emendamento sul software libero.

    Hai ragione, non c’è nessun risparmio automatico. Ma sulla questione in parte ti ha già risposto Mario. Evidentemente mettere le diverse soluzioni sullo stesso piano non è sufficiente, e molte amministrazioni dovrebbero quindi essere spinte a porsi il problema e giustificare le loro scelte alternative.

    Ma il motivo principale per investire in software libero è quello di liberalizzare il mercato del software. Internet non ci sarebbe senza il software libero. Cosi’ come molte altre imprese di successo nel mondo digitale.

    Il software libero è un commons, che consente innovazione senza dover chiedere permesso. E’ per questo il settore pubblico (pa locali, sanità, etc.) dovrebbe investirvi preferenzialmente i quasi 3 miliardi l’anno che investe nel settore IT e che costituisce circa il 15% del mercato.

    Se ti interessa ne parlo oggi in un post: http://www.lucanicotra.org/emendamento-software-libero.

  19. Inoltre secondo me la scelta del software libero in qualche modo porterebbe un beneficio anche economico in senso monetario, di denaro vero e proprio- oltre ovviamente agli aspetti che dice Luca: non sono una gran matematica ma penso ai costi degli aggiornamenti.

    Voglio dire: tutti i prodotti di monopolio hanno un costo. Non so quanti computer ha la pubblica amministrazione italiana, ma immagino tanti: 1 computer, 1 aggiornamento- +aggiornamenti, 1 costo, che moltiplicato per “tanto” mi sa che come risultato è “TANTO”.

    http://www.softwarelibero.it/portale/legislazione.shtml

    http://www.fainotizia.it/2010/07/05/il-software-libero-ha-bisogno-di-scelte-radicali

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