30
Apr
2010

Da vero bastian cuntrari, difendo Chiamparino

Come largamente previsto, stamane Corriere della sera e Stampa si sono incaricati  di sparare a pallettoni sul sindaco di Torino, Sergio Chiamparino. Il Corriere lo accusa di improprie ingerenze politiche in Intesa. La Stampa arriva a dire che non deve più fare il sindaco, che la figuraccia è pessima. Siniscalco –  l’ex candidato di Chiamparino e Benessia alla presidenza del consiglio di gestione di Intesa al posto di Enrico Salza, che a Bazoli e co faceva e fa comodo confermare, come se lo dovessero indicare loro invece degli azionisti torinesi – non è del partito di Chiamparino, non è di nessun partito. Ha fatto più politica nella sua vita Salza, di quanta non ne abbia mai fatto Siniscalco. Dunque l’accusa va tradotta così: sono improprie ingerenze politiche quelli di azionisti che vogliano indicare candidati alla testa delle banche con propria autonomia, invece che allinearsi agli amminisrtratori accucciati che i manager bancari si scelgono da soli. E poiché le banche comandano e la politica balbetta, i giornali dei  quali i manager bancari decidono i direttori – sempre in nome dell’indipendenza dalla politica e da Berlusconi  e dalla Lega, questa è la scusa ovviamente per giustificare il proprio contropotere “etico” a suon di citazioni della Bibbia – massacrano senza pietà  il sindaco che pensa a Torino, invece che a sbattere i tacchi a Bazoli come fa da sempre quasi tutto il suo partito, e chiunque in Italia ne tema la forza.  Non ho la pretesa di convincere nessuno, anche perchè a pensarla così si finisce come dei paria. Capisco che il centrodestra a Torino accusi il sindaco di aver comunque esposto la città a un insuccesso: ognuno fa il suo mestiere, e l’opposizione  a palazzo civico fa il suo. Ma io dico: viva Chiamparino, e la sua ingenua sincerità che lo espone al rogo, perché nelle banche ci sono novelli papi che credono di stare sul Soglio di san Pietro.

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7 Responses

  1. Ugo Arrigo

    Sono pienamente d’accordo con Oscar! Da liberista sono contrario sia allo stato imprenditore che al comune imprenditore e mi piacerebbe se le fondazioni cedessero al mercato le loro partecipazioni bancarie impiegando il ricavato per assumere dallo stato proprietà e gestione di strutture di effettivo interesse per il benessere locale come ospedali, scuole, centri di ricerca. Sintantoché, tuttavia, si ritrovano a essere titolari di funzioni proprietarie in aziende e fondazioni non comprendo perché non dovrebbero esercitarle, lasciando che altri soggetti, meno o per nulla titolati, si sostituiscano a essi. Da quel poco che ho capito Chiamparino e Benessia hanno esercitato funzioni di cui erano titolari; si può essere d’accordo o no sulle loro scelte ma non credo che abbiano usurpato funzioni altrui. Mi pare che invece ci si avvicini a una situazione del genere ogni qual volta un controllato cerchi di controllare il suo controllore (nella terminologia principale-agente che un agente voglia istruire il suo principale sui comandi che desidera ricevere). Tra l’altro mi sembra anche un caso di tipo nuovo: di solito l’agente che vuole svincolare dal suo principale si avvale di informazioni nascoste e azioni nascoste. Ma forse avere un principale che non guarda evita all’agente un sacco di fatiche.

  2. oscar giannino

    Sottolineo che Sergio Chiamparino, nelle interviste rilasciate stamane a Repubblica e altri quotidiani, richiama e abbraccia integralmente la posizione che è di Ugo Arrigo e nostra, la richista cioè che le fondazioni cedano la quota nelle banche attraverso cui esercitano parte essenziale del controllo. Ma, nel frattempo sinché ciò non accada – e a chiederlo siamo assolutamente minoritari, ovviamente – esercitino le loro prerogative senza inchinarsi ai manager bancari autoreferenziali. La stampa italiana è totalmente unita al coro pro Bazoli. Per paradosso che può far riflettere alcuni, forse il più equilibrato oggi è Eugenio Scalfari, che almeno presenta la reazione di Bazoli come integralmente “politica” e nient’affatto come difesa dalla presunta minaccia all’autonomia della banca. La desrcizione di Enrico Salza che si legge sul Corriere, “imprenditore che vive del suo ed eroico combattente contro ogni potere forte”, è un brano antologico degno della miglior letteratura eroicomica, alla Tartarin di Daudet, per intederci!

  3. Luciano Pontiroli

    Qualcosa non mi convince: in linea di principio, si afferma l’opportunità che le fondazioni cedano le quote di controllo, immagino al mercato. Ne dovrebbe seguire una maggiore contendibilità delle banche, certamente auspicabile, e con essa una più robusta indipendenza dalla politica: non certo dai controlli di vigilanza.
    Nella vicenda specifica, una fondazione designa suoi candidati al consiglio di sorveglianza di una banca, auspicando che uno dei due (ma quale?) sia poi nominato presidente del consiglio di gestione; poi il sindaco di Torino appoggia la scelta, lamentando la prevalenza delle altre fondazioni nella designazione dei vertici della banca.
    Però la fondazione torinese – per quanto detenga la partecipazione più elevata – non è in grado di determinare le decisioni dell’assemblea, posto che le altre fondazioni non condividono la sua proposta. Chiamiamo autoreferenzialità il rifiuto della proposta della prima da parte della maggioranza, sia pure relativa? Ma cos’è la pretesa di una sola fondazione di imporre il suo candidato e, a questo fine, di sollecitare il sostegno della politica?
    Non c’è dubbio che Bazoli goda di “buona stampa” oltre i suoi meriti, ma indicarlo come un manager autoreferenziale forse non è appropriato: mi sembra che sia, piuttosto, l’esponente di un gruppo di potere ben radicato territorialmente, oltre che politicamente, alleato con la maggioranza relativa degli azionisti. Ma questo intreccio non deve distogliere l’attenzione da ciò, che le decisioni sono prese da azionisti consapevoli di quello che fanno.

  4. gianpiero

    Concordo totalmente.
    Mi chiedo anche cosa c’entra tutto questo con il mondo reale, sono volutamente ingenuo e francamente mi interessa ben poco chi controlla il MiTo bancario, posto che essendo una banca privata dovrebbe essere esente da condizionamenti politici, anceh se so perfettamente che non è cosi.
    Semplicemente vorrei che la Banca tornasse a fare da motore dello sviluppo, non da collettore di capitali che giacciono nei caveau in attesa di progetti interessanti, parole di Salza. Vorrei vedere aiuti reali per la piccole e medie imprese e non i salvataggi dei carrozzoni di stato falliti da anni, vedi Alitalia. E che senso aveva l’ostilità verso il progetto Fiat, appena prima della fusione con Intesa, peraltro rinfacciata da Passera a Salza che probabilmente si è tolto lo sfizio di mettere in difficoltà gli eredi di chi l’aveva definito bonariamente ed ironimcamnete “il piccolo fiammiferaio diventato banchiere”.
    Il paese non ha bisogno di banche politicizzate, non ha bisogno di banchieri permalosi, non ha bisogno di salvataggi di imprese morte da tempo. Il paese ha bisogno di banche solide, gestite da tecnici e non da politici o politicanti, persone capaci di fare credito a chi ha delle idee buone e non solo garanzie reali da offrire, ha bisogno di capitale di rischio, ha bisogno di innovazione e tecnologia che solo le banche possono finanziare … e invece siamo ancora li, fermi ai giri di valzer dei nomi e delle poltrone. Che tristezza.

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