22
Dic
2014

Le imposte di Amazon: quello che Report non dice

L’assassino torna sempre sul luogo del delitto. Nella nostra originalissima allegoria, l’assassino – absit iniuria verbis – è Milena Gabanelli, che, nell’ultima puntata della stagione di Report, si è soffermata nuovamente su alcune delle storie che già avevano catturato l’attenzione del suo gruppo di lavoro. Tra queste, la vicenda del carico fiscale delle multinazionali del digitale attive in Italia e, particolarmente, di Amazon.

Report è una trasmissione che ha un merito e un demerito. Il merito è quello di proporre un approccio alla notizia senz’altro parziale ma, tutto sommato, trasparente; un giornalismo a tesi e decisamente opinionated, ma a cui lo spettatore può fare la tara – diversamente da quanto accade con operazioni ugualmente faziose ma non altrettanto scoperte che vanno per la maggiore in questo paese. Il demerito è quello di sacrificare spesso a tale impostazione l’accuratezza della ricostruzione, la verifica delle fonti, il confronto tra le posizioni in campo. Non fa eccezione il servizio dedicato ad Amazon, il cui orientamento traspare sin dal titolo: “Il pacco”.

Se ce ne occupiamo in questa sede, tuttavia, non è per improvvisare una lezioncina di deontologia giornalistica, bensì per indicare e rettificare le numerose inesattezze che inficiano la credibilità complessiva di un racconto – “Amazon produce in Italia, ma paga le imposte in Lussemburgo” – sorretto, più che dai fatti, da una struttura narrativa elementare quanto fuorviante: un eroe solitario (Francesco Boccia nel ruolo di se stesso); una schiera di potentissimi nemici che operano nell’ombra (la temibile Camera di commercio italo-americana!); i buoni, che lentamente si approssimano alla verità (rappresentati da un ordinato finanziere che nulla dice – “l’indagine è ancora in corso” – ma sorride bonario alle provocazioni della giornalista).

Così si alimenta una realtà alternativa, in cui l’obbligo di partita Iva italiana è stato abrogato per l’influenza irresistibile dei poteri forti e non per la sua palese illegittimità; in cui, parlando delle disposizioni superstiti della web tax, discutibili stime di gettito vengono presentate come un dato consuntivo assodato; in cui si discute di ricavi come di imponibile sottratto al fisco, tacendo che il presupposto dell’imposta sul reddito d’impresa sono gli utili; in cui si trascura il fatto che all’amministrazione finanziaria non siano bastati due anni d’indagine per dimostrare la sussistenza di una stabile organizzazione in Italia della capofila lussemburghese; in cui, per venire alla più marchiana delle mistificazioni, si accredita la conclusione che, se i clienti sono italiani e gli ordini vengono evasi da lavoratori italiani, allora necessariamente la transazione dev’essere di competenza del fisco italiano.

La presenza di Amazon in Italia è significativa e strategica: gli uffici milanesi impiegano circa duecento dipendenti; il centro di distribuzione di Castel San Giovanni – recentemente ampliato – dà lavoro ad altri cinquecento addetti; e quasi duecento sono anche gli operatori del call center di Cagliari. L’azienda programma ulteriori investimenti e assunzioni per i prossimi anni. Le società che presiedono alle attività italiane sono controllate dalla holding lussemburghese e da questa remunerate per i servizi di supporto logistico che le prestano; i relativi profitti sono, come ovvio, soggetti a tassazione in Italia.

Ciò che Report non argomenta è come una simile organizzazione possa giustificare l’attrazione di tutte le vendite italiane all’operatività delle filiali qui stabilite. L’assunto alla base dell’intera inchiesta è un atto di fede, un truismo che né la solerte autrice del servizio, né la Gabanelli si degnano d’illustrarci. Le implicazioni di tale impostazione sono evidenti: non solo si tratta di negare alle imprese la libertà di strutturare le proprie operazioni nel modo più conveniente, laddove la valutazione di convenienza investe, ovviamente, anche i profili tributari; ma si finisce anche per fraintendere il fondamento della creazione di valore da parte di Amazon, che si rinviene nella pianificazione e nell’ottimizzazione dei processi logistici più che nella loro esecuzione periferica. Per questo non vi è alcuna contraddizione nel ritenere che le transazioni con la clientela avvengano in capo alla capofila Amazon EU, anche se i prodotti si trovano fisicamente nei singoli paesi.

Il tutto senza considerare che, paradossalmente, in questa fase dello sviluppo dell’azienda, sono proprio le sussidiarie locali le sole entità profittevoli: sicché non è chiaro quale sia il presunto danno per l’erario, né in che direzione debba andare l’auspicato recupero d’imponibile.

La presenza di Amazon nel nostro paese dà lavoro a centinaia di persone e garantisce una vetrina internazionale a migliaia d’imprese. Una classe dirigente che avesse a cuore la crescita s’interrogherebbe su come indurre altre aziende paragonabili ad Amazon a investire in Italia; al contrario, il partito delle tasse crede che le multinazionali depauperino i paesi in cui operano e che le autorità fiscali debbano ingegnarsi a sfruttare i loro investimenti come una tagliola. Come insegna il recente sgambetto spagnolo a Google News, anche le multinazionali rispondono agl’incentivi. Così come sono venute, le imprese possono salpare verso altri lidi. E quel giorno, probabilmente, i giornalisti di Report ci propineranno dei servizi pensosi sul declino italiano, senza rendersi conto di esserne parte integrante.

@masstrovato

19 Responses

  1. Francesca R.

    Qualcuno che la pensa esattamente come me!

    Se in due anni ancora non sono venuti a capo di nulla, vuol dire che di tanto ovvio e palese non c’è niente (o che in questo Paese non sono buoni neanche a indagare, ma propenderei per la prima ipotesi).
    Inoltre, ben venga Amazon che assume tantissimo e continuerà a farlo perché è in crescita! Preferisco che tanta gente trovi lavoro piuttosto che sia ipertassata (sempre che sia giusto che lo sia) Amazon. Tanto più che i soldi che entrano nelle casse dello Stato finiscono sempre nello stesso modo, in breve diventano carta igienica.

    Sono dall’inizio una cliente Amazon, compro tutto da loro: mi arriva in 3 giorni a casa, non devo cercare parcheggio bestemmiando in turco (sempre che possa raggiungere un negozio in macchina, dato che i centri storici sono chiusi), non rischio le multe dei vigili avvoltoi, posso ordinare a qualsiasi ora del giorno e della notte, posso facilmente rimandare indietro il pacco se non sono convinta e mi rimborsano (cioè niente buono da spendere sempre da loro!), non spendo in benzina, trovo veramente di tutto e di più, se non mi arriva un pacco (cosa peraltro quasi impossibile) vengo rimborsata. Viva Amazon!

  2. pier luigi tossani

    eh sì.. è un po’ come il caso Dolce e Gabbana:

    http://www.tempi.it/dolce-e-gabbana-condannati-di-nuovo-per-evasione-fiscale-ricostruzione-di-un-processo-assurdo-e-infinito

    questo Stato è costituzionalmente troppo famelico. Ma, ricordiamoci che, al fondo, tutto deriva dalla mancanza di “società partecipativa”:

    http://lafilosofiadellatav.wordpress.com/fiatpomigliano-darcomelfi-come-mettere-a-frutto-la-lezione-di-pier-luigi-zampetti-per-risolvere-il-conflitto-tra-capitale-e-lavoro/

  3. Marco

    Leggendo i primi paragrafi dell’articolo mi è immediatamente venuto in mente il caso spagnolo che è poi comparso puntualmente verso il fondo, ma potrei anche citare quello tedesco o belga. In Europa si continua a legiferare come se ogni paese fosse il centro del mondo e non lo 0,87% come accade per l’Italia.
    Viene da pensare che provvedimenti come la WeTax rappresentino più un’occasione per conquistare la ribalta politico-mediatica piuttosto che reali tentativi di riordino di un comparto tanto dinamico da rendere obsolete anche le azioni dei più giovani (solo anagraficamente) politici italiani.
    Del resto cosa aspettarsi dal paese che salva l’ILVA e lascia andare il quantum computing? Un paese che pensa si possano mantenere 65mln di persone con i soli turismo e agroalimentare? Che non si rende conto che l’agroalimentare è una moda, e tra 15 anni tireranno vini libanesi e cucina molecolare?
    Da uomo della strada disinformato e sempliciotto azzardo un pronostico: esce una WebTax 2.0 sulla falsariga della prima; Amazon fa due conti, chiude baracca e burattini e si trasferisce in Slovenia dove grazie a qualche incentivo, troverà burocrazia amichevole, tasse meno esose e costo della manodopera più contenuto.
    Risultato netto per lo stato? Non solo nuovo gettito praticamente nullo ma anche perdita di imposizione fiscale e contributiva oltre che disoccupazione sull’esistente con cui fare i conti. Sindacati sul piede di guerra, Amazon additato come belzebù, scioperi e alzate di scudi.
    Solo che Besos non è italiano, e di tradizione ed italianità non gliene importa nulla, ad un Landini risponderebbe “vi fa bene scioperare così vi allenate a stare a casa”. Mia nonna diceva sempre “si prendono più mosche con un cucchiaino di miele che con un bidone di aceto”, saggezza contadina.
    Tutto questo succede, quando pensi di essere al centro del mondo ed invece sei solo un sasso attorno cui il progresso gira come la corrente.
    Cronache di storie già viste. Amen.

  4. Luca

    come mai in inghilterra e francia stanno dando multe miliardarie? li ascoltate i report prima di scrivere cazzate?

  5. Guido

    Sembra una risposta da Azzeccagarbugli.
    Strutturare una multinazionale con una capofila in Lussemburgo significa che in Lussemburgo finiscono gli utili maturati negli altri paesi europei, e lì subiscono una ulteriore piccola tassazione prima di poter fluire agli azionisti.
    Quello che sta succedendo è che ogni compravendita europea viene fatta dalla capofila e le controllate apparentemente forniscono solo la logistica.
    Questo gioco è scorretto verso le imprese italiane che operano esclusivamente in territorio Italiano e pagano tutte le tasse che devono.
    Le aziende nazionali di Amazon in pratica ricevono dalla controllata lussemburghese una contropartita sufficiente a pagare le spese, in modo che nessun utile venga tassato al di fuori del Lussemburgo.
    È una pratica inedita sul panorama industriale (se vogliamo capitalista). Le controllate di Amazon sono società di capitali che non producono reddito. Questo è assurdo dal punto di vista di un economista classico.
    Tuttavia quello che conta è il bilancio aggregato della controllante lussemburghese, che in questo modo ha una redditività maggiore rispetto allo strutturare la compagnia in maniera tradizionale, ma diciamo pure in maniera “onesta”.
    In conclusione Amazon Italia andrebbe chiusa domani, perché evade le tasse. Non possiamo lasciarci tenere in scacco da imprenditori da strapazzo che si permettono di ricattarci, con la solita scusa che in fondo ci stanno dando tanti posti di lavoro. Questi posti di lavoro sono a discapito di quelli delle aziende che pagano tutte le tasse che devono.
    Io non compro da Amazon.

  6. DDPP

    Io, da Amazon, compero e sono molto contento.
    Se trasferiranno i magazzini in Slovenia, continuerò a comperare e aspetterò 4 giorni anzichè 3

  7. Ergonomico

    Non ho capito una cosa.
    Mettiamo che ci sia una azienda in Molise che fa bottoni. Il Molise ha una addizionale d’imposta inferiore che in Lombardia (è così? boh, supponiamo che lo sia, ok?). Io sono lombardo e, per convenienza acquisto i bottoni in Molise e questi mi vengono recapitati a casa. Per comodità l’azienda molisana tiene dei magazzini in Lombardia. La Lombardia si lamenta che l’azienda molisana, sfruttando la miglior tassazione, fa concorrenza sleale alle brave fabbriche di bottoni lombarde. E io dovrei comprare i bottoni in Lombardia pagandoli di più.
    Ma ci rendiamo conto che abbiamo voluto fare l’unione economica europea e quello che accade con Amazon ne è una diretta conseguenza?
    Ripristiniamo le frontiere, rimettiamo i dazi doganali, ritorniamo alla lira. Vuoi vendere in Itallia? Produci in Italia oppure paghi una mazzata per importare i prodotti!
    Cosa vi aspettavate? Cosa si aspettavano i politici italiani quando hanno aderito all’unione (economica) europea?
    Boh.

  8. Lorenzo

    Mi lasciano perplesso le seguenti affermazioni:
    “Le società che presiedono alle attività italiane sono controllate dalla holding lussemburghese e da questa remunerate per i servizi di supporto logistico che le prestano; i relativi profitti sono, come ovvio, soggetti a tassazione in Italia.”

    “Il tutto senza considerare che, paradossalmente, in questa fase dello sviluppo dell’azienda, sono proprio le sussidiarie locali le sole entità profittevoli: sicché non è chiaro quale sia il presunto danno per l’erario, né in che direzione debba andare l’auspicato recupero d’imponibile”

    Come noto, nei gruppi di imprese internazionali le poste intercompany (ricavi o costi verso le controllate estere) vengono quantificate dalla capogruppo con l’obiettivo di minimizzare il risultato ante imposte nei paese a maggiore fiscalità.
    L’autore ha evidenze che ciò non stia avvenendo nel caso in analisi?
    Può portare dei dati (ovvero: dei numeri) a conferma della redditività delle sussidiarie locali?

  9. Roby

    Ottimo articolo. Il Fisco dovrebbe anche far pagare le tasse a tutti i produttori stranieri che magari hanno solo un magazzino o al più una sede commerciale in itaglia. Tassiamo i fattorini come se fossero loro i produttori della merce che trasportano e non avremo più buchi nel bilancio dello stato!!!

  10. tiziano

    Dite la verità, ve l’ha scritto l’ufficio Amazon l’articolo.
    Provate ad aprire voi una serie di attività nel mondo e dire al fisco che siete italiani e le tasse le pagherete in Italia perché sono più basse.
    Provate ad aprire un negozio di libri italiani in Cina o qualsiasi altra parte del mondo. Supponiamo che il luogo in cui aprite abbia una tassazione doppia rispetto all’Italia. I vostri addetti rispondono al telefono (come a Cagliari per Amazon), preparano i pacchi e li consegnano tramite corriere ai clienti del paese in cui aprite. Poi la fattura fatela dall’Italia per non pagare le tasse.

    Il vostro é un ragionamento illogico e da anti italiani: se tutte le aziende facessero come Amazon, chi pagherebbe le tasse? Solo il 4% in Lussemburgo.
    E tutti i servizi che non possono essere delocalizzati? I gommisti, i parrucchieri? Che tassazione dovrebbero avere?
    Pensare che per la mancetta di “fare da vetrina alle aziende italiane”, sia corretto derogare a rigide regole fiscali che in casa nostra sono imperative, sia l’esatto opposto della nostra democrazia.
    É palese che Amazon stia sfruttando, come un tempo facevano gli imprenditori italiani, alcune falle di un sistema fiscale ipercomplesso che non si é ancora adeguato, per sue colpe, a queste tecniche elusive.
    PS: é un caso la pubblicità di Amazon su questo blog?

  11. Jean

    A me sembra un pezzo il cui unico scopo sia quello di criticare il lavoro della Gabanelli, delegittimandolo come ideologico (in parte lo è), piuttosto che affrontare seriamente il tema. E le argomentazioni portate sono almeno altrettanto o fallaci o non adeguatamente supportate del servizio di Report che si vuole criticare.
    Di base si finge di ignorare la differenza tra evasione fiscale (che configura una evidente violazione delle legge) ed elusione fiscale (pratiche fiscali che pur non essendo illegali non sono accettabili da un punto di vista economico). In quasi tutti i casi di note multinazionali ci troviamo nella seconda fattispecie, per cui le varie argomentazioni “non hanno trovato nulla quindi è pulita” non si applicano.
    Vero che la pianificazione fiscale è una legittima leva di ottimizzazione finanziaria per le multinazionali ma è legittima nella misura in cui non reca un danno alla collettività e al sistema economico, per esempio inficiando la competizione tra imprese (domestiche che nn possono avvalersi di schemi di elusione internazionale vis a vis multinazionali) oppure tra paesi (con regimi fiscali normali come l’Italia vis a vis regimi fiscali agevolati come il Lussemburgo).
    L’autore dell’articolo conosce troppo bene il tema per ignorare che esiste un progetto coordinato dall’OCSE per combattere l’elusione fiscale internazionale, progetto da un anno almeno in cima all’agenda dei meeting del G20, i cui principi ispiratori sono per l’appunto quelli di “level playing field” tra operatori economici e ri-allineamento tra il luogo dove si crea valore e il luogo dove si pagano le tasse. Non mi risulta che ne OCSE ne G20 siano note organizzazioni anti-capitaliste; semplicemente si è riconosciuto che l’attuale sistema di tassazione internazionale deve essere riformato perché non è più adatto a regolamentare il sistema di produzione globalizzato, specialmente nell’era digitale, lasciando alle multinazionali come Amazon gigantesche possibilità di arbitraggio fiscale. Il progetto OCSE-G20 che dovrebbe chiudersi con il 2015 cambierà profondamente le regole del gioco per le multinazionali.
    E’ interessante notare come una settimana si e l’altra pure sull’Economist ci siano articoli ed aggiornamenti sul tema, eppure in Italia non se ne parla. E quando qualcuno come Report ne parla viene ridicolizzato come il solito teatrino all’italiana (l’ “eroe solitario”? mah…) motivato da pregiudizio ideologico e fomentato da fanatici che se ne sbattono dei posti di lavoro creati dalle multinazionali.
    Questo secondo è un modo ridicolo di rappresentare la realtà.

  12. MG

    Il tema è complesso soprattutto di non facile ricostruzione in una trasmissione televisiva; se si pensa poi alla “catena del valore” connessa al servizio offerto da una multinazionale online, diventa davvero improponibile il sol pensare di essere convicenti attraverso il mezzo televisivo ed in una sola puntata. Affrontare una tematica del genere in maniera seria e professionale richiederebbe un “serial a puntate” e una mole di dati da raccogliere..e una mole di professionisti capci di leggerli e tradurli in “italiano corrente”. Detto questo, proprio perche si è voluto affrontare l’argomento in via breve e con fare bonario non si puo non concludere, visto che la trasmissione non è demenziale e non è fatta da dementi, che ci sia stata una sorta di “marchetta” ai vari enti italici sempre pronti a tassare e soprattutto attrarre tassazione dentro i nostri confini dipinti come una sorta di Bellerofonte che combatte il mostro Chimera… Risultato: due anni di indagini, soldi pubblici anche qui spesi a palate, magari ci saranno scappate anche qualche mese d intercettazioni di dirigenti e managers vari. Tutto cio richiede ovviamente publicizzare un qualche risultato ottenuto..Ed eccoti servito il servizietto. Quindi tranquilli stiamo solo parlando delle solite 4 favole..non è successo niente..e di sicuro Amazon non se andrà dall’Italia..almeno non per questo…ma solo se le vendite andranno sotto i forecast aizendali..Allora si che sranno dolori.

  13. Filippo

    approvo in pieno le critiche a report, ma le giro in toto anche all’autore di questo articolo. sono esattamente le stesse, in più aggiungerei la presunzione di raccontare la verità screditandone un’altra. E’ vero che le multinazionai danno lavoro e non vanno viste come qualcosa di negativo o da sfruttare. MA la competizione con chi produce e vende in Italia è SLEALE sul prezzo se le imposte per vendere al cliente itliano sono differenti. Quindi non si tratta di sfruttare le multinazionali, ma di metterle QUANTOMENO ad armi pari coi privati poveri cristi che provano a fare commercio in Italia, i quali lavorano 90 giorni su 100 per il nostro simpaticissimo sTATO. Vendere solo a sconto, abbassare i margini , lavorare h24 per non morire strangolati dalle tasse mentre gli utenti (me compreso) acquistano scontato su internet (merce scontata grazie alla disparità tassazione) non mi sembra una grande rivoluzione liberale nè di competizione (buona).

  14. Filippo

    hahahaha mi accorgo solo adesso della pubblicità di vostri libri venduti su amazon a piè di pagina !! non sono un complottista e mi trovo spesso su posizioni liberali, avrei anche votato Giannino se non si fosse suicidato di cazzate, ma quest’articolo sembra che l’avete fatto più contro di voi che a favore. Liberi di fare quello che fate…..ma io libero di dissentire con non poca delusione.

  15. Giorgio

    Questo articolo ci prende tutti per stupidi.
    Ma di che stiamo parlando? E’ ovvio che il Lussemburgo è ai limiti del paradiso fiscale e chi può ne approfitta. Fine della storia. Ed è sacrosanto voler trovare il modo di evitare che queste aziende continuino a fare le furbe.

  16. Matteo

    secondo me è tutta invidia, si dovrebbe lottare per abbassare le imposte in Italia non per farle alzare negli altri paesi, ma l’ italiano medio vuole che il suo vicino paghi tanto, poco importa se poi paga anche lui

  17. riccardo

    Giorgio ha perfettamente ragione in quello Che dice. Ormai il mondo E diviso in due le grandi multinationale Che fanno quello che vogliono E tutti gli altri, piccole imprese, lavoratori autonome, lavoratori dipendenti che subiscono i loro voleri. E sempre stato cosi ma da quando negli anni ottanta ha preso piede un falso liberismo, creato ” ad usum delphini”, con tutti gli annessi ideologici, la bilancia pende sempre piu a favore della grande industria E della grande finanza. Altro che stato uniti diEuropa ! Nulla Sara’ risolto fini a quando i problemi non saranno affrontati a livello globale mondiale, le multinationale pensano globalmente noi Piccoli imprenditori possiamo pensare solo localmente E nessuno dico nessuno ci difende, tanto piu se si dice liberista

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