15
Ott
2010

“Pampers” for Bankers

Dopo il Frank Dodd Act che regolamenta ulteriormente l’attività finanziaria negli Usa, è stato raggiunto a Basilea un accordo (noto come Basilea III) per il rafforzamento dei ratio patrimoniali delle banche ed una maggiore stabilizzazione del sistema finanziario. Ma è proprio necessario tutto questo? Non “tutto questo” processo di ricapitalizzazione e deleveraging, ma bensì “tutto questo” processo di regolamentazione e incremento della supervisione. Verrebbe naturale rispondere di sì, vista la crisi finanziaria, i suoi eccessi, i necessari (sic!) bail-out e lo stato ancora un po’ comatoso del sistema. Ed indubbiamente vi sono delle ottime ragioni per supportare le politiche di patrimonializzazione messe in atto da parte delle istituzioni finanziarie.

Ma, astraendosi dal “contingente”, e adottando una prospettiva storica più ampia, siamo proprio sicuri che la soluzione ai problemi del mercato del credito e della finanza consista nel produrre ogni volta “y” tonnellate di nuove regole di fronte ad ogni crisi? Ponendo la domanda in termini più brutali: ma perché i banchieri si fanno ancora la pipì addosso? Perché un settore che attira così tante competenze non è ancora riuscito a raggiungere uno straccio di ordine spontaneo o dei meccanismi tendenzialmente self regulating che non richiedano sistematiche socializzazioni delle perdite ogni volta che la vescica (pardon, la bolla) esplode? Perché c’è bisogno di un pannolone centrale, di un lender of last resort che assorba tutte le falle possibili ed immaginabili?

Ovviamente non è possibile in questa sede dare delle risposte esaustive, condivise e al tempo stesso coincise. Ciò che possiamo fare è mettere sul piatto qualche “hint”, qualche pulce nell’orecchio o al più qualche incipit verso una migliore comprensione. L’industria manifatturiera, i servizi ed il terziario avanzato, in regime di libero mercato e libera concorrenza riescono a produrre ordini socioeconomici che si adattano ad una realtà sottostante in continuo mutamento. Ovviamente le soluzioni sono sempre perfettibili e raramente indolori. Il processo è una evoluzione continua. È una caratteristica della specie homo sapiens procedere a continui adattamenti, che la psicologia evolutiva divide in ontogenetici e filogenetici. Quindi, partendo dal presupposto che, nonostante le apparenze, anche i banchieri (centrali e non) siano esseri umani come tutti noi, dobbiamo identificare quantomeno degli elementi, delle frizioni, dei fattori normativi o istituzionali che permettano di comprendere l’idiosincrasia che le istituzioni finanziarie spesso mostrano verso le forze spontaneamente tendenti a contrastare gli squilibri. Forze che caratterizzano qualsiasi processo di mercato.

La gestione del credito e della moneta presenta alcuni tratti distintivi: (i) la produzione della moneta è monopolizzata, (ii) la gestione dell’attività creditizia è centralizzata. Il primo aspetto è foriero di sistematiche inefficienze: è una regola che vale per tutti i monopoli ope legis e certamente le fiat monies statali imposte su base nazionale (che non sono proprio un free market outcome) non fanno eccezione a questo. Il secondo punto riguarda la discrasia che si viene a creare tra una gestione del credito centralizzata (a monte) che si scontra con una moltitudine di individui che prendono decisioni decentralizzate (a valle): questo genera in modo sistematico problemi di coordinamento di proporzioni non indifferenti – salvo ritenere valida una assunzione di aspettative razionali così rigide da permettere agli individui di neutralizzare gli effetti reali di qualsiasi decisione di policy (ma come scriveva il buon Hayek: “non si risolve nulla assumendo che tutti sappiano tutto”). Tale dicotomia, a dispetto delle buone intenzioni, rischia di venire ulteriormente allargata da Basilea III, con i suoi pillars e con la sua logica del level playing fields. Rischia di rafforzare i persistenti fenomeni di moral hazard di cui è già intriso il sistema per il semplice fatto che, delegando e commissionando l’attività di controllo ad agenzie ed enti di supervisione (Banche Centrali, comitati, etc.), si mette in atto un meccanismo in forza del quale l’attività di monitoraggio ed i costi ad essa connessi tendono ad esternalizzarsi sui regulators (i quali poi finiscono per essere catturati dai regolati).

Purtroppo attualmente non si scorgono all’orizzonte politiche di maggior liberalizzazione dell’attività bancaria, di riduzione delle reti di protezione (che producono continue socializzazioni di costi e rischi) o di decentralizzazioni dei processi decisionali connessi alla gestione della moneta. Finché non si capirà che la direzione da prendere è quella di creare un framework che favorisca una competizione non sussidiata, in cui banchieri ed imprenditori della moneta vengano indotti ad internalizzare gli effetti delle proprie azioni, si verificheranno sempre delle criticità di dimensioni ragguardevoli, le quali finiranno per essere scaricate sui contribuenti tramite un prestatore di ultima istanza, l’agente monetario dello Stato: il “grande pannolone centrale” che espandendo il bilancio assorbe tutto e non rilascia nulla.

“Pampers” for Bankers.

PS: sarebbe più corretto tradurre “pannolino” con nappy, ma il prodotto della P&G nell’immaginario popolare ne è diventato praticamente un sinonimo – e soprattutto fa rima.

2 Responses

  1. Riccardo

    credo sia nella natura intrinseca della attività finanziaria, come dimostra la sua continua storia di crisi e salvataggi che dura da secoli,la necessità di un pannolone: se non lo si mette prima, ci sarà sempre bisogno di metterlo dopo.
    Nessuno finora ha mai voluto, o avuto il coraggio,di aspettare di vedere la fine/fallimento delle istituzioni finanziarie in essere:un motivo ci sarà!

  2. Caber

    Non è una cosa che si ripete “da secoli” ma da un secolo (uno solo, scarso oltretutto).
    oltretutto questo modo di fare non ha portato a nessun passo avanti significativo…

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