30
Dic
2016

Consigli di lettura per il 2017 / Parte prima

Anche quest’anno, il team dell’Istituto Bruno Leoni e di LeoniBlog vi propone alcune letture per i prossimi dodici mesi. Saggi per continuare a riflettere, anche nell’anno nuovo, sulla libertà individuale. Ecco i nostri primi dieci consigli di lettura per il 2017:

Phillip Blond, Red Tory. How Left and Right Broke Britain and How We Can Fix It (London, Faber and Faber, 2010, £14.99)
Phillip Blond è stato l’ideologo dietro al progetto “Big Society”, un’agenda di ristrutturazione del welfare britannico in senso ampiamente liberale. Il governo che si fece portavoce di questo progetto era quello di coalizione tra Conservatori e Lib-Dem, guidato da David Cameron. I radicali tagli alla spesa pubblica e la massiccia decentralizzazione del potere decisionale da Whitehall alle “localities” si attuarono nell’ottica di restituire potere agli individui e alle associazioni volontarie. Red Tory è stato il manuale d’istruzioni di quel progetto, rimasto ampiamente incompiuto com’era prevedibile che accadesse. Non solo, Blond offre un’acuta analisi della recente storia britannica (che si riflette in gran parte di quella europea) a giustificazione delle sue proposte radicali. La destra thatcheriana ha ridato valore al mercato come luogo d’incontro tra preferenze individuali, al costo di accentrare il potere di “supervisione” dello Stato. La sinistra blairiana ha esasperato questo nuovo assetto duopolistico tra politica e finanza trasformando il Regno Unito in un “mercato di polizia”. Tocca alla nuova generazione politica, dice Blond, ridare ossigeno al tradizionale liberalismo britannico, fondato su coesione sociale, attivismo famigliare e responsabilità individuale. Phillip Blond è un conservatore genuino e quindi, in un certo senso, un liberale classico. Il fondatore del think-tank londinese Res Publica ci ricorda così che uno degli aspetti più apprezzabili del liberalismo è il suo risvolto etico: sono gli individui, quasi sempre in maniera spontanea, che creano le condizioni per la migliore convivenza possibile e quindi per il loro stesso sviluppo. Conservare il buono per progredire verso il meglio: è questo il suo “red toryism”, discendente della più nobile tradizione disraeliana.
– Tommaso Alberini (Collaboratore IBL), @tomalberini

Richard H. Thaler e Cass R. Sunstein, Nudge. La spinta gentile (Milano, Feltrinelli, 2009 [2008], €16)
Il Nudge – ossia la spinta gentile che dà il titolo al libro – è il metodo mediante cui Sunstein e Thaler reputano che gli individui possano essere posti in grado di decidere in maniera più consapevole e mirata, ovviando cioè a pregiudizi, errori cognitivi e stimoli condizionanti che ne orientano l’agire. Le persone compiono scelte da esseri umani (humans) e non da uomini economici (econs): ciò significa che i loro comportamenti costituiscono spesso reazioni indotte da sollecitazioni del contesto e da fallacie cognitive più che da ragionamenti logici. Il testo contiene un’esaustiva esposizione di quelle maggiormente ricorrenti: il Nudge può fungere quale strumento per rendere i singoli più coscienti e, quindi, indurli a scelte migliori per se stessi e per la collettività, al contempo. La lettura del libro è interessante non solo per conoscere i modi in cui opera il Nudge, ma soprattutto per un profilo che va oltre l’uso dello strumento: è importante per comprendere come i decision maker possano valutare preventivamente i meccanismi mentali che influenzano i soggetti cui le loro decisioni sono rivolte, per non correre il rischio di mancare gli obiettivi prefissati, adottando misure inadeguate. La nudge strategy, a differenza dei tradizionali strumenti fondati sul command and control, non comprime la libertà delle persone al fine di indurle a preferire l’opzione maggiormente desiderabile secondo il giudizio del decisore, ma lascia intatta la loro discrezionalità di compiere scelte “cognitivamente limitate”: per questo ultimo profilo, la “spinta gentile”, cioè non costrittiva, è stata definita quale strumento di “paternalismo libertario”, espressione che molti reputano un ossimoro. Al di là delle diverse opinioni circa l’uso di tale metodo, è indubbia la funzione che il testo di Sunstein e Thaler ha avuto nel conferire rilievo alla necessità di comprendere come gli individui “funzionano” e come rispondono a determinati “pungoli”, di regolazione e non. In un Paese, l’Italia, ove i governanti sono troppo propensi a una iper-produzione normativa e poco preoccupati preventivamente dell’esito che le loro disposizioni potranno produrre, operando spesso interventi che si risolvono in un ingente spreco di pubbliche risorse; e ove i governati non sempre sono consapevoli dei propri meccanismi di comportamento, né sempre dispongono di strumenti per difendersi adeguatamente da eventuali tentativi di manipolazione politica, la lettura del libro suggerito può fornire molti spunti di riflessione.
– Vitalba Azzollini (Collaboratrice Leoni Blog), @vitalbaa

Don Lavoie, Rivalry and Central Planning: The Socialist Calculation Debate Reconsidered (Arlington VA, Mercatus Center at George Mason University, 2015 [1985], $15.95)
Ci sono libri che non invecchiano mai e il libro di Don Lavoie del 1985 è sicuramente uno di questi. In 200 pagine vengono condensati i passaggi principali del dibattito teorico sul calcolo economico, con i sostenitori del mercato da un lato, e quelli della pianificazione dall’altro; in mezzo si trovano i neoclassici, che però faticano a includere il tempo e l’incertezza nei loro modelli. Il processo di scoperta innescato dalla competizione e la conseguente produzione di nuova conoscenza sono noti: in ultima analisi rendono preferibile il sistema di mercato e dei prezzi. D’altronde, la stessa competizione tra le tre diverse scuole di pensiero, come emerge chiaramente dal libro, ha accresciuto la comprensione del tema del calcolo economico più di quanto non abbia fatto alcun singolo contributo.
– Paolo Belardinelli (Research Fellow IBL), @paolobelardinel

Carlo M. Cipolla, Piccole cronache (Bologna, il Mulino, 2010, €10)
A quanto ammontava il debito pubblico nella Firenze del 1303? Quando nacque il costume di garantire un “paracadute” alle banche? E soprattutto: dove si nascondevano i soldi delle tangenti nel Seicento? A queste e altre domande risponde il grande storico dell’economia preindustriale e rinomato esegeta delle leggi della stupidità umana, Carlo Maria Cipolla. Brevi saggi distinti, apparentemente scollegati fra loro, ma uniti – come le perle di una collana – dal filo dello stile bonario e della profonda erudizione dell’autore. Traffici intercontinentali, politiche monetarie imperiali, finanziamenti di grandi imprese belliche. Vicende gigantesche e protagonisti smisurati – si va da Carlo Magno a Colombo, da Felipe II di Spagna al Kaiser -, righe densissime eppur lievi, in cui storia ed economia si intrecciano, narrate come “Piccole cronache”; trame colossali dipinte con la vivida efficacia delle miniature, dei marginalia medievali. Ed è questa la principale ragione per leggere questo smilzo libretto: in un’epoca in cui le star della divulgazione ricorrono inutilmente agli effetti speciali, questo compianto studioso illumina vicende buie di epoche oscure con l’umile ma sicura candela dell’ironia e del buonsenso; e riesce – ve ne accorgerete – a non annoiare mai.
– Francesco Cocco (Collaboratore IBL), @FrancescoCoccoT

Bradley A. Smith, Unfree Speech: The Folly of Campaign Finance Reform (Princeton NJ, Princeton University Press, 2003 [2001], $43.86)
Un libro di quelli che parlano di un tema specifico (il finanziamento della politica), illuminando in realtà temi assai più generali (i confini dell’intervento pubblico, la libertà individuale, i limiti della regolazione). Nominato membro della Federal Election Commission nonostante l’opposizione dei tanti benpensanti d’oltreoceano, Brad Smith, valente giurista in forza alla Capital Law School, compendiò in questo lavoro le sue convinzioni nella materia del finanziamento elettorale, e delle tanto invocate riforme che quei medesimi benpensanti invoca(va)no come un salvifico mantra anche negli Usa. Smith smonta una per una le false credenze diffuse sull’argomento, a cominciare dalla necessità di introdurre nuove restrizioni all’afflusso di denaro nella politica, e con logica implacabile tira fuori un saggio documentatissimo in punta di diritto, ma che è anche un’appassionata e godibilissima difesa della libertà come intesa dalla miglior tradizione americana, senza se e senza ma. Anche là dove implichi il diritto di finanziare senza restrizioni un candidato, in quanto forma di manifestazione del pensiero da proteggere come tutte le altre. Personalmente, è un libro che mi ha cambiato la vita, mostrandomi le cose da un’altra prospettiva, dove finalmente i conti tornavano un po’ di più. Se avete il sospetto che qualche vostro amico (che sappia leggere in inglese e sia un po’ interessato alla politica) sia portatore sano del virus della libertà, questo libro potrebbe essere l’ideale per risvegliarglielo. Astenersi perbenisti e politicamente corretti.
– Riccardo De Caria (Fellow IBL), @riccardodecaria

Ralph Raico, Great Wars, Great Leaders. A Libertarian Rebuttal (Auburn AL, Ludwig von Mises Institute, 2015 [2010], $10)
Scomparso solo poche settimane fa, Ralph Raico è stato uno più acuti interpreti della prospettiva liberale classica in un ambito – quello della storiografia contemporanea – essenzialmente dominato da prospettive “realiste”, che non sembrano lasciare molto spazio ai principi e alle categorie di quanti auspicano una società basata su proprietà e contratto. In Great Wars, Great Leaders (disponibile gratuitamente on-line nel sito del Mises Institute) Raico ha raccolto alcuni dei suoi saggi più interessanti, oltre che alcune recensioni di libri, e il quadro complessivo che ne esce è quello di una storia novecentesca assai lontana da quella propostaci da conservatori e progressisti. In effetti, molti idoli dell’uno e dell’altro campo (da Wilson a Churchill, per fare due nomi) escono del tutto ridimensionati in queste sue pagine tanto originali quanto avvincenti. Più in generale, l’idea che nel corso dell’ultimo secolo gli Stati Uniti e il Regno Unito abbiano giocato solo una politica estera schierata a difesa della giustizia e della libertà gli appare tanto indifendibile quanto ingiusta. In modo particolare Raico appare spietato nello smontare i luoghi comuni di quella propaganda (ancora assai viva) che ci ha presentato i tedeschi – dalla prima guerra mondiale in poi – quali responsabili di ogni nefandezza e ha, invece, tentato di assolvere i comunisti (l’Unione sovietica e i partiti che l’hanno appoggiata) da ogni responsabilità politica e morale. Nell’introduzione al libro Raico richiama i nomi di Richard Cobden, Herbert Spencer, Lysander Spooner, William Graham Sumner, Gustave de Molinari, Albert Jay Nock e Frank Chodorov come suoi modelli: quali interpreti di una storiografia liberale che guarda ai fatti ed evita le versioni propagandistiche, sempre con l’obiettivo ben chiaro di proteggere la libertà individuale e frenare l’espansione dello Stato. Significativamente, il libro è dedicato alla memoria di Murray N. Rothbard.
– Carlo Lottieri (Direttore Dipartimento Teoria Politica IBL), @CarloLottieri

Cristiano Gori (a cura di), L’alternativa al pubblico? Le forme organizzate di finanziamento privato nel welfare sociale (Milano, FrancoAngeli, 2012, €23,50)
Terminata la sbronza ideologica del Novecento, protagonisti indiscussi dell’hangover di chi vede nello Stato l’unica possibile fonte di giustizia sociale sono diventati i sistemi di welfare state europei, in perfetta coincidenza con la critica più diffusa alla libertà economica: il disinteresse nei confronti dei più deboli. In questo volume Cristiano Gori – professore di Politica Sociale e visiting senior fellow alla LSE – esamina, con sguardo accademico ma mai autoreferenziale, numerose esperienze di finanziamento privato del welfare sociale, raccontandone obiettivi, metodi, pregi e difetti: dal welfare aziendale alla conciliazione vita-lavoro, dal ruolo delle fondazioni contro la povertà ai fondi assicurativi per la non autosufficienza. La conclusione dell’autore è che il ruolo dei privati nel welfare sociale non possa in alcun modo sostituire un intervento pubblico adeguato, per stanziamenti ed efficienza. Tuttavia, le difficoltà incontrate da chi opera quotidianamente in questo campo (crowding out, difficoltà burocratiche, peso del fisco) contribuiscono senz’altro a ridurne il margine di integrazione al ruolo dello Stato, svantaggiando proprio le fasce più deboli della società.
– Giacomo Lev Mannheimer (Research Fellow IBL), @glmannheimer

Fred E. Foldvary, The Soul of Liberty. The Universal Ethic of Freedom and Human Rights (Berkeley CA, Gutenberg Press, 1980, $12)
Gran parte dei nostri problemi politici, economici e sociali sono essenzialmente questioni morali. Consideriamo questi esempi: esiste un sistema di tassazione giusto? Esistono i diritti al cibo, alla casa e alla salute? Come dovrebbero essere distribuite le risorse scarse? Gli animali hanno dei diritti? Queste sono, insieme a tante altre, le tipiche questioni che vengono sollevate nel libro. Ognuno di noi ha le sue opinioni al riguardo. Il punto è se dobbiamo considerarle all’interno delle leggi e dei programmi economici o sociali. Oppure, se è sufficiente una maggioranza di persone a determinare cosa è moralmente giusto. Ma soprattutto, se esiste un diritto morale assoluto che trascende dalle nostre opinioni individuali e fedi. L’autore dimostra l’esistenza di un diritto morale naturale e razionale che si applica a tutta l’umanità: un’etica universale che determina lo scopo dei diritti umani e definisce il significato della libertà individuale. Questo libro esplora la relazione che esiste tra le nostre opinioni personali e l’etica universale. In particolare, Foldvary cerca di dimostrarne la sua esistenza e la sua applicazione ai problemi politici economici e sociali di oggi.
– Luca Minola (Collaboratore IBL), @LucaMinola

Eric Ries, Partire leggeri. Il metodo Lean Startup: innovazione senza sprechi per nuovi business di successo (Milano, Rizzoli Etas, 2012 [2011], €23)
E se anche il governo e le PA adottassero la metodologia elaborata da Eric Ries? Quello descritto nel libro è un metodo per validare in modo empirico ogni idea che si voglia trasformare in qualcosa di reale e utile a qualcuno altrettanto esistente (esistente non solo nelle visioni degli imprenditori o nei faraonici progetti pubblici, ma esistente in carne ed ossa). Tale validazione assume infatti nel testo il significato di “avere mercato”, condizione per procedere con un modello iterativo che, una volta verificata una sufficiente quantità di domanda, permette di progettare e affinare la qualità dell’offerta raggiungendo la condizione di “product market fit”. In fin dei conti – i conti che sono spesso oggetto dei post che ospita questo blog – dal momento che la PA promuove ed eroga nuovi servizi, si potrebbe risparmiare sulla loro inutilità prima che il prezzo sia molto più alto di quello che consentirebbe la metodologia Lean grazie ad attività di testing preliminari e durante la progettazione di servizi e prodotti. Certo il più delle volte meglio sarebbe lasciare del tutto al mercato anche l’iniziativa di progettare l’offerta, ma almeno testare la presenza di una effettiva domanda senza presumerla a priori e verificare le preferenze e i bisogni degli utilizzatori finali sarebbe quantomeno un compromesso anche per la progettazione dei servizi pubblici, per avvicinarli alle logiche del mercato. Comunque sia – tralasciando l’applicazione nel pubblico per chi non cedesse come me alla fallacia del “wishfull thinking” contraria proprio all’approccio Lean (a questo punto suggerisco anche questo manuale-kit per difenderci da tutta una serie di fallace che sfidano ogni giorno la nostra razionalità) – The Lean Startup è un libro per chiunque avesse da parte un’idea e che magari ha accantonato proprio pensando di non avere modo di verificarne la reale utilità per il mondo, o comunque per una sua piccola, ma realmente interessata, porzione.
– Giacomo Reali (Research Fellow IBL), @giacreali

Calestous Juma, Innovation and Its Enemies: Why People Resist New Technologies (New York, Oxford University Press, 2016, $29.95)
L’innovazione è il principale motore della prosperità e del progresso. Perché, allora, trova tanti ostacoli, sia nelle società in via di sviluppo sia in quelle già sviluppate? È la domanda a cui tenta di rispondere Calestous Juma nel suo Innovation and Its Enemies. L’economista di Harvard mostra come le innovazioni tecnologiche, organizzative e istituzionali generino enormi benefici sociali. Proprio per questo, egli indaga le dinamiche sociali alla base di un’opposizione che, come emerge dai numerosi casi storici da lui ricostruiti, non può essere semplicemente liquidata facendo appello all’ignoranza delle masse o alla paura dell’ignoto. Piuttosto, Juma invita a distinguere le ragioni dichiarate della lotta all’innovazione – che non di rado trovano qualche fondamento più o meno religioso – dalle loro determinanti reali, sociali, politiche o economiche. L’innovazione e gli innovatori devono fare i conti con le loro stesse conseguenze: la creazione di prosperità è inestricabilmente connessa a una schumpeteriana distruzione di certezze e di posizioni di rendita. Il nemico dell’innovazione, allora, è la paura che essa metta in discussione lo status, il benessere, o anche solo le coordinate di riferimento di quanti si ritrovano dal lato sbagliato del cambiamento. Per questo, Juma ritiene che la battaglia per l’innovazione non possa né debba separarsi dallo sforzo di prendere sul serio l’inclusione sociale, specialmente in un tempo in cui i cambiamenti di paradigma tecnologico sono rapidi e hanno portata globale. Se vogliamo che l’innovazione migliori la vita di tutti, dobbiamo trovare strumenti per renderla digeribile anche da coloro i quali hanno qualcosa da perdere. Di conseguenza, il dibattito sull’innovazione, più ancora che un confronto sui rischi reali delle specifiche tecnologie, deve concentrarsi sulla percezione di tali rischi. «Le controversie tecnologiche – scrive Juma – spesso nascono da tensioni tra l’esigenza di innovare e la pressione a mantenere continuità, ordine sociale e stabilità». Ecco perché, oggi più che mai, «gestire le interazioni tra il cambiamento e la continuità rimane una delle funzioni più critiche dei governi».
– Carlo Stagnaro (Fellow IBL), @CarloStagnaro

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