16
Nov
2010

Euro debole = illusione occupati

L’Europa è di nuovo piegata su se stessa nel tentativo di evitare la crisi dell’eurodebito. In molti tra coloro che in Italia lavorano per l’export almeno si consolano, all’idea che l’euro si deprezzi riscendendo verso quota 1,3 sul dollaro invece che verso 1,5. In realtà, la gara a deprezzare le valute è la vera guerra in corso tra dollaro e yuan, e l’euro rischia di fare il vaso di coccio tra vasi di ferro. Detto questo, chi qui scrive trova invece apprezzabile che sempre più numerose voci europee si levino polemicamente rilevando che non rende un servizio a nessuno, la FED, artificiosamente deprimendo il corso del dollaro e i rendimenti decennali del debito pubblico americano, con la sua politica eterodossa di acquisiti di titoli sul mercato e cioè attraverso la monetizzazione del debito, come avveniva in Italia prima che via Nazionale e Tesoro divorziasssero, sancendo la piena autonomia della banca centrale dalle tendenze deficiste della politica. La vera risposta a chi consiglia sempre il deprezzamento della moneta per difendere l’occupazione sul mercato domestico sta proprio nell’andamento dell’economia americana.

E’ il nocciolo della politica praticata da Obama e Bernanke, secondo i quali un dollaro debole aiuta a ridurre la disoccupazione USA, che nel suo aggregato ristretto è al 9,6% e in quello allargato, comprendente cioè gli “scoraggiati” a diverso titolo, sale al 16% e oltre. Tuttavia, è un assunto fallace.

Nigel Gault, chief economist al desk americano di Global Insight, ha rielaborato la relazione tra andamento del dollaro e occupati nell’ultimo decennio. Dal 2001, il dollaro ha visto il suo valore deprezzarsi del 31% rispetto a un basket comprendente le cinque maggiori valute nel commercio mondiale. L’export americano negli stessi anni è aumentato del 45%. Ma l’occupazione manifatturiera americana è diminuita negli stessi anni di un terzo, scendendo da 16,4 a 11,7 milioni. Se ci fermiamo all’ultimo trimestre cioè agli effetti sul breve, da giugno a settembre il dollaro è sceso del 10% rispetto alle stesse valute, e l’export americano a settembre è salito dello 0,3%, al livello più alto nell’ultimo biennio. Ma la disoccupazione non diminuisce.

Per almeno due ordini di ragioni. La prima che l’export dei Paesi avanzati verso i Paesi che “tirano”, Cina e Asia innanzitutto, è soprattutto ad alto valore aggiunto, e dunque prodotta laddove macchine, automazione e tecnologie inevitabilmente continueranno a sostituire intensità di lavoro umano. La seconda ragione è che più aumenta l’export in quei Paesi più aumenta il totale di occupati delle imprese esportatrici in quei Paesi stessi: assai più che nei mercato domestici in cui le imprese esportatrici sono radicate. Secondo le cifre elaborate dall’United States Bureau of Economic Analysis il totale dei dipendenti all’estero delle aziende americane esportatrici è più che raddoppiato, negli anni 1998-2008 con l’ingresso della Cina nel WTO, passando da 5 a 10,5 milioni. Occupare dipendenti in Paesi a basso costo del lavoro aiuta a realizzare margini che son più che mai preziosi per investire di più nella qualità di innovazioni, processi e prodotti che vengono “pensati” e sperimentati nei paesi avanzati di provenienza. E più il processo diventa esteso e radicato, meno ovviamente sui bilanci aziendali incide il fattore valutario sulla competitività complessiva delle ragioni di scambio.

E’ esattamente lo stesso fenomeno avvenuto su scala europea per le grandi imprese tedesche delocalizzando nell’Est europeo non appartenente all’euro, a inizio degli anni 2000. Oggi come oggi, per BMW o Mercedes e Audi che hanno triplicato la loro produzione locale in Cina, il fattore cambio dell’euro è praticamente del tutto indifferente rispetto agli enormi margini che realizzano con oltre 500mila vetture di classe elevata vendute su quel mercato nel 2010.

Se tutto ciò è vero per l’economia USA, dove il 65% della crescita viene dalla domanda interna e solo un terzo dall’export, è a maggior ragione vero per noi, dove avviene l’esatto opposto. Chi si augura un euro debole per esportare meglio ha ragione nel breve, basta che sia chiaro che con l’occupazione l’effetto cambio c’entra poco o nulla: per quella serve essere più produttivi, non artifici monetari che nel mondo globalizzato servono più che altro da maschere agli alti debiti pubblici dei governi. Maschere che del resto non reggono più, in America come in Europa.

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7 Responses

  1. maumen

    L’assioma massa monetria, livello occupazionale e tasso d’interesse non regge più.
    Di mese in mese decine di migliaia di posti di lavoro e miliardi di dollari vengono trasferiti in China. Nel 1985 il deficit della bilancia commerciale americana con la China era di 6 milioni di dollari all’anno. Solo in agosto di quest’anno il deficit commerciale americano è stato di oltre 28 miliardi. Per ogni dollaro, che i cinesi spendono per beni o servizi americani, gli stati Uniti ne spendono 3,9 per beni o servizi cinesi.
    Dal 2001 sono state chiuse 42.400 fabbriche americane. In America si vive una deindustrializzazione ma il triste è che questo non viene ritenuto un problema dagli americani. Alla fine del 2009 lavoravano meno di 12 milioni di americani nel settore produttivo. L’ultima volta che nell’industria vi erano meno di 12 milioni di occupati era il 1941.
    1) Sempre notizia di cinque giorni fa, che una agenzia di rating, prima volta nella storia, ha classificato la China con un giudizio superiore a quello degli USA. Mentre le maggiori agenzie fra cui Moody’s, Standard &Poor’s e Fitch Ratings, affidano agli USA ancora una AAA, NIA ritiene che la valutazione corretta da dare all’America sia solo ancora “Junk”. L’unica possibilità che gli USA avranno di mantenere la tripla A sarà se la Federal Reserve monetizzerà i suoi debiti con l’inflazione. Stampare carta moneta è certamente più facile che dichiararsi insolventi. L’inflazione è lo strumento adatto per distruggere il risparmio dei poveri e della classe media e trasferire i loro patrimoni ai ricchi.
    2.I maggiori dirigenti di China, Russia, Germania, Brasile e molti altri paesi del pianeta hanno espresso la loro rabbia in merito al comportamento della Federal Reserve e alla seconda immissione di liquidità nel sistema finanziario. Una serie di paesi, notoriamente esportatori, stanno valutando se i provvedimenti di monetarizzazione de debito non li costringa a svalutare anche le loro valute.
    3.Gli elevati indebitamenti di Spagna Portogallo ed Irlanda preoccupano ulteriormente e si ritiene che l’Euro vivrà nuove turbolenze.
    4.Gli investitori si rifugiano nei metalli preziosi, che rispetto alle monete cartacee danno maggiore tranquillità. Martedì scorso l’oro ha chiuso alla borsa delle materie prime di New York con un nuovo record: 1.409,89 USD per oncia. Mentre l’argento si è attestato a 28,46 USD per oncia, dopo di che ha avuto un aggiustamento al ribasso.
    5.Non solo i metalli preziosi segnano elevati aumenti di prezzo – dalla metà del 2010 qualsiasi altra materia prima ha sfondato ogni record di prezzo e questa situazione si è accelerata quando è stata annunciata questa ulteriore immissione della banca centrale americana. Alcuni analisti ritengono che il mercato delle materie prime segnerà una notevole pressione inflattiva e le conseguenze si estenderanno a tutta l’economia.
    6. Il presidente della banca centrale texana di Dallas ha annunciato che la banca d’emissione nei prossimi 8 mesi monetizzerà il debito pubblico statunitense.
    7.Uno dei massimi dirigenti della Citybank ha pubblicamente ammesso che le maggiori banche centrali, nelle prossime settimane, alleggeriranno le loro riserve valutarie in dollari. Insomma si libereranno del maggior numero possibile di dollari.
    8.Nel corso di quest’anno il Giappone è intervenuto sul mercato dei cambi, provvedimento che la banca del Giappone non faceva dal 2004. Il Giappone ha cercato di prendere fiato immettendo sul mercato 12 miliardi di dollari e questo è stao un primo segnale a livello mondiale.
    9.Anche economie relativamente solide, ora cercano di influenzare l’andamento dei cambi. La Banca centrale Svizzera, ad esempio nel corso dell’anno ha registrato perdite per 15 miliardi di dollari nel tentativo di contrastare l’imprevista crescita del Franco svizzero.
    10. La situazione sembra così senza speranza che il presidente della banca mondiale Robert Zoellick ora propone che si facciano serie considerazioni sulla possibilità di usare l’oro come indicatore per la determinazione dei prezzi di cambio delle valute.

    11. I problemi finanziari degli Stati Uniti d’America sembrano sempre più insormontabili. Secondo Wall Street Journal il governo americano avrà bisogno di 4.200miliaridi di dollari per il 2011 per rimborsare debiti in scadenza. E se altri stati arrivassero alla conclusione che questo gioco è diventato troppo doloroso e con ciò smettessero di continuare a finanziare il governo americano a questo punto si porrebbe la domanda da dove viene tutto questo denaro? La FED interverrebbe per monetizzare la somma mancante?

    scusate la lunghezza del mio intervento ma era il minimo dei dati che potessi fornire. Le conclusioni tiratele voi c’è solo da sperare che la ente non perda il sangue freddo.

    mauro meneghini

  2. maumen

    ultima cosa:

    Il fatto è che il sistema finanziario americano sta mostrando tutte le sue crepe e tutte le sue debolezze. L’America, semplicemente, non può più permettersi incessantemente di avere un deficit commerciale di 500 miliarid di dollari e contemporaneamente un deficit statale di oltre 1.000.000 di miliardi. Non vi è più alcun spazio di manovra per poter aggirare questi due deficit gemelli anche in futuro.

    Se la banca d’emissione americana ritiene che può risolvere questo problema semplicemente stampando denaro e mettendolo sul tavolo, commette un gravissimo errore. Cosa succederebbe, semplice, sarebbe di fronte ad una perdita di credibilità da parte degli altri stati nei confronti del dollaro americano e dei titoli statali.

  3. Come al solito Giannino colpisce nel segno.
    Dobbiamo renderci conto che invocare lo sviluppo della ricerca e dell’high tech. per risollevare il Paese, cosa per altro sacrosanta, e quindi sviluppare maggiormente le produzioni altamente tecnologiche non ci permettera’ di recuperare i posti di lavoro manifatturiero a basso valore aggiunto persi e che ancora perderemo nel prossimo futuro. Quindi sveglia giovani, imparate l’inglese ed il cinese e iscrivetevi a facolta’ come ingegneria, fisica, ecc. oppure diventate falegnami, elettricisti, idraulici, ecc. ma, per carita’ non state fermi ad aspettare che qualcuno risolva magicamente i vostri problemi
    http://www.segesufossetremonti.blogspot.com
    http://www.electricgeniuses.blogspot.com
    Grazie
    Anton

  4. Luigi

    Sono d’accordo sull’analisi del dott. Giannino, sul fatto che agire sul tasso di cambio non influenzi i tassi d’occupazione.
    Tuttavia, penso che un dato di fatto sia innegabile, Obama ha ragione quando dice che un’economia americana in salute serve a tutti.
    In questo caso voglio fare un’analisi molto parziale.
    Io esporto prodotti italiani in America. L’aumento della disoccupazione e il calo della domanda statunitense danneggia i miei affari, perché gli americani spendono meno e io esporto meno. L’andamento del cambio incide, certo, ma quando è così volatile (in pochi giorni si passa da 1.38 a 1.42 a 1.35) non si hanno delle ripercussioni immediate sui prezzi al consumo. Io preferisco un euro debole, per ovvie ragioni, ma poi pagheremmo di più il petrolio e altre merci quotate in dollari, quindi alla fine le cose si bilanciano.
    Detto questo. La FED agisce come può. Obama non può o non vuole fare una politica di spesa pubblica keynesiana, e su questo blog sono tutti d’accordo. Ma allora che si deve fare? Come riparte l’occupazione? Come ripartono i consumi?
    Diciamo che bisogna fare più tagli e fare politiche recessive, va bene. Rigore rigore rigore. Ma poi non ci lamentiamo se l’economia non cresce. Siamo disposti ad affrontare una fase depressiva che duri ancora degli anni?
    Io mi adeguerò, ma chi non si può adeguare? Come fa?

  5. @ Luigi

    “Detto questo. La FED agisce come può. Obama non può o non vuole fare una politica di spesa pubblica keynesiana, e su questo blog sono tutti d’accordo. Ma allora che si deve fare? Come riparte l’occupazione? Come ripartono i consumi?”

    Scusa Luigi ma mi pare che la FED fa di tutto per provocare un default degli Usa e che Obama sino ad oggi ha fatto attivamente e volutamente una politica di spesa pubblica folle di tipo keynesiano.
    In questo blog dicono l’esatto contrario di quanto tu keynesianamente proponi.
    L’economia già oggi non cresce nonostante migliaia di miliardi di euro e di dollari spesi in questi due anni per i bailout finanziari.
    L’occupazione riparte lasciando al libero mercato e agli individui il denaro in tasca riducendo fortemente le spese pubbliche, le tasse e dando libertà d’azione imprenditoriale ai privati.
    Sennò la fase depressiva durerà sino alla bancarotta del sistema keynesiano welfarista.
    Saluti LucaF.

  6. Luigi

    @LucaF
    Lo so che su questo blog si contrasta la politica keinesiana, ma non è che non si possa esprimere un parere contrario, pur apprezzando le discussioni di questo blog.
    Non è che io sia un grande sostenitore della spesa in deficit, ma sinceramente non mi ricordo un caso in cui un paese in forte crisi di crescita si sia ripreso in tempi brevi grazie a politiche di tagli della spesa pubblica. Forse nel medio-lungo termine, ma nel breve no.

    Tu scrivi “mi pare che la FED fa di tutto per provocare un default degli Usa “. Mi sembra del tutto impossibile. Se dovesse avvenire. Ciao ciao bambina…
    Poi “Obama sino ad oggi ha fatto attivamente e volutamente una politica di spesa pubblica folle di tipo keynesiano”. Non mi risulta. Forse hai dati diversi dai miei.

    “L’economia già oggi non cresce nonostante migliaia di miliardi di euro e di dollari spesi in questi due anni per i bailout finanziari”.
    Eccoci qua. Dal mio punto di vista, il bailout finanziario difficilmente farà aumentare la crescita. Ovviamente, se un istituto finanziario è pieno di debiti e tu lo salvi, lui sviluppa il famoso “moral hazard” ed è ancora più avventato di prima negli investimenti.
    Se poi con quella liquidità, piuttosto che prestarla alle imprese per dei progetti imprenditoriali, investe in una nuova bolla speculativa, siamo tutti d’accordo che si innesca un ciclo drammatico.
    Però, era veramente possibile non salvare questi istituti di credito? Non si rischava un’apocalisse finanziaria? Una fuga generalizzata dalle banche? E allora, almeno, non è meglio regolamentare meglio questi istituti, per evitare che con i nostri soldi facciano quello che gli pare?

    Io non propongo di spendere in deficit senza limiti, tuttavia credo che una spesa pubblica oculata e produttiva, in tempo di crisi, aiuti l’economia a ripartire, di più e meglio di avere soldi in mano ai privati, che a parità di condizioni investono in asia, perché l’investimento rende di più.
    Va da sé che in Italia sarebbe una follia. Visto che stiamo ancora buttando soldi nella Napoli-Salerno e nella Salerno-Reggio Calabria senza vedere risultati. In Germania è un discorso che funziona già meglio.
    Insomma avere degli atteggiamenti ideologici pro-spesa, contro-spesa, è fuorviante e poco utile.
    Meglio ragionare caso per caso

  7. marco

    Ormai queste schermaglie si erano risolte in epoca craxiana, quando i sedicenti imprenditori avevano lentamente capito (i piu grandicelli ed educati) che materie prime e trasporti costavano subito di piu, poi che in casa il mercato si deprimeva e diventavano piu forti i loro concorrenti europei piu grossi per cui le economie di scala vincevano sul basso costo della manodopera.
    Dopo 22 anni tornarci ancora su non e un indice da poco, penso che ognuno se lo debba analizzare in privato e digerire coraggiosamente , magari con un robusto Fernet!

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