14
Nov
2018

Il gender gap nella gig economy

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Giovanni S. Di Frisco

Due tematiche molto attuali sono la “gig economy” e il “gender gap”. Nello studio effettuato dagli economisti del National Bureau of Economic Research (NBER), “The Gender Earnings Gap in the Gig Economy: Evidence from over a Million Rideshare Drivers” (C. Cook, R.Diamond, J. Hall, J.A. List and P. Oyer, 2018), i due fenomeni si incrociano offrendoci un interessante spaccato di quello che effettivamente sta succedendo in questo settore con riferimento alle differenze salariali tra uomini e donne.

Essendo per natura la “gig economy” flessibile e isolata da dinamiche di tipo “azienda/dipendente” o “cliente/fornitore” che possano portare a discriminazioni sessuali, razziali o di altro tipo, molti commentatori avevano pronosticato che in questo settore la differenza salariale tra uomini e donne sarebbe completamente scomparsa. Invece, come questo studio dimostra, le differenze possono rimanere e in questo caso il gender gap orario è del 7%.

Negli ultimi anni la letteratura economica stima che le differenze salariali tra uomini e donne a parità di mansione si sono quasi azzerate e che le rimanenze sono spiegabili in gran parte dal numero di ore lavorate e dalla continuità lavorativa. Lo studio in questione utilizza come campione più di un milione di uber-drivers (autisti che usano la piattaforma Uber per offrire i propri servizi), e sottolinea come Uber fissi le proprie tariffe usando una formula pubblicamente disponibile e identica per tutti gli utenti. Le tariffe di Uber non sono quindi negoziabili e non ci sono premi per coloro che lavorino più ore a settimana. Gli autori inoltre dimostrano che non esistono discriminazioni rilevanti da parte della domanda, perché in fondo cosa ci importa se il fattorino o autista è peruviano, donna, basso o tifoso del Napoli?!

Tre sono i fattori che lo studio dimostra spieghino completamente il divario salariale.

Il primo fattore è il “Compensating differential” (è un termine usato nell’economia del lavoro per analizzare la relazione tra il tasso di salario e la spiacevolezza, il rischio o altri attributi indesiderabili di un particolare lavoro): i compensi variano prevedibilmente a seconda del luogo e il giorno della settimana (banalmente nel weekend essendoci più domanda i prezzi delle corse salgono, vale lo stesso ragionamento per le zone più affollate) e gli uomini tendono a lavorare in zono più lucrative, soprattutto perché tendono ad abitare più vicini ad esse e sono disposti a prendere o portare passeggeri anche in zone ritenute più pericolose o con locali dove vendono alcolici nelle vicinanze.

Il secondo fattore è il capitale umano: i riders più esperti (più di 2500 corse) guadagnano in media un 14% in più rispetto ai principianti con meno di 100 corse in totale, soprattutto perché sanno come e dove guidare, quali corse accettare e quali rifiutare. In media sono gli uomini ad avere più esperienza con Uber e quindi a sfruttare questo vantaggio.

Il differenziale residuo è dovuto ad un singolo fattore: la velocità di guida. Gli uber-drivers sono pagati in base alla distanza e alla durata del viaggio, ma la perdita dovuta al completamento di un viaggio in tempi più brevi è più che compensata dai guadagni potenziali del fare un viaggio in più.

Questi tre fattori che spiegano il differenziale di guadagno orario sono correlati alle preferenze dei due generi. Il 50% del gender gap tra uber-drivers può essere ricondotto alla velocità da sola, oltre un terzo invece è dovuto all’esperienza accumulata, fattore difficilmente quantificabile in altri contesti ma molto facile da estrapolare usando i dati raccolti dalla piattaforma Uber. Le differenze residuali sono dovute alla scelta degli uomini di lavorare in media più giorni e in zone più profittevoli.

È inoltre interessante notare, come evidenziato nello studio citato, che tre fattori di solito ritenuti favorevoli per gli uomini nel mercato del lavoro in questo caso non giocano nessun ruolo nel determinare la retribuzione oraria: i clienti non discriminano in base al genere, non ci sono guadagni crescenti da lavoro intensivo e le donne non vengono penalizzate economicamente per le loro scelte di orario (poiché le tariffe sono le stesse per ogni utente).

Gli autori dunque concludono che anche nel mondo indifferente al genere, non contrattuale e flessibile della gig economy le diverse scelte fatte dai due generi possono aprire divari tra i rispettivi guadagni orari medi, differenze dovute a preferenze che possiamo riscontrare sia in queste piattaforme digitali che in ambienti più tradizionali come gli studi di avvocati o le testate giornalistiche.

Leave a Reply