9
Nov
2009

Il petrolio: vittima o carnefice?

Quando un giorno, tra tanti anni, avremo una visione chiara di quello che è accaduto in questi anni, una domanda a cui qualcuno dovrà rispondere è: che ruolo ha avuto il petrolio? In quasi tutte le crisi passate, e non solo in quelle che non a caso chiamiamo petrolifere del ’73 e ’79, i prezzi del greggio sono stati una delle cause evidenti del rovescio economico. Nel 2007-2009 le cose sono andate diversamente. Secondo quanto anticipato da Kate Mackenzie, l’Agenzia internazionale dell’energia, che domani presenterà il World Energy Outlook 2009, esprime una prima sentenza: di colpevolezza.

I prezzi del petrolio hanno conosciuto, da inizio anni Duemila, una corsa senza precedenti, per entità e persistenza degli aumenti. Il massimo, un soffio sotto i 150 dollari a barile, è stato raggiunto nel luglio 2008, circa un anno dopo lo scoppio della bolla dei mutui subprime e un paio di mesi prima del fallimento Lehman, convenzionalmente assunto come snodo in cui la crisi passa dal mondo finanziario all’economia reale. Secondo l’Agenzia di Parigi, le quotazioni del greggio avrebbero una responsabilità “importante, seppure secondaria” nell’avvio della recessione. In effetti, negli anni scorsi si erano moltiplicati i segnali di preoccupazione, riguardo agli effetti nefasti che un petrolio troppo costoso avrebbe potuto generare.

Sono un po’ scettico su questa conclusione, ma non su un punto: che, anche ammesso che il petrolio stia dalla parte dei cattivi, ha svolto al più le mansioni del gregario. La crisi è iniziata su un terreno di fatto privo di influenze petrolifere (non è vero il contrario, naturalmente) e si è trasmessa all’economia reale dopo l’avvio del “controrally”. Anzi, a mio avviso è la dinamica petrolifera – prima verso l’alto, poi verso il basso – ad aver seguito le tendenze macroeconomiche più generali. Non solo perché almeno in parte l’aumento dei prezzi petroliferi è stato frutto e del deprezzamento del dollaro, e della sfiducia nei mercati finanziari che ha spinto molti investitori verso quello che (a torto) percepivano come un bene rifugio.

Lo stesso crollo delle quotazioni del barile è figlio di un calo della domanda, che è innescato non già dai rincari – che avevano messo in moto dinamiche di efficienza, come emerge per esempio dai dati sulle vendite di auto negli Usa – ma dal terremoto finanziario e dal progressivo prosciugarsi dei canali del credito alle imprese, oltre che dall’andamento sempre più negativo dell’economia. Inoltre, proprio a causa della componente speculativa che incorpora, il petrolio ha manifestato tendenze anomale e incomprensibili, a tratti (penso a una parte almeno dei rincari più recenti, dal punto di minimo a inizio anno).

La mia sensazione è che, questa volta, il petrolio sia innocente. Oltre alla speculazione, la causa prima dell’aumento pre-2008 è stata evidentemente la domanda delle economie emergenti, mentre in seguito la causa prima della riduzione è stata il crollo dei consumi americani ed europei. Crollo, lo ripeto, non causato dall’effetto prezzi, ma trainato dalla crisi. Vedremo, domani, le ragioni dell’Agenzia. Per ora, attendiamo scettici.

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5 Responses

  1. marco

    Non concordo.
    Secondo molti studi, se la spesa USA per petrolio è superiore al 5.5% del PIL, s’innesca una recessione. Immediatamente prima della crisi è stato così.

  2. Argomento interessantissimo e molto complicato, difficile da dipanare in tutti i suoi aspetti.
    Secondo me, in base ai dati che abbiamo, la sentenza dovrebbe essere: “associazione esterna a organizzazione mafiosa” (…credo si dica così..)

    Volendo andare più a fondo bisognerebbe rispondere a questa domanda:
    “Quanto conta il petrolio, sia nei suoi aspetti energetici che petrolchimici, nel sostenere i pogrammi di finanziamento degli investimenti?”
    Oppure, se si vuole:
    “Quanto conta il petrolio, sia nei suoi aspetti energetici che petrolchimici, nel sostenere l’esposizione finanziaria di uno Stato o di un’Azienda/privato che si relaziona con il Sistema?”

    Bellissimo argomento difficilissimo da spulciare. Forse qualche economista ne potrebbe fare uno studio, chissà.

  3. Pietro M.

    Guardando i prezzi di moltissime materie prime degli ultimi due anni, oltre al petrolio, ci si accorge che salgono quando l’economia sembra riprendersi e poi riscendono se arrivano cattive notizie.

    Forse è perché ci sono dei seri bottleneck a livello produttivo che impediscono all’economia di riprendersi e appena gli stimoli hanno successo i prezzi delle materie prime schizzano per eccesso di domanda. Ovviamente questo frusterebbe la ripresa riducendo i margini id profitto o facendo aumentare l’inflazione.

    Se le cose stanno così, stiamo in real resource crunch: non è possibile espandere l’economia senza innescare una spirale inflazionistica perché mancano i capitali reali per eliminare i colli di bottiglia produttivi.

    Questa è solo una possibilità, ma tutto sommato è compatibile con l’idea che il consumo sia eccessivo rispetto al mantenimento della capacità produttiva, per insufficienza di risparmio. Il fatto che le politiche assurde dei governi impediscano al mercato di calcolare profitti e perdite spostando l’onere dei costi dai privati alla società intera peggiora ulteriormente la situazione, ma non è sufficiente: in ocndizioni normali socializzare i costi stimolerebbe gli investimenti. Qualcosa si è bloccato nella manipolazione governativa del mercato manu monetari.

  4. Carlo Stagnaro

    Marco – A me sembra difficile sostenere che la recessione attuale, negli Usa, sia stata “causata” dal petrolio. La stessa Iea dice una cosa diversa: che il petrolio è stato una concausa, secondaria per quanto rilevante. Del resto, il terremoto è cominciato quando il Wti quotava ancora relativamente basso, cioè nell’agosto 2007, e in tutte le sue fasi è stato trainato da fattori finanziari, bancari e monetari. La questione è diversa: a mio avviso, e me ne convinco sempre più, in questo caso l’olio è vittima delle tendenze macroeconomiche generali.

    Azimut – Temo che su questo gli economisti si scanneranno per molti anni…

    Pietro – Io la farei più semplice. Gli investimenti nel petrolio hanno carattere inerziale e tempi lunghi (se io comincio oggi una campagna esplorativa, difficilmente ci metterò meno di 5-10 anni per arrivare in produzione). La cosa è complicata da fattori politici di ogni sorta: nei paesi in via di sviluppo perché il petrolio è concepito come una risorsa dello Stato, in quelli industrializzati (compresi gli Usa) per ragioni regolatori e ambientali (vedi l’odissea in Alaska). Probabilmente, in presenza di una politica monetaria rigorosa non assisteremmo a una volatilità tanto pronunciata dei prezzi delle materie prime, ed è in questo senso che secondo me si può parlare di una forte componente speculativa.

  5. marco

    @Carlo Stagnaro
    Se si guardano i dati a partire dal 2006 la spesa per il Petrolio USA “flirta” da vicino col 5.5% del PIL. Vero che nell’agosto 2007 il WTI era relativamente basso, vero anche che la tendenza del prezzo era al rialzo da tempo.Aumento del prezzo del greggio meno soldi a disposizione per consumi.
    Quanto alla volatilità, la spare capacity da tempo è drammaticamente prossima a zero. Questo sicuramente amplifica la volatilità del prezzo.
    Anche l’ultimo punto non mi convice. Dal 2004 al 2008, malgrado un range di prezzi molto ampio, la produzione totale di petrolio praticamente non cambia.
    Lungi da me dare sentenze definitive, ma la questione è molto interessante e sicuramente da approfondire.

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