7
Ago
2014

Dove vola Etihad? Il lungo raggio (verde) di Alitalia

Su Alitalia vi sarebbe molto da (ri)dire. Sia sul passato remoto della vecchia azienda a totale controllo pubblico, sia sul passato prossimo della nuova Alitalia (ma ormai anch’essa vecchia) dei capitani coraggiosi, gli imprenditori di Stato che subentrarono allo Stato imprenditore. Tuttavia, essendo tutto quel che c’era da dire già stato detto a suo tempo non vi è la necessità di ripeterlo. Che il piano Fenice non avrebbe retto alla prova del mercato lo avevo scritto, ancora prima che ne fossero noti i dettagli e che venisse assemblata la cordata degli azionisti ‘privati’, in un pezzo per il Sussidiario.net del 5 agosto 2008 e ribadito in numerosi interventi successivi. Da allora la nuova-vecchia Alitalia ha perso più di 1,5 miliardi (al 31 dicembre 2013, non sappiamo ancora della parte trascorsa del 2014).

Anche sulle scelte degli attori privati e dei decisori pubblici adottate nell’ultimo anno vi sarebbero parecchie considerazioni da fare, tuttavia appare più interessante formulare qualche riflessione sulle prospettive future, tenuto conto che ora il testimone passa di fatto a un soggetto economico estero (anche se bisogna salvare le apparenze del controllo italiano al 51% per non svegliare il cane della Commissione U.E.), del tutto differente da quelli visti sinora: è un’impresa di trasporto aereo (finalmente!), è straniera (meno male!) , dispone di abbondanti capitali e di un portafoglio ordini di nuovi aerei più consistente della sua attuale flotta, ha sin qui dimostrato una capacità di crescita impressionante e buone scelte strategiche. Perché dunque si compra (domani) il 49% della nuova-nuova Alitalia?

Non certo per compiacere la politica italiana e neppure perché interessata a incamerare favori e vantaggi, diretti o indiretti, dai governi tricolori. Lo fa in realtà per accedere a un mercato sul quale pensa col tempo di guadagnare. E come è possibile che riesca a guadagnare su un mercato sul quale tutti i suoi predecessori, dal completamento della liberalizzazione europea nel 1997 ad oggi, hanno continuamente perso? La risposta sta nel fatto che il mercato è lo stesso dei predecessori ma il segmento principale su cui intende operare è completamente differente: Etihad è prioritariamente interessata al lungo raggio da e per l’Italia, i capitani coraggiosi lo erano invece al breve-medio raggio domestico ed europeo, dato che non disponevano della flotta idonea al lungo raggio e neppure dei cospicui mezzi finanziari necessari per acquisirla. La strategia del piano Fenice era quella di Maometto e della montagna: se Maometto-Alitalia non può andare al mercato di concorrenza allora sarà il mercato ad andare incontro ad Alitalia rinunciando, via legge ad hoc, alla concorrenza. Abbiamo visto come sia andata a finire …

Diamo allora un’occhiata ai numeri del mercato e alla sua segmentazione. Il peso del lungo raggio rispetto al resto del mercato può essere misurato utilizzando differenti variabili. Tuttavia poiché solo una di esse viene ufficialmente rilevata, il numero dei passeggeri imbarcati, si tende a utilizzare solo quella. Nel 2013 hanno viaggiato sui voli intercontinentali di tutti i vettori che hanno servito l’Italia meno di 16 milioni di passeggeri, all’apparenza un’inezia rispetto agli altri quasi 100 che hanno volato su voli europei o domestici (rispettivamente 71 e 28 milioni). Tuttavia i prezzi pagati dai viaggiatori, e dunque i ricavi dei vettori, sono funzione crescente (anche se la crescita è meno che proporzionale) della lunghezza del viaggio. Un  passeggero intercontinentale vola mediamente per quasi 7 mila km, più di 10 volte rispetto a un passeggero sui cieli domestici e più di 7 volte rispetto a un viaggiatore medio su voli infraeuropei. Se teniamo conto della distanza percorsa il segmento intercontinentale rappresenta più della metà del mercato italiano complessivo del trasporto aereo passeggeri e quasi la metà se lo valutiamo in valore economico, moltiplicando i km volati per ricavi unitari medi (che occorre ovviamente stimare). Etihad è interessata a questa metà del mercato (che è profittevole per i vettori tradizionali, data l’assenza di vettori low cost in parte dovuta alle regole del mercato e in parte al fatto che i vantaggi di costo che hanno sul breve qui svaniscono) ed è interessata all’altra metà solo in funzione della prima: ai voli del corto raggio che portano all’hub i passeggeri che si imbarcano su voli del lungo.

Bisogna poi ricordare che il mercato italiano del lungo raggio è fatto come la luna, dato che ha una faccia stabilmente nascosta: si tratta dei passeggeri intercontinentali che escono dall’Italia (vi entrano) su voli europei e raggiungono (provengono da)  hub di altri vettori (Londra, Parigi, Amsterdam, Francoforte)  che utilizzano per la parte intercontinentale del viaggio. Quanto è grande questa parte nascosta? Quanto vale in termini di ricavi potenziali? Essa è sicuramente aggredibile attraverso un’offerta di qualità di voli diretti dall’Italia a prezzi competitivi. I precedenti proprietari, pubblici e privati, di Alitalia non erano in grado di farlo; Etihad invece può e deve, se vuole guadagnare. Questa è quella che io considero la lepre del cacciatore mediorientale. Se l’analisi è corretta essa implica che le prospettive di successo e guadagno di Etihad sono legate strettamente alla crescita del mercato sul suo segmento meno sviluppato (all’altra vi hanno pensato e continuano a farlo i low cost), la quale implica evidenti effetti positivi su diversi segmenti del nostro sistema economico. Il lungo raggio di Alitalia può essere verde (rispetto al colore sin qui predominante).

 

 

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3 Responses

  1. sempre molto acuto il prof. Arrigo. Grazie. Mi chiedo, a questo punto: a quanto ammonterà il costo dei famosi esuberi, e a chi resterà sul gobbo?… E a chi resteranno in capo le scelte manageriali, se Eithad ha il 49%?…

  2. Francesco

    Articolo ridicolo. Un fondo sovrano nelle mani di un monarca si compra, attraverso il suo ramo aviation, il 49% di Alitalia e voi applaudite alla meravigliosa operazione di mercato. Ma come, non è lo stato il vostro nemico? Forse solo lo stato italiano? Vi sta bene questa forma di capitalismo? Pensate che Etihad stia investendo risorse proprie guadagnate con la propria efficienza?
    Per chi la sa leggere, e voi dite senza modestia di saperlo fare, dovrebbe essere chiaro che l’operazione di Etihad si risolve nell’acquisto da parte della compagnia araba del controllo dei flussi in origine e destinazione del mercato italiano via Abu Dhabi. L’investimento su Alitalia non è tanto sull’attività di trasporto in sè, quanto sugli asset (loyalty e slot di Londra), essenziali per il raggiungimento degli obiettivi strategici di Etihad a lungo termine. Il piano prevede uno sviluppo modestissimo dell’attività di Alitalia peraltro su destinazioni (San Francisco e Pechino su tutte) la cui redditività, a parità di tecnologia (come previsto dal piano) è negativa praticamente in ogni scenario con costo del petrolio ai livelli attuali.
    Dovrebbe anche essere chiaro, anche solo analizzando l’esperienza di Air Berlin, che la redditività delle affiliate non è affatto una preoccupazione per Etihad. Sono tre anni che Air Berlin è gestita da management espresso da Etihad e la compagnia è ad un passo dalla bancarotta. È una delle pochissime compagnie aeree europee a perdere soldi, insieme ad Alitalia (con in più l’aggravante di operare sul mercato tedesco, molto diverso da quello italiano).
    Insomma, Etihad compra Alitalia non perchè pensa di guadagnare con Alitalia ma perchè pensa di guadagnare con Etihad grazie all’accesso al mercato italiano.
    Alla fine della vicenda, la privatizzazione si è risolta nella statalizzazione da parte di un altro stato.
    Contenti voi…

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