17
Feb
2010

Le (solite) “soluzioni” del vecchio mondo. Di Luca Fusari

Riceviamo da Luca Fusari e volentieri pubblichiamo.

Oscar Giannino in conclusione di un recente articolo (Euro-dracma e mondo nuovo) su questo sito, sembra prefigurare-“invocare” l’intervento di Berlino per l’erogazione di denaro in favore della Grecia.
Non solo si prefigura come sottotraccia dell’articolo la proposta tremontiana di creazione di eurobonds comunitari e di un piano di salvataggio europeo per il bene della sostenibilità dell’unione monetaria, (e in seconda battuta per punire lo storico “patto della crostata” franco-tedesco).
Onestamente a mio parere la prima parte della questione non solo è in apparente contraddizione con la seconda (se si vuole meno Francia e Germania a capo della UE si dovrebbe per una volta tanto ascoltare la malaticcia Berlino ed evitare di trascinarli in una impresa contro la loro volontà, la quale rischierebbe di creare più danni che risolutive vie di uscita dalla crisi ellenica e dall’attuale situazione economica tedesca).

Se il piano diventa obamiano…
Il voler salvare la Grecia con un piano tremontiano di creazione di un fondo perduto comunitario per l’indebitamento selvaggio (perché di questo in fondo si tratta), mi pare una follia che nel giro di pochi decenni accelererebbe solamente il sicuro effetto domino futuro a livello comunitario e porterebbe anche in Europa l’attuale situazione di bilancio americana.
Tra l’altro devo far notare come voler leggere la situazione europea (e greca in particolare) con il metro di giudizio keynesiano-krugmaniano e monetarista (friedmaniano) sia un errore fondamentale oltreché contraddittorio in particolare a crisi economica statunitense ancora in corso (letta e interpretata con tali parametri addirittura dallo stesso contestatissimo Bernanke).
E’ ovvio che per i monetaristi (ad esempio Antonio Martino, citato nell’articolo di Oscar) vedrebbero favorevolmente un aumento di liquidità nel breve periodo erogato dalla BCE e dagli altri paesi europei alla Grecia, ciò costituirebbe di fatto la via maestra di Milton e Schwartz per fronteggiare il rischio di una “Grande Depressione Europea”, ovviamente i monetaristi si preoccupano solo della liquidità (in questo caso non di imprese ma addirittura di uno Stato…!) proponendo addirittura (contro ogni buona logica) la realizzazione-passaggio verso una piena e affermata politica centrale economica europea (camuffata da intervento economico straordinario), che di fatto costituirebbe la premessa per una situazione analoga a quella dei subprime americani se non direttamente a quella attuale obamiana nel giro di pochi anni.
Trasformando un intervento eccezionale friedmaniano in pura normale routine keynesiana di spesa pubblica ed incremento del debito pubblico nazionale e comunitario per opera dei politicanti burocrati nazionali o di Bruxelles entro l’ipotetica realizzazione di un consenso plebiscitario comunitario verso una futuribile “democrazia europea”.
Quindi a mio parere se non si può che criticare giustamente le mosse di Obama e della Fed di questi decenni, non si può poi puntare i piedi contro Berlino all’interno del contesto europeo per ipotetici analoghi interventi.

Il ruolo franco-tedesco
Ovviamente difendere la posizione di Berlino sul caso prestito alla Grecia non vuol dire automaticamente e necessariamente difendere le politiche economiche promosse in Germania in questi anni.
Nel caso francese poi risulta evidente che i francesi cercano di creare con il loro interessamento al caso greco, un ruolo di attivismo meramente politico all’interno della tanto (più volte invocata da Sarkozy) “politica comunitaria mediterranea”.
In questo caso l’interesse è tutto francese (e poco tedesco, nonostante la storia dica il contrario), in quanto la Francia vuole creare all’interno della zona Euro e Ue, una propria area di influenza, forse addirittura creditizia sfruttando i conti disastrati dei paesi indebitati.
Si potrebbe quasi definire una forma di riemergente “spirito di grandeur francese”, con tanto di protettorati e interessi continentali simili a quelli coloniali ancora presenti in alcuni paesi africani francofoni (come segnalato più volte da Carlo Lottieri).
I tedeschi in questo caso sembrerebbero i più assennati, dato che giudicano responsabilmente l’idea di un rigore e parsimonia nelle spese per lo meno esterne alla loro nazione, visti i loro conti.
Si direbbe quasi un gioco delle parti tra Francia e Germania, come quella del “poliziotto buono e quello cattivo”, sebbene sia tutta da verificare fino a prova contraria la fermezza di volontà tedesca e francese sulla faccenda greca (ma non solo).
Ovviamente i tedeschi e l’indebitamento interno alla Germania è preoccupante alla pari di altre nazioni (UK e Francia), ma francamente non mi sembra necessario dover condannare una opzione di non salvataggio (paragonabile a quelle bancarie e assicurative americane) da parte di questi, verso un paese seppur interno alla Ue e all’euro-gruppo.
Ciò equivarrebbe avvallare ufficialmente una formula di “too big to fail” degli Stati.

Sulle instabili regole di stabilità
Non so se la doppia circolazione possa valere o essere utile nel caso greco, né se l’euro col caso greco si svaluterebbe più di tanto anche nei confronti del dollaro; sicuramente se i Paesi dell’area euro continuano con tali dispendiose politiche, il fallimento dell’Euro è certo e vicino, e quindi sarà inevitabile una qualche forma di circolazione monetaria alternativa almeno a livello locale (difficilmente però potrebbe dare benefici il ritorno ad una moneta nazionale da parte di un Paese con i conti pubblici fuori controllo).
Temo piuttosto che la deresponsabilizzazione del patto di stabilità, tanto invocato nel caso greco quale facile soluzione per uscire dall’impasse sia cosa più grave del mero mancato (o realizzato) salvataggio greco.
Che TPS o altri economisti “tassa e spendi”, notoriamente statalisti (e keynesiani Krugman a parte!) siano in questo caso sulla linea formalmente teoricamente “rigorista” (e quindi in questo caso di scuola austriaca-liberista,  antisalvataggio) almeno per quanto riguarda il caso greco, rischia di essere più un effetto involontario del loro fiducioso “rigorismo deontologico da tecnocrati” che un voluto e preciso calcolo economico o addirittura politico (resto comunque curioso di conoscere se lor signori sono altrettanto rigorosi per Spagna e Portogallo in particolare, visti anche i colori dei governi e le alte amicizie in sede di Commissione Europea).
Da quanto scritto nell’articolo menzionato di Giannino, mi sembra che Martino e l’autore puntino a parlar di Grecia per riferirsi piuttosto al caso italiano (in particolare in prospettiva futura).
Ovviamente come scrive Oscar nell’articolo c’è meno debito delle famiglie e nel sistema privato e industriale italiano rispetto a quello dei paesi “PIGS”, ma alla lunga si rischia simili situazione in particolare in mancanza di riforme strutturali e di una minor presenza dello Stato nella vita del Paese.
Il caso di bailout di un paese europeo allora da mero dato fenomenico rischia di diventare dato strutturale ed endemico (se non pandemico con un possibile effetto domino) se si cercherà di giungere all’ennesimo tentativo di compromesso al ribasso tra i fautori della linea rigorista e quelli della linea assistenzialista.
Un compromesso che ovviamente risulterebbe quasi presumibilmente a favore dei secondi, con una eccezione al patto di stabilità (o una delega agli Stati e agli altri organi più politici dell’Unione europea di tali questione) per il rientro a seguito del prestito in “tot anni”.
Praticamente la medesima procedura tanto invocata a livello ordinario per quanto riguarda il rapporto deficit/pil già fallita in partenza con l’avvento di tale crisi.
Quindi qualora si consideri la scappatoia degli aiuti comunitari o dei sussidi europei per risolvere (o meglio tamponare) i deficit interni dei singoli paesi, ci si deve ricordare come tale pratica non solo sia ad alto tasso di fallimento ma anche di deresponsabilizzazione.
Temo che l’incremento dell’ossigeno al malato greco (ma vale anche per quello spagnolo, portoghese, irlandese) possa risultare più fatale che una seria decisione di rigore nel medio-lungo periodo.
La dipendenza da aiuti nei confronti dei paesi europei più virtuosi o già attualmente indebitati sebbene non ancora nel mirino (come è il caso italiano ma anche tedesco) provocherà un aumento dei debiti pubblici e una minor trasparenza dei conti pubblici nazionali anche da parte dei Paesi “donatori”  i quali hanno già intrapreso all’interno della crisi economica globale delle decisioni alquanto discutibili di aumento del deficit nazionale con estensione della spesa pubblica.
Voler puntare oggi a salvataggi comunitari, non farebbe altro che aumentare il debito pubblico spalmandolo (in alternativo un ipotetico debito pubblico comunitario europeo, ipotesi comunque pericolosa non priva di rischi) sui vari paesi attualmente non a rischio immediato, con una possibile penalizzazione del rating dei titoli nazionali anche di questi.
Nel caso italiano pensare di promuovere l’intervento greco su base comunitario non solo sarebbe una miopia, ma una giustificazione di fatto dell’andamento disastroso dei nostri conti pubblici e dello Status quo attuale.
Un assegno in bianco (è il caso di dirlo) alla nostra classe politica già poco propensa a fare riforme.
Il fallimento della Grecia può essere un importante segnale se si seguirà (ora e in futuro) anche per gli altri paesi insolventi le medesime rigorose linee guida adottate per la Grecia.
Questo potrebbe favorire una diminuzione del peso dello Stato, il taglio della spesa pubblica interna, maggior trasparenza dei conti.
Ovviamente il rischio maggiore è quello di un abbandono della Grecia a sè stessa, per favorire economie più dinamiche e importanti come quella spagnola o portoghese (non fosse altro per interesse della stessa Commissione europea) e anche irlandese (come contentino all’approvazione del trattato di Lisbona).
In questo caso la Grecia diverrebbe un monito soprattutto per l’Italia (Paese non certo “locomotiva europea”) venendosi a realizzare i timori espressi da Martino e Giannino: l’Ue diverrebbe un sistema a doppia velocità con una selezione dei propri soci tra paesi virtuosi e non (ma utili alla tenuta e credibilità di facciata dell’intera Unione) e un terzomondo europeo (dove oltre la Grecia quasi sicuramente anche l’Italia potrebbe in futuro facilmente fare capolino).
Ma Francia e Germania sarebbero realmente le due teste pensanti della “nuova Europa”?.
Non è detto, in particolare se il debito e le politiche di spesa pubblica in quei paesi non verranno arrestate prima di un irrimediabile incremento del deficit e del rapporto deficit/pil fuori controllo (proprio come nel caso dei PIGS).
Purtroppo la visione obamiana della crisi economica, le istanze socialiste di spesa facile promosse dalla Fed americana di Bernanke sono sempre mainstream anche nel Vecchio continente e ovviamente il rischio futuro è quello di un bue franco-tedesco che da oggi del cornuto all’asino greco per poi in seguito fare analoga sorte.
Questa crisi allora risulta essere un “gioco a somma zero”, dove nessuno vince proprio perchè nessun paese è stato virtuoso e poco interventista.

Sulla moneta
Sul dato monetario, l’Euro è nato ufficialmente più che come una utopica sfida per la virtuosità dei conti pubblici dei Paesi membri (entro un patto di stabilità con soglia del 3% quale nuovo standard “regolista” a cui attenersi scrupolosamente), quale certezza data per scontata alla quale gli Stati avrebbero tenuto conto.
I risultati di questa tecno-finanza la si leggono oggi.
In realtà ufficiosamente l’Euro è stata una operazione monetaria che di fatto ha permesso un camuffamento e una prima dose di ossigeno ai conti pubblici degli Stati e al loro vero indice di indebitamento.
In questo lo Stato italiano così come altri paesi (tra cui la Grecia) ha tratto parziale giovamento a livello di bilanci pubblici (seppur pagato a livello quotidiano da parte dei cittadini) senza però fare nulla in seguito, in termini di riforme, per ridurre le perdite, e mantenere il saldo virtualmente in apparenza attivo per quanto riguarda la tenuta dei conti pubblici tra prima e dopo l’ingresso.
Senza riforme, governicchiando in modo bipartisan come si è fatto per un decennio sino ad oggi, anche il parziale giovamento della moneta unica, è stato a livello governativo sprecato.
I (nuovi) nodi al pettine si cominciano a vedere oggi anche da noi. Vale allora la pena domandarsi a livello di sistema monetario comune europeo, se con tali crisi greca, spagnola, irlandese, portoghese abbia ancora un senso credere nella stabilità garantita dall’Euro, dalla BCE e dai regolamenti comunitari.
Se la stessa UE con i suoi organi competenti non è garante neppure dei suoi stessi regolamenti e della sua stessa stabilità significa di fatto sancire già oggi teoricamente la fine della stessa UE.
Un progetto monetario, prima ancora che politico che di fatto è stato spazzato via dalla fallibilità dei Governi e dei suoi governanti centrali e locali, dalla sua incapacità di far fronte alle proprie regole e patti statutari.
Poco importa allora dei trattati comunitari e delle nuove adesioni future, se oggi attualmente l’area euro (ovvero l’area che teoricamente avrebbe dovuto soppiantare il dollaro e le monete nazionali) si rivela maggiormente a rischio di insolvenza rispetto a quelle degli stessi stati nazionali (e dei paesi Ue non Eurozona).
Anzi, doppiamente a rischio, in quanto il rischio non è più solamente una questione locale, ma assume il ruolo di “stato dell’Unione”, quale segnale di una vera e propria epidemia monetaria interna.
Una epidemia che è figlia dell’imperfetta struttura fondativa comunitaria: gli Stati nazionali.
Gli Stati nazionali e le politiche nazionali non si sono rivelati né più virtuosi con l’ingresso nell’Euro-zona, né maggior responsabili e indipendenti rispetto agli stessi organi centrali della stessa comunità europea.
Anziché dimostrare una maggior attenzione e controllo parsimonioso dei bilanci, questi hanno continuato (se non incrementato in quest’ultima crisi economica globale) la loro tradizionale dissoluta opera di indebitamento e distruzione della moneta (comune).
Il piano tecnocratico monetario della UE e dei suoi fautori, ora si rivela di fatto una pia illusione; dato che non hanno considerato la imperfetta natura degli Stati e dei politici (vedi Papandreu e politici nostrani) forse per un eccesso di fiducia o per un senso di appartenenza di casta.
I controllori non hanno svolto il loro lavoro sui controllati, e ovviamente i controllori sono oggi chiamati ad interpretare il ruolo dei salvatori!.
Voler però puntare come proposto con varie sfumature da Martino, Giannino e Seminerio su un piano (politico-tecnocratico) di salvataggio finanziario per porre rimedio al disastrato funzionamento del sistema comunitario (e ai rischi connessi sul piano monetario), rischia di essere una cura peggiore della malattia.
Il problema rimane politico, è poco utile criticare le mosse nazionaliste franco-tedesche (ufficiosamente lette in chiave europea), per poi puntare speranzosamente sui medesimi protagonisti (franco-tedeschi) ammantati ufficialmente con la bandiera blu con le stelle gialle.
Tanto più se a seguito della cura greca, i paesi della zona euro e le istituzioni comunitarie continueranno di comune accordo a spendere denaro nell’intento keynesiano sia di far ripartire i consumi e le singole economie nazionali (e quindi la zona continentale) che ottenere annualmente un utopico pareggio o surplus di bilancio tra risultati in entrata e in uscita (la prima minori rispetto alla seconda), mantenendo tra l’altro alte le tasse e le spese inutili interne.
Semmai bisognerebbe iniziare a considerare lucidamente il fallimento dell’intero sistema-progetto monetario-politico comune dell’Unione Europea, cercando di impedire ulteriori fallimentari e pericolose fughe in avanti politiche ulteriormente eurostataliste ed euro-centraliste che nulla servirebbero in tale crisi di sistema, in particolare sul piano economico.
Se la Ue fallisce nella sua premessa economica-monetaria, è inutile rifugiarsi nella politicizzazione futura dell’Unione (con modus operandi obamiano) come macro Stato.
Se l’Euro si svaluta sul mercato dei cambi, questo non è certo per una mancato ruolo politico dell’Europa a livello economico e monetario!.
E’ semmai il contrario, l’Euro è la moneta (dopo il dollaro) più politicizzata, anche per opera della sua stessa banca centrale europea e il suo sistema di tassi d’interesse bassi (sebbene leggermente più alti rispetto alla sua controparte d’oltreoceano).
Se l’Euro perde peso sui listini dei cambi rispetto al biglietto verde, nonostante la svalutazione del dollaro operato da anni dalla Fed e la presenza di un deficit federale americano fuori controllo (dato che dovrebbe far riflettere tutti coloro che propongono la creazione di eurobond o un sistema di unico debito comunitario come “nuova via sicura responsabile ai bilanci”) con bilanci statali di California, Michigan, Ohio e mezza America in profondo rosso al suo interno; questo dipende solo dalla intrinseca debolezza e fragilità dell’euro sui mercati rispetto al dollaro e dell’economia europea di fronte agli Usa.
Il dollaro resta, nonostante la sua svalutazione, la moneta di riferimento per le materie prime e per i maggiori scambi commerciali a livello globale.
Evidentemente se fino a qualche mese fa si scommetteva più facilmente su un rischio bailout statunitense (rischio non escluso nel prossimo futuro), ora si punta ad un rischio maggiore di bailout a catena sul suolo europeo in tempi stretti.
I rischi e i danni commessi e connessi al bilancio statunitense da Bernanke e da Obama, sono attualmente meno sotto i riflettori non perché meno gravi, quanto piuttosto apparentemente più stabili a fronte della fragilità evidente e connaturata sul mero piano delle valutazioni, della tempistica e della storia monetaria del caso europeo.
Quindi il ruolo della Banca Centrale americana non è certo più virtuosa di quella della BCE (anzi…), non è certo allora con la creazione di una pianificazione centrale da parte della BCE di tipo “hamiltoniano” o la realizzazione di una politica storicamente “federalista statunitense” del medesimo tipo a favorire la credibilità della nostra valuta.
Tanto più con una presenza della BCE già attualmente ingombrante, nel suo ruolo sull’Euro.
Bisognerebbe allora evitare nuovi involontari assist verso il declino e una peggior situazioni con nuove derive/speculazioni monetariste “eccezionali” che keynesiane “ordinarie” (foriere solo di ulteriori danni e peggioramenti a livello di bilanci e deficit da parte degli Stati) per uscire dalla crisi europea.
Se l’espansione creditizia e della spesa pubblica ha provocato l’attuale situazione locale, un suo incremento finanziato a livello di politiche comunitarie (operato a beneficio degli stessi responsabili della crisi anche a livello locale) non risolverà certamente i problemi dell’Europa e dei PIGS.

Possibili ricette per uscirne con il minor danno possibile:
Ecco infine in sintesi le possibili ricette per uscirne con il minor danno possibile da questa brutta e complicata situazione.
Tutti gli Stati europei dovrebbero:

  • iniziare a considerare un loro ridimensionamento interno di ruolo, competenze e funzioni anziché una loro espansione o un facile quanto miope affidamento alla misericordiosa Bruxelles;
  • diminuire la pressione fiscale anziché aumentarla (per rientrare dai debiti e negli standard di stabilità come invece purtroppo pare essere intenzionata a fare la Grecia) per poter attrarre investimenti e capitali stranieri;
  • fare riforme strutturali interne (riforme delle pensioni, tagli alla Pubblica Amministrazione, realizzazione di no-tax aree, privatizzazioni e liberalizzazioni autentiche non soltanto a livello nominale…) e meno promesse retoriche a livello comunitario e ai loro elettori;

La BCE a sua volta dovrebbe:

  • aumentare i tassi d’interesse e diminuire (a maggior ragione) l’erogazione monetaria sul mercato e verso gli Stati indebitati;
  • evitare possibili nuove competenze economiche e politiche;
  • evitare la realizzazione di qualsiasi ipotesi di fondo comune e bond europei;

La Commissione europea dovrebbe:

  • limitarsi a far rispettare le regole comunitarie vigenti, evitando nuove farraginose regole e qualsiasi mossa politica di interventismo all’interno dei debiti pubblici nazionali o a difesa di interessi particolari stranieri.
  • evitare fughe in avanti, verso un maggior centralismo europeo decisionale (che comunque poco risolve i problemi di opacità di regole e di rispetto di queste da parte degli Stati membri nazionali) sfruttando la debolezza degli Stati nazionali;

Difficilmente all’interno di una crisi economica globale ancora in corso, causata in origine dai governi e dal loro facile interventismo politico a livello economico e monetario tutt’ora vigenti con analoghe disastrose conseguenze, si potranno vedere applicate tali soluzioni austriache alla crisi economica dell’area UE-Euro.
La politica nazionale degli Stati non differisce da quella altrettanto politicizzata della Commissione europea di questi anni, credere il contrario vuol dire solo creare un ulteriore bolla-scappatoia per nuove peggiori crisi comunitarie in futuro.
L’Ue di oggi tanto invocata a livello salvifico per il caso greco è uguale alla giustamente disprezzata UE di ieri, è quindi lecito pensare come una soluzione alle sue incoerenze e problemi interni strutturali, non possa giungere dal suo interno e dall’attuale classe politica nazionale e della Commissione europea (in particolare se teniamo conto del caso portoghese e le inevitabili conseguenze politiche elettorali, come nel caso spagnolo).
Lo scenario sull’orizzonte comunitario appare quindi a tinte fosche e preoccupante, una resa dei conti è inevitabile a livello di Stati insolventi-debitori nazionali senza l’intervento della UE, se invece Bruxelles deciderà di allargare di tasca propria il cordone della borsa (e conseguentemente quasi certamente, il debito pubblico greco) c’è la sicurezza che anche altri Paesi oggi apparentemente “creditori e virtuosi” potranno subire delle dure conseguenze economiche di bilancio, e non soltanto nel lungo periodo.

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7 Responses

  1. Comunque una cosa non è chiara… dopo che la Grecia fallisce, dopo che le banche europee che hanno titoli del debito pubblico greco falliscono, dopo che i risparmiatori che hanno i soldi in quelle banche hanno perso tutto, dopo che nessuno vuole più le obbligazioni irlandesi, portoghesi, spagnole, e italiane per paura che succeda lo stesso con questi paesi, dopo che i tassi di interesse sul debito pubblico sono schizzati verso l’alto e l’Italia si trova a dover pagare non 80 miliardi di euro l’anno di interessi sul debito pubblico, ma 300 o 400 miliardi (pari a circa il 25% del PIL)… come propone Luca Fusari di abbassare le tasse? O propone forse il fallimento anche dell’Italia? (che vuol dire bruciare quasi 2.000 miliardi di euro nelle mani di banche, risparmiatori ecc.) E questo per cosa? Per un irrigidimento principio della responsabilità?
    Ha ragione Seminerio quando dice che chi afferma che “nessuno è too big to fail” non sa di cosa parla.

  2. Ciao Gionata, parto dalla fine del tuo post (ma proprio perchè ci sono quelli che affermano che tutto è “too big to fail” si rischia il fallimento, dato che per salvare le cose c’è bisogno di denaro, e questo o lo si stampa o lo si ottiene con aumenti vertiginosi di tasse).
    Seminerio è un monetarista e ovviamente ritiene necessaria una buona dose di denaro in circolo per evitare la Grande Depressione, ma questo alla lunga provoca svalutazione della moneta (in questo caso l’Euro non è messo granchè bene già ora!) e conseguente inflazione.
    Non so se hai scritto correttamente ma proprio il “nessuno” giustifica il fatto che se uno Stato amministrato dalla politica fallisce, non solo anche in questa situazione il mercato è esente da colpe, ma non può trovare nessuna giustificante redenzione nell’invocazione al ruolo pubblico della politica (anche qua causa della crisi) sia essa a Bruxelles o nazionale.
    E’ vero lo Stato greco rischia il fallimento, ma non per questo bisogna correre in suo soccorso, dato che parliamo di titoli tossici basati sul debito pubblico.
    Chi propone l’intervento in favore della Grecia vuole pagare bidonate di titoli tossici e debiti intergenerazionali con del denaro fresco a fondo perduto (con peggioramento dei nostri conti e quindi del nostro debito pubblico o titoli di risparmio nazionali al portatore).
    Già questo ci suggerirebbe di evitare una simile avventura!.
    Per di più il fatto che la UE si basi sul debito ci obbliga di fatto a dover salvare tutto, il che è impossibile senza indebitare a loro volta i paesi creditori (ovvero l’altra metà della UE non PIGS).
    La Ue rischia di essere “un cane che si morde la coda” nell’intento di mettere un pò di soldi a disposizione dei politici di Atene o dell’area PIGS.
    L’Italia è già fallita di fatto da tempo, solo che nessuno ha il coraggio di dichiararlo ufficialmente; anche se i tempi stanno arrivando, in particolare visto il trend europeo….
    Ecco forse spiegata l’insostenibile leggerezza della nostra classe politica da anni affaccendata in altre poco gratificanti e interessanti faccende.
    Comunque mi stupisco che tu sostenga su Neolib la realizzazione di una associazione di contribuenti e poi ti dichiari favorevole all’aumento delle tasse non solo per salvare l’Italia da medesima sorte dei PIGS (nell’ipotesi dell’utopico pareggio di spesa pubblica), ma anche come soluzione per ripianare i disastrati conti esteri di altri Paesi.
    La necessità di aumentare le nostre tasse per il bene dei greci rischia solo di far fallire e far piangere il portafogli degli italiani senza neppure migliorare i conti interni nostri e della Grecia (e per conseguenza senza migliorare neppure il valore monetario dell’Euro).
    Ciao.

  3. Schwefelwolf

    E cosa dovrebbero dire i contribuenti tedeschi, che già si sobbarcano – con un prelievo fiscale da paura – il peso di un insostenibile sistema assistenziale, il macigno del salvataggio di diversi “mostri” finanziari interni (HRE etc) nonché la fetta principale del bilancio comunitario – e si ritrovano ora anche invischiati con una moneta che non hanno mai voluto (ricordiamo il caro vecchio “DM”…!), e seduti in una costossissima barca, che fa acqua da tutte le parti, insieme a gente non ha neache voglia di remare…

    Resta il fatto che sia probabilmente impossibile prevedere con sufficente affidabilità le conseguenze di un default della Grecia (ed eventuali effetti a cascata), quindi …?
    Probabilmente saranno – ancora una volta – i piú “virtuosi” (o: quelli capaci di lavorare) a dover pagare: con un’esperienza – peraltro – che le regioni del Nord-Italia stanno maturando, nel loro piccolo, da piú di sessant’anni. Che piacere, mantenere le inefficenze e le corruzioni altrui! Ci si sente proprio altruisti…

    Al di là del contingente, temo che l’analisi “strutturale” della CE esposta da Luca Fusari sia comunque, purtroppo, la chiave di volta del tutto: un'”unione” nata male e cresciuta peggio, con un’irresponsabile, costante “fuga in avanti” per non ammettere l’irrealizzabilità del “progetto” unitario. E cosí si è arrivati ad una “moneta unica” senza avere un sistema politico unitario, ma solo una specie di unione doganale “euro-coordinata” da un pachiderma burocratico…
    Si può solo sperare che prima o poi qualche governo serio si assuma la responsabilità di chiarire le cose – e di farla finita con questa farsa “europea”. Ma temo che questo chiarimento si farà attendere ancora a lungo…

  4. @ Schwefelwolf:
    Hai perfettamente ragione, con l’assistenzialismo non si risolve nulla sia esso su scala regionale, nazionale o in questo caso europea.
    La UE è una fittizia invenzione che sul piano burocratico ed economico cerca di illudere i cittadini su come sia bello e sostenibile vivere con una vagonata di debiti sul piano nazionale in costante crescita.
    La UE di fatto non solo costa vagonate di soldi, ma di fatto non ha impedito alcuna forma di limite alla spesa pubblica (nonostante il patto di stabilità sic!) nè da parte dei singoli Stati aderenti, nè sul piano di funzionamento dei suoi organi.
    Basti pensare ai costi per la stesura e approvazione di un Trattato di Lisbona, già obsoleto pochi mesi dopo il suo lungo iter…
    Comunque non è detto che sia necessario attendere a lungo per vedere una reazione contro la farsa.
    Basterebbe che i paesi UE non Euro decidessero di non riconoscere più l’autorità della Commissione Europea (al pari di quanto avviene già con la BCE) rifiutandosi di sostenere le spese e il bailout greco.
    Con tale crisi PIGS e con tali fallimentari propositi di coordinamento della crisi quale soluzione al problema, non è detto che non si giunga a tale interessante situazione già nei prossimi mesi.
    Ciao.

  5. Ciao Giovanni ti ringrazio per la fiducia nella valutazione dell’articolo (tral’altro mi accorgo rileggendolo che in alcuni punti lo potevo scrivere meglio), su Goldman ne ha parlato in seguito Oscar (anche se la notizia almeno per chi non è dentro tali questioni era poco nota, l’analogia con il caso americano, rendeva tutto molto intuibile in quanto riferimento dal “too big to fail” delle banche e delle assicurazioni a quello degli Stati).
    Sui CDS è ovvio che appaiono simili per meccanismo ai titoli subprime nella loro logica di proiezione anche se rischiano di venire edulcorati nelle loro coresponsabilità in quanto effetti in ragione alla loro valutazione di andamento e carattere macroeconomico particolare, in riferimento al singolo Stato (direbbero da Bruxelles).
    Invece bisognerebbe valutare sostanzialmente a priori la loro natura in quanto parliamo di derivati dei debiti sui debiti.
    Difficilmente un sistema basato su un meccanismo di valutazione economica dell’andamento del debito potrà essere incolpato seriamente (vista la logica dominante che circola tra banchieri centrali e Commissione europea sulla crisi per non parlare dell’interesse in ballo tra Paesi creditori e debitori.. ) tanto più che tale indicatore è utile per nascondere i problemi di bilancio degli Stati entro una logica di mutua deresponsabilizzazione, con per di più vari interessi collegati e interconnessi ai rendimenti d’investimento sugli altri Paesi del quartierino europeo” a cementificare il patto nel medio-lungo periodo almeno finchè per l’appunto non è scoppiata la bolla.
    C’è da sottolineare infine come i CDS di fatto siano strumenti tecno-finanziari che si basano su crediti nei confronti dei debiti pubblici nazionali, ergo è facile prevedere in tutto questo l’odor di truffa, dato che il debito è crescente e mai calante da parte degli Stati (i quali anche grazie ai CDS sono tentati alla finanza creativa) e davvero non si comprende dove sia la possibilità di guadagno e di ritorno lucrativo nell’investimento dato che gli Stati sono in continuo affanno creditizio tassa-stampa e spendi.
    Non vi è alcun rendimento effettivo di ricchezza e come forma di condivisione ecumenica degli interessi per la pace europea rischia di essere davvero oltrechè bizzarra pure pericolosa e non solamente sul piano monetario.
    Infine concludo con una riflessione.
    Il debito pubblico degli Stati nazionali è la vera causa di tutto ciò, i CDS sono l’emanazione “azionaria” simile ai bond argentini reso come sistema continentale di funzionamento a livello economico da regole, meccanismi proposti da banchieri centrali, governi e Goldman Sachs.
    Il meccanismo CDS appare allora intrisecamente simile non solo ai subprime americani, ma anche ai regolamenti comunitari europei.
    In particolare sono in rapporto stretto col cosidetto “patto di stabilità” (bisognerebbe chiamarlo piuttosto patto di indebitamento!) e al sistema Euro che ne consegue.
    Tutto si basa sul debito pubblico, appare allora evidente come mai le autorità monetarie e politiche di Bruxelles non abbiano vigilato adeguatamente divenendo di fatto responsabili (non soltanto a titolo di provvedimenti da prendere coi PIGS) della crisi stessa.
    D’altronde la UE è un grosso CDS!.
    Negarli equivale a smantellare l’intera architettura comunitaria affermando l’amara verità europea sulla UE e la sua coerenza.
    Ciao da LucaF.

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