23
Apr
2015

Divorzio breve? Benissimo, ma ora rivediamo le pensioni di reversibilità ai coniugi superstiti

E’ una riforma epocale, quella del divorzio varata ieri dal parlamento. Dopo decenni di dibattito vano, l’Italia si avvicina alla media europea, e fissa in soli sei mesi la separazione in caso di separazione consensuale tra coniugi. E in 12 mesi, a partire dal giorno di comparsa davanti al giudice, la separazione nel caso giudiziale, quando cioè vi sia un conflitto aperto sulle condizioni relative al patrimonio, reddito  o alla prole. Esistono paesi come la Francia dove, nel caso di divorzio consensuale, non è prevista alcuna separazione. Idem nel regno Unito, se il giudice valuta che vi siano conflittualità tali da creare rischi nel periodo di separazione. In Svezia, per divorziare basta recarsi in Comune e dichiarare finito il matrimonio. E in Danimarca si può procedere tramite firma elettronica, senza dover neanche reincontrare il proprio partner.

La scelta del parlamento non può che piacere a chi ritiene che la legge debba rispettare la libera volontà dei cittadini, e non coartarla quando l’opinione è mutata rispetto a un vincolo coniugale. Ma, detto questo, cerchiamo anche di capire quali conseguenze discenderanno, da una scelta che fotografa la minor importanza della solidità familiare, determinatasi in realtà da lungo tempo nella secolarizzazione del costume e delle credenze nel nostro Paese.

Come prima cosa, l’esperienza di tutti i paesi che hanno prima di noi fatto analoghe scelte, vedi la Spagna sotto Zapatero nel 2005, ha portato non solo a un aumento dei divorzi. Quel che più conta è che, differenziando come da noi la consensuale da quella conflittuale, ha portato a un innalzamento delle separazioni conflittuali davanti al giudice, dal 35% precedente la riforma a oltre il 40%. Qui sorge un primo problema. La realtà dei tempi della giustizia italiana vieta di credere che i 12 mesi di separazione previsti da oggi per la separazione conflittuale saranno davvero rispettati. Non è così. Il procedimento dura in media oggi 36 mesi, e anche oltre 4 anni per chi arriva alla Cassazione. Senza sezioni specializzate in diritto di famiglia, i tempi resteranno quelli, riforma o non riforma. Davanti ai sei soli mesi di separazione previsti dalla consensuale, potrebbe essere forte – a differenza che in Spagna – l’incentivo a scegliere il percorso breve: ma a danno del coniuge “debole” nella coppia, a quel punto meno tutelato dal giudice per la determinazione dell’assegno di mantenimento o per l’affidamento della prole. Non è affatto detto, come un tempo, che il coniuge “debole” sia per definizione la donna: sono oltre 800mila ormai i padri separati in enorme difficoltà economica per versare l’assegno determinato dal giudice, e senza affidamento della prole anche in enorme difficoltà nel rapporto coi propri figli.

Secondo problema: se la famiglia è istituzione più debole per l’ordinamento, allora vanno modificati i criteri che ne traducevano la centralità e stabilità precedente in concreti diritti patrimoniali e reddituali. Per quanto riguarda l’entità dell’assegno divorzile, di fatto sta già avvenendo non per legge ma nella giurisprudenza. Fatta 100 la media rispetto al reddito precedente dei primi anni di giurisprudenza nel determinare l’assegno, siamo ormai scesi verso quota 50, 40 e talvolta anche 30 . Ma certo, con un matrimonio più facilmente solubile, anche la pretesa temporale all’assegno di mantenimento si dovrebbe affievolire.

Terzo problema: di sicuro invece dovrebbero essere modificate le nome sulle pensioni di reversibilità ai superstiti, che nel 2013 sono state incassate da 4 milioni 813mila soggetti per l’ammontare di 40 miliardi. (vedi tabella a pag. 52 del Rapporto sul sistema previdenziale presentato la settimana scorsa, il pdf integrale si scarica qui) A oggi, al trattamento di reversibilità è ammesso il congiunto di un familiare scomparso che abbia maturato 15 anni di contributi o anche solo cinque anni, almeno tre dei quali, però, nel quinquennio precedente la data della morte. E anche se lo scomparso era titolare di un assegno di invalidità. E, in percentuali diverse, la pensione di reversibilità è ammessa per il coniuge, in sua mancanza a figli e nipoti, e via via, a determinate condizioni, anche ai genitori in vita del defunto. Per il coniuge, il trattamento va oggi anche al superstite separato, se riceveva l’assegno alimentare. E a quello divorziato, se riscuoteva l’assegno divorzile e non si è risposato. Se si era risposato il defunto, la reversibilità si divide tra secondo coniuge dello scomparso e precedente coniuge non risposato. E se vi risposate dopo aver incassato la reversibilità, allora perderete il diritto ma in cambio di un assegno finale una tantum pari a due anni di trattamento.

In un paese dove l’INPS sta in piedi grazie a 90 miliardi di trasferimenti a carico della fiscalità generale, dovrebbero essere riviste tutte queste regole relative alla reversibilità pensionistica tra coniugi, o almeno le percentuali degli assegni se non i diritti a incassarli (che andrebbero riregolati secondo clausole temporali e di reddito nel frattempo raggiunto, e di età a cui l’assegno si incassa rispetto all’aspettativa di vita per limitare l’ormai famoso fenomeno delle badanti che sposano gli 80enni..). Non si può credere di definire la famiglia meno vincolante nel suo legame per legge, ma al contempo farne discendere diritti patrimoniali uguali a quando non era possibile divorziare in pochi mesi. Se chi si sposa lo fa sapendo di contrarre un vincolo più labile, pure i diritti conseguenti devono diventarlo. Anche se, scommetto, saranno in pochi a pensarla così.

 

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1 Response

  1. Massimo

    Si potrebbe cominciare con lo stabilire che i matrimoni celebrati dall 1.1.2015 in poi (o anche un po’ prima – in Italia la retroattività non è un problema :-)) non danno diritto a pensione di reversibilità.

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