8
Feb
2010

Intergovernmental Panel on Climate Lies

Da qualche tempo ho fatto voto di non occuparmi delle beghe sulla scienza del clima. L’ho fatto perché credo che la soluzione “kyotista” (o, se preferite, la linea Maginot che unisce l’Ipcc ad Al Gore) sia sbagliata anche se fossero vere tutte le previsioni più catastrofiste. Per questo, mi appassiona di più la discussione sugli aspetti economici e politici del riscaldamento globale, che quella sul rapporto tra CO2 e gradi centigradi. Quello che sta accadendo, però, è talmente grande, esteso e grave da richiedere attenzione esplicita.

Dal momento in cui è deflagrato il climategate, l’Ipcc è stato vittima di un “incidente” dopo l’altro. Di fronte a quanto sta accadendo, paradossalmente, la diffusione delle email in cui i climatologi si confrontavano su come imbellettare i dati sono poca cosa: sicuramente, in retrospettiva non sono più “the worst scientific scandal of our generation“, come l’ha definite il Telegraph. Lo scandalo sta nel fatto che sempre più sta emergendo che i guasti – la selezione ideologica della letteratura, l’enfasi sugli scenari catastrofici, l’incoerenza tra il testo dei rapporti e il modo in cui vengono presentati – non sono frutto di incidenti di percorso o di qualche mela marcia, ma sono la conseguenza inevitabile di una struttura inadeguata.

Senza entrare nel merito delle tante, piccole o grandi, tegole cascate sull’Ipcc (per le quali rimando agli ottimi blog di Piero Vietti, Guido Guidi e Maurizio Morabito), e senza entrare nell’interpretazione dei dati troppo spesso troppo disinvolta (su cui segnalo un grandioso Aldo Rustichini uno e bino), penso che meriti di essere letta, con molta attenzione, e meditata l’intervista che il re dell’Ipcc, Rajendra Pachauri, ha concesso all’Economist. Il settimanale britannico non è certo sospettabile di scetticismo o negazionismo climatico: anche per questo, forse, le sue domande sono insidiose, e mettono a nudo un Pachauri in estrema difficoltà nel tentativo arduo di giustificare il suo ruolo e le sue dichiarazioni, fino a poco tempo fa infarcite di sciagure e cataclismi. Gustatevi le risposte sullo scioglimento dei ghiacciai, o quelle sulle falle nel processo di peer review, in virtù del quale l’organismo dell’Onu avrebbe scartato articoli pubblicati su riviste scientifiche per accogliere tesi sostenute nella letteratura cosiddetta “grigia”, e spesso senza alcun tipo di atteggiamento critico. Per essere chiari: tutti ci rifacciamo anche alla letteratura grigia, ma nessuno cerca anche di piegare la realtà nel modo in cui l’Ipcc ha fatto.

Mi spiego: leggete questo post di Roger Pielke Jr., che in una volta sola si toglie qualche quintale di sassolini dalle scarpe. Sotto accusa c’è un grafico, presente con grande spolvero nel Quarto rapporto dell’Ipcc, che collega l’innalzamento delle temperature col danno causato dagli eventi climatici estremi. L’aspetto clamoroso è che (a) di quel grafico, o dei dati con cui è stato generato, non c’è traccia nel paper citato come fonte. Passi: diciamo che è stato un errore. Ma soprattutto (b) il paper che ne costituisce la fonte reale conclude che:

We find insufficient evidence to claim a statistical relationship between global temperature increase and normalized catastrophe losses.

Ma sotto accusa c’è anche il fatto che l’Ipcc, sullo stesso tema, ha esplicitamente ignorato un paper peer-reviewed di Pielke, facendo proprie le tesi emerse da un meeting organizzato dal colosso delle assicurazioni Munich Re (commento di Pachauri: “I’m not aware of that“).

Questo non è un errore. Questa è la punta dell’iceberg, che l’Ipcc – se fosse quello che ci viene detto che è – avrebbe dovuto scongiurare, e che – una volta commesso – avrebbe dovuto essere ritirato con un mare di scuse. Invece tutto quello che abbiamo è un’intervista da campionato mondiale di arrampicata libera sugli specchi. Un’intervista che non convince lo stesso Economist, il quale, nell’editoriale dedicato al tema, se ne esce con un giudizio così:

The selection of authors, for example, is something of a black box. Since it is on the expertise, judgment and character of these authors, as much or more than on procedure, that the whole enterprise rests, this needs reform. Other procedures are simply lacking. Charges of conflict of interest levelled at Dr Pachauri are hard to judge because the governments which organise the IPCC have provided no way for interests to be declared, or for conflicts to be assessed.

Ce n’è abbastanza per chiedere, a gran voce, chiarezza e trasparenza. La crisi di credibilità dell’Ipcc non significa, di per sé, che non sia vero che il pianeta si scalda (lo è), o che le emissioni antropogeniche non hanno nulla a che fare con questo (lo è, anche se non sono sicuro che abbiano molto a che farci), o che i benefici delle politiche per abbattere le emissioni siano superiori ai costi (non lo sono). La crisi di credibilità significa, però, che prima di prendere decisioni costose sulla base di rapporti truccati (nella peggiore delle ipotesi) o scritti in modo disattento (nella migliore), occorre sgombrare il campo da equivoci e ideologismi.

Infine, una piccola nota personale. Quando, nel 2007, l’Ipcc aveva pubblicato il Summary for Policy Makers del Quarto rapporto sul cambiamento climatico, ma non il rapporto integrale, avevo scritto sul Foglio:

In passato l’Ipcc è stato accusato di manipolare le sintesi politiche, enfatizzando gli aspetti più catastrofisti e sminuendo le incertezze. L’impossibilità di confrontare la sintesi col rapporto integrale proprio nel momento di massima esposizione mediatica è una mancanza di trasparenza senza precedenti.

Questo mi era costato, tra l’altro, le frecciate di Stefano Caserini, il quale si è lamentato che

Dopo la pubblicazione dell’intero Rapporto, chi si aspettava i fulmini dell’IBL per le dissonanze con la sintesi è stato deluso. Forse semplicemente perché ogni paragrafo della sintesi riportava già, indicandoli fra parentesi, le parti del Rapporto a cui si riferiva.

Naturalmente, i fulmini miei e dell’Ibl non ci sono stati perché nessuno di noi è Giove Pluvio. E nessuno di noi è un climatologo. Quello che avevo segnalato era che il semplice sospetto che potessero esservi discrepanze era sufficiente a condannare l’operato dell’Ipcc; e aggiungevo che, se non ci fossero state discrepanze, non si capiva il motivo di una tale condotta. Adesso viene fuori che il Summary for Policymakers – l’unica parte del rapporto che viene realmente letta dai decisori politici, e quella su cui essi basano le proprie decisioni – è, come temevo, taroccata: dà per certo quello che certo non è, e che peraltro proviene da una fonte “sospetta” (il Wwf: alla faccia del processo di peer review).

Non ho la sfera di cristallo. E’ che, quando si sente puzza di bruciato, di solito nei dintorni c’è un fuoco.

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3 Responses

  1. damiano_

    i costi del riscaldamento sono superiori alle azioni necessarie per fermarlo ? insomma … stiamo parlando di qualcosa (le conseguenze ) di cui si sa sappiaamo veramente poco … forse lo IPCC e’ catastrofista , forse no .
    mettetevi nei panni dei climatologi : se tirassero fuori delle previsioni piu’ ottimiste rispetto alla realta dei fatti , ne sarebbero considerati responsabili . il viceversa li espone forse al ridicolo ma gli permette di cavarsela molto a piu’ buon mercato .

  2. @damiano_
    Gli scienziati, se vogliano fare scienza e non politica, devono basarsi sui fatti e sulla logica. Altrimenti fanno i politici e accettano di essere trattati come tali.
    Se non sono in grado di fare previsioni lo dicono e non le fanno. Se ci sono una serie di previsioni, non enfatizzano solo e solamente quelle peggiori (che sono poi quelle che gli fanno più comodo per avere finanziamenti, fama e potere).
    Nella Bibbia, lo standard per i profeti è che se sbagliano una volta vengono ammazzati. Forse è un po’ severo, ma almeno chi si proclamava profeta e prediceva il futuro sapeva che era meglio esserlo veramente.

  3. damiano_

    meno male che c’e lei , che sa fare ricerca …. e se ammazzassimo tutti gli scienziati che hanno sbagliato almeno una volta , penso proprio che stermineremmo la categoria.

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