7
Ago
2014

La malattia degenerativa dello statalismo: il caso dei sussidi ferroviari

Uno dei grandi problemi dell’espansione dello Stato è che crea problemi rispetto ai quali la soluzione sembra sempre e solo essere più Stato. Su LeoniBlog.it, Ivan Beltramba ha scritto un rovente articolo contro le disposizioni contenute nel decreto competitività, che avviano un processo di riduzione degli sconti sui prezzi elettrici per gli operatori ferroviari.

Si tratta di una misura che va parzialmente incontro a quanto l’Istituto Bruno Leoni chiede da tempo: per le ragioni illustrate da Beltramba, dal 1963 le Ferrovie dello Stato (e poi, con la sommaria liberalizzazione, anche gli operatori privati del settore) godono di una riduzione sui prezzi dell’elettricità, finanziata da tutti i consumatori (non dai produttori, come viene erroneamente sostenuto nel pezzo) attraverso una specifica componente tariffaria (A2) il cui gettito è stimabile attorno ai 400 milioni di euro / anno. Questa forma di sussidio incrociato è doppiamente inefficiente: in primo luogo perché è iniqua dal punto di vista distributivo (se proprio si ritiene che il trasporto ferroviario debba godere di un trasferimento di quelle dimensioni, non c’è ragione di imputarlo al consumatore elettrico, che già paga prezzi tra i più alti d’Europa, e non alla fiscalità generale). Inoltre gli effetti di questo balzello sono probabilmente regressivi. Secondariamente si tratta di una mancanza di trasparenza, perché di fatto questo sconto non viene conteggiato tra i trasferimenti ai trasporti ferroviari e quindi determina una sistematica sottostima del volume di risorse che ogni anno gli italiani versano nelle casse dei ferrovieri.

Il DL91 non abolisce la componente A2, ma ne limita l’ambito di applicazione al solo servizio universale: come dire, nella misura in cui gli operatori ferroviari svolgono un servizio pubblico (in particolare il trasporto pendolari) è in qualche modo accettabile che essi gravino sul consumatore elettrico. Ma quando offrono servizi a mercato, questa agevolazione non ha ragione di esistere. In fase di conversione del decreto, la Camera ha ridotto la portata del provvedimento, mantenendo gli sconti per il trasporto merci.

Si tratta dunque di un piccolo passo nella giusta direzione, che è quella di limitare i trasferimenti di denaro da una tasca a quell’altra. Naturalmente restano molti altri problemi da risolvere, sia in ambito ferroviario (la separazione della rete, l’enforcement della disciplina della concorrenza, ecc.) sia in altri campi (i vari sussidi all’autotrasporto che lo stesso Beltramba ricorda). Ma è davvero ironico difendere un sussidio in virtù dell’esistenza di un altro sussidio: questa logica è uno scudo impenetrabile a difesa dello status quo. Se si vuole davvero iniziare a ridurre la dimensione dello Stato e il suo ruolo nell’allocare le risorse dei privati, da qualche parte bisogna pur cominciare. Questa volta il governo ha iniziato da qui.

 

1 Response

  1. ivan b

    EVVIVA SONO STATALISTA!!
    In passato sono stato etichettato in vario modo più o meno offensivo: da nemico delle ferrovie a pericoloso liberista, passando per fondamentalista verde e guastatore.
    Statalista ancora no. Ma c’è sempre una prima volta.
    Nel caso degli “sconti” (sussidi sono un’altra cosa per me) sulla corrente per RFI, che non ci lucra ma ribalta tal quali su tutti gli operatori ferroviari, ho cercato di spiegarne l’origine e il perché abolirli IL MODO IN CUI il DL 91/2014 li vuole ridurre è ingiusto oltre che pericoloso. Così come strutturato porterà alla chiusura dell’operatore privato dell’Alta Velocità (che ha altri gravi problemi suoi, a cominciare da marketing e strategie) mentre l’incumbent troverà il modo di “travasare” quei costi verso altri segmenti di mercato “a contributo” come già fatto in passato con altri escamotage. Cioè sul contribuente.
    Quindi se RFI non risente della riduzione degli sconti, ma ribalta i costi sulle Imprese Ferroviarie (private!) senza rimetterci niente, si comporta da statalista. O no?
    Mi sembra, ma forse non sono riuscito a spiegarmi bene, che se RFI (che lo ricordo, è un monopolista ancora senza Authority di controllo e concessionario in-house individuato senza gara) e gli utilizzatori della Infrastruttura Ferroviaria Nazionale spreconi di corrente godono di sconti ingiustificati bisogna fare in modo che possano scegliersi il fornitore, come in Germania: a DB Energie va solo una quota per dispacciamento e conversione. Perché attualmente le Imprese Ferroviarie italiane sono legate mani e piedi.
    Altra via (anche parallela alla sopraindicata) è quella di non ribaltare sulle IF l’eliminazione degli sconti, di restituire a RFI le centrali confiscate nel 1963 e che si impegni a cercare elettricità a buon prezzo.
    Ha poco significato dire che “nessun impianto ceduto, dopo 50 anni, si può considerare avere un valore residuo” perché una grossa centrale idroelettrica messa sul mercato oggi spunta un ottimo prezzo, anche se di anni ne ha 100.
    Il valore residuo nullo lo ha un bene che si usura. In una centrale idroelettrica cosa si usura? I cuscinetti delle turbine e degli alternatori, qualche valvola sulla condotta forzata e le paratoie della diga. E poi: le lampade di illuminazione, il canale e le sue griglie, i motori dei sezionatori di linea, i ventilatori dei trasformatori e qualche interruttore di sicurezza, le apparecchiature per il telecomando; TOTALE: forse lo 0,001% del costo di costruzione ogni anno.
    E poi potremmo parlare del trattamento di sfavore sull’allacciamento: RFI e gli altri Gestori (FER, LENord, etc) non sono considerati distributori (in realtà SONO distributori) ma utilizzatori finali, per ogni allacciamento Alta Tensione (da 50kV in su) per Sottostazione Elettrica si parte da 1,5 milioni. E un allacciamento in MT (fino a 25 kV) sulla rete urbana rischia di introdurre gravi squilibri, dato che una SSE succhia anche 5 MW.
    Come se i treni, contrariamente ad auto, camion, aerei e autobus non avessero già a bilancio anche tutte le loro esternalità.
    L’automobilista se non vuole la benzina cambia automobile e ne prende una a gasolio, GPL, metano. Ed elettrica con aiuto del contribuente.
    I treni non possono scegliere. Altrimenti tornano a carbone, a qualcuno piacerà, ma per tutti i giorni lo vedo male.
    A questo punto che paghino tutti i treni: sarebbero circa 5 centesimi di Euro/km, però non sembra una soluzione intelligente.
    Per i comuni mortali 120 milioni quanto fa? 10 Euro di più all’anno a testa? Io li do volentieri per avere i treni elettrici ED IN CONCORRENZA.
    120 milioni sono il 30% dei 400 milioni annui di sconto. Accise: 30% di 5,7 Miliardi fa 1,7. Mi aspetto dal Governo entro settembre un Decreto Legge che tagli i sussidi sulle accise (questi sì che sono sussidi a carico dei contribuenti) almeno di 1,7 Miliardi/anno.
    In caso contrario intravvedo abbondante malafede, il tanto deprecato atteggiamento italiano da “debole con i forti e forte con i deboli”.
    La competitività nei trasporti non si fa solo con le teorie economiche e guardando i totali, bisogna vedere come è costruito un business e quanti trabocchetti deve scansare.
    La risposta di Belardinelli è una non-risposta perché non spiega dove sia il vantaggio per i cittadini eliminare il concorrente AV. Ma sembra dire: “Stavolta è toccato ai treni, sfiga. E siccome IO sono liberista, TU Beltramba sei statalista e rovente”.
    Sinceramente mi dispiace se qualcuno si è sbruciacchiato, volevo solo essere ironico.
    Però statalista no. I miei interventi qui e su altri siti parlano per me.
    Diversamente liberista sì, statalista no.
    ERRATA CORRIGE: nel mio articolo è venuto scritto 162/3 Hz, leggasi 16 e 2/3 (due terzi)

Leave a Reply