20
Nov
2009

Equity swap Fiat, le date non tornano, a Torino mentono

Il processo per aggiotaggio informativo sull’equity swap con cui Ifil rimase nel 20o5 in controllo della Fiat, invece delle banche che avrebbero convertito in azioni il prestito da 3 miliardi concordato anni prima, ma mentendo al mercato e alla Consob in due comunicati del luglio e dell’agosto 2005, nei quali il socio di controllo dell’azienda torinese negava di essere al corrente di alcuna manovra sul titolo, è nella fase “calda” delle testimonianze più rilevanti. Ad essere accusati sono Gabetti, Grande Stevens e Virgilio Marrone, davanti alla prima sezione del Tribunale di Torino. John Elkann stamane ha sostenuto di aver sentito parlare dell’equity swap solo nella riunione di famiglia del 14 settembre, e mai prima di allora. Che vi fosse un piano di Lehman o altri per scalare la Fiat, è circostanza alla quale gli accusati continuano ad alludere, ma senza poter produrre alcuna evidenza. In ogni caso, il punto non è affatto che qualcuno davvero ci pensasse, visto che i titoli quotati e i mercati finanziari esistono apposta. Né tanto meno la questione è che pur di difender l’italianità della Fiat si dovesse mentire: oltretutto, se le banche fossero divenute prime azioniste, sarebbero state comunque italiane. Né ancora che Marchionne se ne sarebbe andato, se il socio di controllo non fossero stati più gli eredi Agnelli, come il capoazienda miracoloso ha generosamente testimoniato stamane.

Il punto è solo uno: che la Exor sottoscrisse con Merrill Lynch  un contratto per l’equity swap 5 mesi prima, il 26 aprile del 2005, per il rastrellamento di 90 milioni di azioni. Il prezzo sui mercati saliva anche per quello. I vertici di Exor ed Ifil sapevano che quell’incarico era stato da essi stessi affidato alla banca d’affari americana, e per due volte hanno negato di sapere alcunché, sostenendo nei mesi successivi di non sapersi spiegare per quali circostanze il titolo salisse. Il pm Giancarlo Avenati Bassi e il presidente della prima sezione, Giuseppe Casalbore, continuano  giustamente a picchiare su questa incongruità di date. Fanno bene e mi auguro una decisione conseguente. Quando si è quotati alla Consob non si mente, e la regola deve valere per tutti. A maggior ragione se lo si fa per perpetuare il controllo dell’azienda italiana più sostenuta da banche e contribuente nella storia d’Italia. Che il giudice non esiti, come non ha esitato la Consob. Perché le regole, che valgono per tutti, quando si è in alto devono valere due volte e non mezza.

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2 Responses

  1. luigi zoppoli

    Parole sante! Di questi tempi l’invito a rispetare le regole senza stravolgerle è più che mai appropriato.

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