11
Apr
2016

Su Riina, Vespa e, soprattutto, sulla Rai—di Mario Dal Co

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Mario Dal Co.

L’occasione

L’intervista di Bruno Vespa al figlio di Riina per la pubblicazione del suo libro autobiografico ha dato luogo ad una serie di polemiche in cui il mondo politico si è tuffato a capofitto.

Dall’intervista emerge una separatezza della vita e dei valori allucinata, stupefacente per uno spettatore non esperto di mafia. Qualcuno sostiene che il figlio di Riina si sia candidato a fare l’erede del padre. Forse. Ma mi ha colpito in modo assai più profondo la sensazione che, con il tipo di vita imposto alla famiglia, il padre non gli abbia dato scampo, non gli abbia concesso nessuna chance: non la scuola come gli altri, non la libertà di ribellarsi alla famiglia come accade a quasi tutti i giovani, non la possibilità di trovare una sua strada. Ma non sono un esperto di mafia. Il servizio giornalistico in sé era interessante e non avrebbe dato adito ad alcuna polemica se la Rai non fosse pubblica. E’ questo filtro distorto che impedisce una discussione normale sui contenuti, imponendo il terreno tutto politico di discussione sul quesito se il servizio pubblico debba occuparsene e come. Un quesito che nulla ha a che fare con la qualità del lavoro giornalistico e dell’informazione. Il quesito verte sul se e sul cosa deve dire il servizio pubblico.

Ma quando discutiamo di se e cosa non siamo già chiusi nel perimetro della censura, non stiamo già perdendo di vista la libertà? A quel punto mi sembra che abbiamo già smarrito un pezzo di libertà di espressione poiché svanisce la possibilità di apprezzare un prodotto culturale per ciò che è. A meno che qualcuno non ritenga che, nel mondo di internet, la Rai sia il solo presidio di tale libertà…

Queste riflessioni investono il ruolo che oggi svolge la Rai, e in questo ci può dare ulteriori e diversi lumi l’analisi dei dati contenuti nei suoi, per altro molto ben fatti, bilanci. Vedremo non se, ma cosa dire della nostra azienda di comunicazione pubblica. Abbiamo preso gli ultimi 10 anni.

La Rai e la crisi

E’ un periodo che cattura la lunga crisi italiana. Essa porta alla Rai il beneficio di un recupero di audience: l’intrattenimento si sposta sulla TV, dove un film o una partita sono gratuiti (nel senso che il canone è un sunk cost, ovvero un costo affondato, sostenuto una volta all’anno a prescindere dall’uso del mezzo).

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Come si vede, infatti, la crisi del 2008 porta ad una risalita significativa dell’ascolto medio televisivo che recupera circa 2,4 milioni di pubblico tra 2007 e 2013. Naturalmente, quella platea guarda anche le televisioni private. La documentazione acclusa ai bilanci lo dimostra, così come insiste sul fatto che il canone della Rai è il più basso e l’audience tra le più elevate nel panorama europeo.

La crisi produce anche una crescente tendenza a non pagare il canone. Dal 2005 al 2014 l’evasione non diminuisce, nonostante le campagne pubblicitarie, gli appelli dei vertici Rai al governo, le minacce dei rigori della Guardia di Finanza contro i disertori, la lamentazione sui 500 milioni all’anno sottratti. Anzi, la diserzione sale dal 25 al 27%. Intanto, anche la morosità sale dal 4,2% al 7,7%. Nonostante il canone sia il più basso d’Europa e l’audience tra le più alte, i cittadini italiani, già i maggiori evasori d’Europa, sono sempre meno intenzionati a pagarlo. In questo contesto il governo ha elettrificato il canone, diavoleria foriera di addizionali confusioni e di inediti contenziosi negli anni a venire.

Come vedremo, la crisi porta anche ad una riduzione dei ricavi pubblicitari.

La crisi della Rai

In questo decennio difficile le aziende si sono ristrutturate, a volte in modo duro ma efficace per affrontare un mercato più esigente e più competitivo. Come ha reagito l’azienda Rai alla caduta delle entrate che, come si vede dal grafico 2, è molto significativa?

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I dati sono a prezzi costanti per poter verificare l’andamento della produttività. Il valore del canone (il suo valore unitario) è pressoché costante, ossia ha recuperato l’inflazione nell’intero periodo considerato. Quindi le entrate da canone, per quanto riguarda l’aspetto tariffario, hanno garantito una fonte finanziaria sicura, parzialmente erosa dagli aumenti del tasso di evasione e di morosità. Per quanto riguarda le entrate pubblicitarie, complice la crisi e lo spostamento verso internet degli inserzionisti, si sono dimezzate in termini reali. L’effetto delle due tendenze combinate è una perdita sui ricavi complessivi del 25% in termini reali. Ora, una contrazione di questa dimensione rappresenterebbe una pressione irresistibile per una azienda normale: la costringerebbe a recuperi di produttività e di efficienza, ad innovare, ad abbandonare mercati non redditizi, a bloccare il turn over quando non a licenziare, a cercare nuovi capitali per nuovi progetti. Vediamo che cosa è successo in Rai.

Il grafico 3 riporta l’andamento, sempre a prezzi costanti, dei costi e del costo del lavoro in particolare.

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I costi complessivi di produzione si riducono in misura inferiore ai ricavi, il 20% rispetto al 25%, mentre il costo del lavoro si riduce solo del 10%. L’andamento dell’occupazione e quello della produttività, riportati nel grafico 4, dimostrano che l’occupazione è addirittura aumentata nel periodo considerato, mentre la produttività è precipitata del 35%.

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La Rai, tutelata dal canone stabilito dal potere politico, si muove come un’azienda che non soggiace ai vincoli di mercato e può permettersi di non rispondere agli stimoli come farebbe un’azienda privata. La Rai rappresenta per il potere politico un datore di lavoro pubblico generoso, che ogni anno assume centinaia di persone, particolarmente negli anni più recenti, come si vede dal grafico 5.

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Ai cittadini che pagano le tasse e il canone la Rai restituisce un risultato economico che nell’intero periodo considerato cumula (a prezzi 2014) 493 milioni di euro di perdite nette (ossia al netto degli utili), come si vede dal grafico 6.

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L’effetto di queste perdite si fa sentire anche sul valore dell’azienda, il cui patrimonio netto, che misura il valore in mano all’azionista, è riportato nel grafico 7, dove sono inseriti anche l’indebitamento dell’azienda verso i dipendenti.

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Si tratta del fondo per il pagamento del TFR e degli accantonamenti per la quiescenza.

Emerge una situazione paradossale: l’azienda ha perso nel periodo considerato quasi il 60% del valore del patrimonio netto a prezzi costanti. I dipendenti vantano nei confronti dell’azienda un credito che, per il solo fondoTFR, raggiunge nel 2012 il 100% del valore del patrimonio netto, scendendo poi a circa l’80% nel 2014; se si considera anche il fondo per la quiescenza, la quota sale al 150% nel 2012 e scende al 100% nel 2014.

Conclusioni

Il futuro della Rai è incerto: se la perdita di valore proseguirà nei prossimi anni, diverrà un operatore poco interessante nel panorama del nuovo assetto dei media.

La valenza pubblica dei contenuti è già oggi marginale e di più lo diventerà, e questo non contrasta con l’apprezzamento complessivo che il pubblico manifesta per la sua produzione “di mercato”. Ma l’azienda non ha risposto agli stimoli di mercato sul piano dell’efficienza e con ogni probabilità non potrà competere con aziende che si muovono con decisione e rapidità nel riassetto in corso tra telecom, internet provider e produttori di contenuti, tutte aziende internazionali che si stanno consolidando a livello europeo e che sempre meno saranno disposte a tollerare il privilegio del canone coattivo assicurato alla Rai, a meno che Rai non si autolimiti nelle sue ambizioni.

I cittadini dimostrano una propensione crescente a non pagare il canone, cioè “votano” rimettendo il portafoglio in tasca: tra evasori e morosi sono circa un terzo. L’elettrificazione del canone li costringe a pagare, ma questa scelta rischia di aprire il vaso di Pandora contenente un contenzioso esteso tale da mettere in crisi il canone obbligatorio e di favorire la forza politica che avrà il coraggio di proporne ed attuarne l’abolizione, con ciò che comporta.

Converrebbe pensare alla sua privatizzazione prima che la Rai perda ulteriormente valore presso gli investitori e presso gli utenti che ancor oggi ne apprezzano il prodotto.

 

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