17
Gen
2010

Lezioni della crisi: oltre l’individualismo metodologico, ma con Hayek

Ci rimuginavo sopra da qualche mese, in particolare dalla lettura dell’ultimo libro di Richard Posner, che attribuisce la crisi alla dimostrata infondatezza dell’EMH, l’Ipotesi  sui Mercati Efficienti di Eugene Fama, e viene perciò potentemente usato dalla pubblicistica liberal per decretare la fine della scuola di Chicago. Alberto Mingardi ha scritto un articolo magistrale sul domenicale del Sole di oggi, rispondendo pan per focaccia. Ma al di là della battaglia delle idee versus i neokeynesiani apparentemente trionfanti del ritorno in grande stile della politica e dello Stato – vedi anche intervista di Giulio Tremonti sempre al Sole di oggi – quel che non mi soddisfaceva era l’assenza sin qui di una riflessione approfondita e al contempo “interna” alla nostra scuola, intorno alla sfida lanciata nella crisi dalla altre scuole di pensiero economico. Per la prima volta qualche giorno fa mi è invece sembrato di trovarla. L’autore l’avevo già segnalato all’inizio dell’anno, per un altro scritto su un altro tema. È Bob Ahdieh, professore alla Emory University School of Law. Il saggio è programmatico sin dal titolo: Beyond Individualism in Law and Economics. Ma il suo pregio è di accontentare i nostri avversari solo nel titolo. Sarei felice che parecchi dei lettori del nostro blog lo leggessero, e scrivessero che cosa ne pensano. 

In estrema sintesi, dirò qui solo perché Ahdieh convince me, e mi sembra tracci la via sulla quale è opportuno inoltrarsi di qui al futuro. Innanzitutto, è scritto “dal di dentro” della nostra visuale. L’autore si riconosce nella scuola di Law and Economics, che dalla scuola neoclassica assume i due princìpi basilari, l’individualismo metodologico e l’ipotesi dei comportamenti razionali di attori e mercato alla luce delle informazioni note. Ne ricorda le basi poste da Schumpeter sin dal 1908,

…the self-governing individual constitutes the ultimate unit of the social sciences; and . . . all social phenomena resolve themselves into decisions and actions of individuals that need not or cannot be further analysedin terms of superindividual factors

ma dopo aver ricordato tutti gli altri principali apporti al suo sviluppo, incardina saldamente l’individualismo metodologico ad Hayek, il quale respinge ogni olismo sociologico, ma al contempo riconosce fermamente che

The overall order of actions in a group is in two respects more than the totality of regularities observablein the actions of the individuals and cannot be wholly reduced to them. It is so not only in the trivial sense inwhich the whole is more than the mere sum of its part but presupposes also that these elements are related to each other in a particular manner. It is more also because the existence of those relations which areessential for the existence of the whole cannot be accounted for wholly by the interaction of the parts but only by their interaction with an outside world both of the individual parts and the whole.

In altre parole, Hayek fu e rimase sempre discosto dal disconoscere che nelle scelte collettive NON contasse altro che l’individuo.

Ahdieh passa poi al cuore del saggio, che prende le mosse dal poderoso attacco mosso dal 1994 – anni in cui neoclassici e Law And Economics sembravano ormai privi di avversari negli USA, per quanto ancora e sempre minoritari nelle tenure accademiche – da Kenneth Arrow nel suo famoso intervento all’American Economic Association. L’esogenità dei meccanismi di formazione delle preferenze individuali rispetto alla Teoria Generale dell’equilibrio neoclassica, che riconduce i meccanismi di formazione dei prezzi alle scelte degli individui disinteressandosi da ciò che quelle scelte può influenzare  per effetto di retaggi e influenze culturali o interazioni e induzioni collettive,  ha portato nel tempo una concezione estrema dell’individualismo metodologico a rivelarsi poco efficiente nell’interpretazione economica di quattro rilevanti fenomeni, le norme sociali, le economie di rete, i giochi cooperativi a equilibrio multiplo, e infine proprio quell’informazione economica che era e resta alla base dell’Ipotesi Mercati Efficienti. La parte più succosa e per me interessante delle considerazioni di Ahdieh è proprio nell’analisi di questi quattro capitoli. Applicare come unico criterio l’utilità marginale individuale non consente di comprendere al meglio le funzioni di ottimizzazione per il consumatore in caso di osu di massa di servizi in rete in monopolio d’infrastruttura naturale. Mentre la crisi finanziaria del 2007-08 nasce come drastico passaggio da un equilibrio elevato della fiducia che consente al sistema bancario di operare avendo una riserva frazionale rispetto al totale dei depositi, a un equilibrio subottimale di impiego del capitale per il quale i depositanti ne chiedono la restituzione tutti immediatamente : e questo proprio perché l’informazione nasce da interconnessione e coordinazione che non è mera somma di utilità individuali.

In conclusione, ha ragione Ronald Coase a lamentare che per tre decenni l’individualismo metodologico si è è troppo ingessato nella sua pretesa superiorità rifuggendo dagli interrogativi e dalle sfide che lo sviluppo del mercato gli poneva, e ha torto Posner che dalla crisi ripudia Chicago. Perché con un buon uso del behaviorismo e della teoria dell’inconsistenza dinamica  temporale, l’individualismo metodologico resta il miglior strumento interpretativo, ma a una condizione: quella di ricordare che per Hayek la formazione delle scelte e la valutazione delle esternalità negative non si risolveva affatto, nella mera somma di utilità individuali, ma anche e sempre nella valutazione delle loro interrelazioni. Sembra poco, ma è ciò che consente a Chicago di restare più che mai essenziale, per combattere con successo contro il neokeynesismo che crede di celebrare nuovi tronfi.

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11 Responses

  1. Pietro M.

    Temi interessanti, ma con 47 pagine di PDF allegato mi è impossibile dibatterli ora, e penso che questo sia un problema per chiunque non abbia già letto Ahdieh per caso. Mi propongo di scrivere un commento, ma ho l’impressione che l’autore (Ahdieh, non lei) non abbia granché cognizione delle differenze tra austriaci e neoclassici.

    Ad occhio direi:

    1) l’individualismo metodologico alla Hayek non ha molto a che fare con l’individualismo metodologico neoclassico;

    2) il negare che possano esistere problemi di coordinazione è un problema dell’economia standard e non dell’individualismo metodologico: il problema esiste in un contesto walrasiano, non mengeriano;

    3) La spiegazione in termini di fiducia non è una spiegazione della crisi. E’ ovvio che in crisi c’è meno fiducia e nel boom ce n’è di più. La correlazione tra le due cose non dice nulla sulla causazione reale;

    4) Quanto dice Ahdieh nell’introduzione paper assomiglia moltissimo alla teoria austriaca del processo di mercato e dell’imprenditorialità.

    Sono mesi che dico che c’è bisogno di un paradigm shift per il liberalismo economico: dal difendere i mercati perché impeccabili a difenderli perché c’è sempre di peggio. Ma questo paradigm shift non è politico ma teorico (non ideologico ma scientifico): ci vuole meno Fama e più Hayek, meno real business cycle e più New Institutional Economics, Austrian Economics, Computational Economics (più George Mason University, per intenderci).

    Se la vittima di tutto ciò sarà l’individualismo metodologico, staremo peggio di prima, esattamente come il trionfo di Keynes negli anni ’30 è stato un quantum leap INDIETRO dal punto di vista teorico.

    Bisogna lasciar perdere l’equilibrio generale come visione (anziché coem caso particolare) del sistema economico, lasciar perdere l’efficienza come criterio realmente applicabile e come fine normativo, lasciar perdere il teorema di Coase, iniziare a ragionare in termini di processi di coordinazione, azione imprenditoriale, teoria del calcolo economico, equilibrio intertemporale, compatibilità tra piani, ruolo evolutivo delle norme… e lasciar perdere equivalenze ricardiane, mercati efficienti, moneta neutrale e market clearing istantanei se non come curiosità intellettuali.

    Roger Koppl ha scritto un bel paper, “Austrian Economics on the cutting edge” sulla Review of Austrian Economics: pare che ci sia una crescente letteratura non ortodossa, che magari non si studierà al MIT ma che continua a crescere indipendentemente dalle estensioni del paradigma walrasiano (ormai in condizioni di ritorni decrescenti), e la chiama BRICE: Bounded rationality, Rule following, Information, Cognition, Evolution.

    Se si continua a difendere i mercati con argomenti alla Fama si perderà ogni rispettatbilità intellettuale. E questo sarebbe ridicolo, visto che questa è una crisi creata dai neokeynesiani e non certo da Friedman o Lucas. Pare che Mises in letto di morte abbia detto “We need another Hayek”. Dov’è?

  2. Antonio M

    Caro Giannino e co. premetto di essere un ingegnere meccanico da circa un anno appasionato degli scritti di Von Mises e per questa “deformazione” portato a vedere le cose probabilme con eccessiva mente matematica e poca logica aristotelica, percio´spesso mi perdo nel capire il vs opulento vocabolario che a mio avviso dovrebbe essere piu´semplice se si vuole veramente allargare il pubblico dei lettori e perche´no anche quello di coloro che potrebbere fare qualcosa contro l´andazzo corrente
    Una domanda : esiste una giustificazione razionale alla truffa del sistema di riserva frazionaria delle banche? se si, puo´spiegarmela (se non lei quacuno di buona volonta´che seque il blog) in termini semplici? se non ci si riesce perche´appare illogica, allora perche´non fare qualcosa di piu´utile e discuterne su un blog come questo con semplicita´ed efficacia ( soprattutto considerando dove stiamo andando a sbattere!!! ed avendo il coraggio di sfidare i potenti…) piuttosto che dilettarsi nel parlarsi addosso accademicamente con un linguaggio incomprensibile ai piu´dal momento che si fanno continuamente riferimenti a saggi ed autori che la stragrande maggioranza del pubblico non ha potuto ancora leggere ?

  3. Pietro M.

    Un altro austriaco ingegnere. Sono tutti ingegneri: io elettronico, Max informatico, Garrison elettrotecnico… 🙂

    La teoria austriaca è terribilmente complessa e Mises non fa nulla per renderla semplice. Però non c’è granché da fare per renderla più semplice: non è che la meccanica quantistica può essere trasformata in qualcosa di nazionalpopolare alla Piero Angela, e lo stesso vale per gli austriaci. Il linguaggio incomprensibile dell’economia è legato al fatto che i problemi economici sono complessi: se fossero semplici si potrebbe parlarne in termini semplici.

    “esiste una giustificazione razionale alla truffa del sistema di riserva frazionaria delle banche?”

    La truffa è “definita come attività ingannatoria capace di indurre la parte offesa in errore attraverso artifici e raggiri”, e quindi formalmente non esiste nessuna truffa nella riserva frazionaria: tutti sanno come funziona, nessuno è indotto a pensare che i depositi non vengano prestati.

    Il problema sul piano giuridico è piuttosto complesso (i primi due capitoli di Money Bank Credit and Economic Cycles di de Soto ne parlano estesamente), però di certo non si può parlare di truffa.

    Non c’è neanche alcunché di illogico: la riserva frazionale è un caso limite di trasformazione di scadenza (maturity mismatch), una procedura del tutto naturale in ambito finanziario.

    La trasformazione di scadenze si ha quando si ha un debito nel breve termine per finanziare un credito di lungo termine, ad esempio se si paga con un prestito annuale un investimento decennale. Ogni anno scade la passività e occorre trovare nuovi finanziatori, alla scadenza del decimo anno la procedura di roll-over del debito finisce.

    Quello che il maturity mismatch delle banche ha di particolare è soltanto che la scadenza è t=0: i depositi bancari sono redimibili a vista. In sostanza, le banche devono potenzialmente essere in grado in ogni istante di trovare moneta se richiesta dai loro depositanti. Se per caso qualcuno ha dei dubbi, la banca fallisce immediatamente. Il tutto è completamente legale e le regole del gioco le conoscono tutti, visto che non conosco nessuno che pensi che la moneta depositata rimanga nei forzieri della banca.

    Il problema è che questa procedura genera instabilità economica, visto che è possibile espandere il credito (cioè concedere prestiti) semplicemente inventando risparmi che in realtà non esistono.

    Detto questo, non tutto ciò che non funziona al mondo è una truffa, e la riserva frazionale infatti non lo è. Probabilmente non sarebbe neanche un problema reale, se solo le banche venissero lasciate fallire: semplicemente sfrutterebbero il maturity mismatch meno di come fanno oggi, sapendo che rischiano di fallire non appena eccedono nei prestiti.

  4. Antonio M

    Grazie Pietro per la spiegazione, cmq cerco di andare un po´piu´in la nel ragionamento dal momento che tempo fa lessi con grande interesse il libro di De Soto ! ( libro meraviglioso !)
    Infatti la mia definizione di truffa nasce proprio dalla consapevolezza di definire tale la creazione di credito ( alla fine sara´investmento ) da parte delle banche commerciali senza avere raccolto un corrispondente deposito ( risparmio ), cos´e´cio´se non appropriazione indebita o essere falsari ? ( Mi rifaccio alla visione austriaca della “sacralita´” della difesa della proprieta´privata, forse potrebbe bastare rifarsi a questo…)
    Dico cio´aggiungendo che Mises e co. hanno dimostrato come non ci sia nessuna necessita´economica nel permettere alle banche di usare la riserva frazionaria dal momento che la quantita´di moneta viene stabilita con la massima precisione dalle forze del libero mercato in un mercato dove e´realmente protetta la proprieta´privata ( insomma in un vero libero mercato )
    Senza poi considerare le implicazioni relative ai cicli economici e alla ingiusta tassa dell´inflazione…( cosa dovrebbe dire un cittadino stipendiato quando ogni euro del suo salario perde potere di acquisto ogni qual volta un nuovo euro viene creato dal sistema di riserva frazionaria ? cosa farebbe tale cittadino se avesse tale comprensione ? E´cosi difficile spiegare cio´? )
    Certo Pietro,si comprende perfettamente come tale teoria sia molto complessa, ma anche leggendo Hoppe ed osservando le politiche economiche dei governi mi rendo conto che la crisi di oggi tocchera´sempre di piu´ la vita di ognuno di noi, ecco perche´sono sempre piu´convinto della quasi-necessita´di rendere piu´semplice la scuola Austriaca, ci sto pensando su da diverso tempo, chisa´che un giorno non mi impegni direttamente in tale impresa !

  5. azimut72

    Se fossi stato un banchiere “razionale”, guardando il mio bilancio avrei dovuto “chicaghianamente” restringere il credito almeno da dieci anni e non avrei dovuto dare nessun bonus ai miei colleghi evitando il trading come la peste e limitando al minimo i contratti “over the counter”….praticamente mi sarei ridotto al credito cooperativo della provincia di cuneo…
    Così non è stato per due possibili opzioni:
    1) ero “razionalmente” sicuro che Greenspan avrebbe tenuto bassi i tassi di credito per almeno due decenni e che potevo essere “moralmente azzardato” perchè tanto lo Stato mi avrebbe salvato comunque dato che il SISTEMA contava più di tutto
    2) ero completamente irrazionale nel mio comportamenteo e mi è andata bene per 20 anni.

    E’ ovvio che l’opzione nr. 2 sarebbe una disfatta per la scuola di Chicago perchè dimostrerebbe che non è importante essere razionali per essere dei vincitori nel mercato ma basta essere spregiudicati al momento giusto (ipotesi non totalmente da scartare…specie per chi come me vive in una multinazionale e sa che tutti possono diventare dirigenti e amministratori delegati..con tanto di master, ovviamente)

    L’opzione nr. 1 è più complicata da analizzare perchè se da una parte implica che il mercato non ha rispettato le regole teoriche che avrebbe dovuto rispettare, dall’altra implica che il mercato non sta in piedi da sè se non c’è una regolamentazione…

    Giannino,
    mi permetta, io credo che almeno ci serva una Scuola di Chicago nr. 2….
    azimut72

  6. Pietro M.

    L’opzione #1 non dimostra che una regolamentazione è necessaria né che ci sia un fallimento di mercato vero e proprio (a meno di non considerare fallimento di mercato l’opportunità che lo Stato offre di vivere a spese altrui tramite gli effetti redistributivi delle politiche economiche).

    Invece che linkare il mio celebre paper (??? 😀 ???), che ovviamente merita di vincere il Premio Pico de Paperis di Paperopoli, sulle regolamentazioni in presenza di moral hazard, mi limito a dire due cose.

    1. Se l’intervento statale anticiclico crea moral hazard OVVIAMENTE gli agenti economici ne terranno conto. Come potrebbero rifutare un’offerta “Se vinci guadagni tu, se perdi pagano tutti”? Libertà e libero mercato significano anche responsabilità. Gli effetti del moral hazard sul mercato non sono difficili da prevedere, e sono identici a quelli che si sono effettivamente osservati.

    2. Se con una mano il moral hazard monetario crea instabilità e con l’altra cerca di rimediare al casino mediante regolamentazioni, quello che fa è incentivare la corruzione e la violazione delle regole. Se esiste un’opportunità id profitto ad avere un leverage di 30 a 1, e la legge vincola il leverage a 10 a 1, allora si potrà: 2a) investire soldi per avere una legge contorta che permette di nascondere il leverage; 2b) calcolare il leverage usando dati di Borsa per gli asset che però fanno sottovalutare la leva effettiva; 2c) corrompere l’ufficiale con parte dei profitti che guadagnerei con un leverage di 30 a 1; 2d) creare un’innovazione finanziaria che funge come il leverage ma non è considerato leverage, una sorta di off-balance sheet vehicle. Oviamente nel mondo reale tutte e 4 le cose verranno portate avanti. Peccato che basterebbe eliminare il moral hazard per risolvere tutto con meno casini. 🙂

  7. duilio pogliaghi

    giusto per abbassare di brutto il livello della discussione intervengo per invitare a riflettere su come la crisi esplosa nel 2008 e in cova dal 2007 sia stata, nella sostanza, una crisi soprattutto da capacità di valutazione delle controparti e delle garanzie.

    il male non è tanto stato il leverage sparatissimo quanto il credito (fatto a persone fisiche) spesso sulla base di autocertificazione di capacità di redditto o sulla presunzione di redditi futuri o ancora di rivalutazione degli assett dati in garanzia che viaggiasse costantemente in corsia di sorpasso rispetto al valore del debito.

    mi pare che si tratta di fondamentali di credit policy dei quali, per un certo periodo, presi dalla smania di impiegare, condizionata dalla politica economica fed,non siano stati tenuti in conto.

    ?

  8. Biagio Muscatello

    Non ho anc ora visto il saggio di Ahdieh e dò per scontato che l’amico Oscar sintetizzi con precisione le tesi dell’autore. Concordo con la dichiarata necessità, condivisa anche da Pietro, di un ripensamento-ritorno all’analisi di Hayek. Mi preme dire subito però che non mi sempra appropriato appiattire Hayek sulle posizioni di Chicago (e non solo per ragioni di natura filosofica, come la querelle positivismo/antipositivismo)…
    Sul saggio in questione, naturalmente, al momento non posso aggiungere altro.

  9. Leggendo quanto scrive Azimut72 mi viene sempre da pensare cosa succede ad un sistema economico, e come sono alterati i comportamenti degli attori, quando un prezzo, ed uno importante come il tasso d’interesse a breve, viene fissato da un burocrate più o meno al soldo di un governo e non dal mercato stesso. Certo che gli attori sono razionali, lo erano prima e lo saranno dopo. Il problema è che se il tasso è sbagliato all’inizio l’equilibrio che ne consegue sarà particolare e altererà l’allocazione delle risorse favorendo alcuni e sfavorendo altri. Poveri austriaci, come devono sentirsi profeti inascoltati al giorno d’oggi…

  10. Pietro Monsurrò

    @duilio pogliaghi
    Leverage, valutazioni, maturity mismatch, complessità, opacità hanno una cosa in comune: il rischio. Quindi c’è il problema teorico di determinare come le forme di rischio siano influenzate dalla politica della Fed e quanto questi problemi al contrario siano endogeni.

    In altre parole: il rischio si accumula per spontanea dinamica dei mercati, o perché la Fed incentiva l’assunzione del rischio mascherando i suoi costi agli imprenditori?

    Tutti i fattori di rischio tendono ad interagire fra loro, e probabilmente non ce n’è uno che preso da solo sia esplicativamente sufficiente.

  11. Marco Barchiesi

    Antonio M nn ti conosco ma ti stimo, il tuo intervento è sufficentemente chiaro, lascia perdere chi si fossilizza su una parola, a me piace il succo del discorso senza tergiversare troppo facendo sfoggio dello spesso(per nn dire quasi sempre) superfluo linguaggio accademico.A me sembra ovvio che bisogna oblligare tutte le banche del mondo ad avere un rischio in tal senso minore una riserva degna di tale nome, onde evitare catastrofi. Qui Antonio banca d italia e colleghi del globo hanno (volutamente queto è chiaro,visto che nn son stupidi)perso sia la logica aristotelica che quella matematica, ma ovviamente di riflesso e prima di loro chi sparpaglia debito sovrano,i politici lo stanno dando via come cianfrusaglie al rigattiere, grazie a ciò in realtà ci aspettano solo manovre lacrime e sangue oppure un bel default, visto che danno via i titoli di stato (in quantità folli) con rendimenti di4 -5-6%.visto che il nostro pil nn si schioda dallo zero e dintorni cari signori inizia il Countdown ,ammeno che……. ………
    ……(continuate voi se vi và)

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