6
Lug
2009

Un Fondo Italia per le imprese

Ve lo avevo anticipato qualche giorno fa qui sul blog, annunciando però che ero tenuto a un obbligo di riservatezza. Oggi il riserbo può venire in parte meno. Perché il presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, intervenendo alle assemblee delle Unioni di Torino in mattinata e di Padova nel pomeriggio, ha svelato di che si tratta. Non è entrata nei particolari, dunque non lo farò neanche io. In questo caso, infatti, sul vanto del giornalista-economista per l’idea che ha avuto devono prevalere senso della misura e dell’opportunità. E’ molto più utile che l’idea possa provare ad andare concretamente in porto, rispetto alla sua paternità intellettuale. Per questo ho deciso di affidarla riservatamente a Confindustria, perché essa possa valutarla e affinarla, e soprattutto metterla con la sua autorevolezza al centro di un confronto serio con il governo prima, con il sistema bancario poi. Posso dunque solo dirvi in generale, che cosa sarebbe il Fondo Italia.

Mettiamola così. L’idea nasce da tre constatazioni e da un’esigenza primaria.

Prima constatazione: continuare nella rituale giaculatoria, da parte delle imprese, verso le restrizioni di credito praticate alle aziende dal sistema bancario, è un rito dovuto ma in sé e per sé pressoché sterile. Ho appoggiato stamane nella mia trasmissione quotidiana su Radio24 l’idea lanciata da Renato Brunetta, quella di pubblicare on line i risultati dei comitati territoriali banca-impresa presieduti dai prefetti, e di indurre le banche a rendere noti i parametri in base ai quali concedono o negano gli impieghi alla propria clientela. Ma è inutile illudersi, non è di qui che verranno sviluppi sistemici diversi dagli attuali, e assai vastamente e giustamente lamentati. 

Seconda constatazione: vedremo come e se avverrà la sospensione dei parametri prociclici invece che anticiclici di Basilea2, in materia di ratios patrimoniali delle imprese dai quali far dipendere il rating in base al quale le banche concedono o negano il credito; ma intanto occorre agire nel contesto dato. Di conseguenza il problema numero uno, per evitare una morìa generalizzata di aziende di qui alla fine dell’anno dovuto da asfissia creditizia sinché gli ordini esteri non ripartono, diventa quello di ripatrimonializzare le aziende. Solo in questo modo, molte di esse potranno contare su nuovi e più favorevoli moltiplicatori di credito da parte bancaria. Chiedere al banchiere di essere imprudente oggi, mentre sofferenze e incagli si alzano e quando il Roe medio italiano bancario passerà da quasi il 14% annuo precrisi a meno del 4% quest’anno, è vano o impossibile. Dunque occorre che i prestiti bancari siano “fondati” su un giusto rischio di credito. 

Terza constatazione: il governo si appresta – lo hanno capito tutti – allo scudo fiscale per far rientrare capitali italiani costituiti all’estero, in ordinamenti meno aggressivi e rapinatori del nostro. Ed è di questa misura  che occorre tentare di approfittare, perché sarà l’ultima prima della maledizione che da sempre grava sulla terra italica rimasta in questo controriformisticamente ispanica nei suoi tempi di lavoro, cioè la lunga sospensione estiva della politica.

L’esigenza. Ammesso e non concesso che davvero non si possa attuare lo scudo con aliquote differenziate “di scopo” – la Commisssione Ue bocciò in passato il trattamento preferenziale per il conferimento in titoli pubblici a regolarizzazione avvenuta, ma nei tempi eccezionali odierni Bruxelles la penserebbe allo stesso modo? – lo scudo può avvenire con un’ aliquota unica eguale per tutti, aliquota che mi auguro il meno possibile lontana da quella delle precedenti versione tremontiane della misura, che ebbero successo a differenza di quelle germaniche basate su aliquote più “etiche”, cioè più scoraggianti. Ma una volta passati tutti per la stessa aliquota, i capitali reimportati possono pur essere soggetti  a trattamenti diversi. Nel loro contributo al reddito d’impresa, nel caso in cui – molto auspicabile – molti imprenditori destinino il capitale reitalianizzato al rafforzamento patrimoniale delle aziende di cui detengono il controllo. Ma anche tutti gli altri, quelli che non hanno imprese da ripatrimonializzare, potrebbero essere assai incentivati dal conferimento del capitale in un fondo specifico, con remunerazione interessante perché garantita da emissioni di titoli da piazzare sul mercato. A tale fondo conferirebbero i privati italiani contribuenti “scudati”, il sistema bancario con logica da maxi fondo equity, e capitale pubblico CDP, cioè esterno al recinto di bilancio che fa testo per il deficit europeo. Un simile fondo, tra capitale proprio ed emissioni sui mercati sulla base del proprio patrimonio, potrebbe ragionevolmente porsi l’obiettivo di ripatrimonializzare imprese italiane in un odine di 50-60 miliardi di euro. Se applicate un moltiplicatore di credito anche modesto, visti i tempi, si tratterebbe della base sulla quale le banche potrebbero finalmente sentirsi autorizzate a impieghi aggiuntivi per diverse centinaia di miliardi di euro. La governance del Fondo, naturalmente, dovrebbe essere rigorosamente privata, per impedire impropri arbitri “politici”, nell’istruttoria delle domande di ricapitalizzazione.

Ecco che cosa in concreto potrebbe essere, il Fondo Italia. Una risposta di mercato al Fondo pubblico da 115 miliardi di euro varato dai tedeschi a sostegno del proprio Mittelstand. Non abbiamo bisogno di una nuova IRI pubblica. Né di banchieri che vengano meno al proprio dovere. Possiamo fare il miglior uso del denaro degli italiani. E tanto più sarà numeroso nel rispondere a tale appello, quanto più la politica s’impegnasse a presentare l’iniziativa come il più deciso sostegno al futuro stesso del nostro sistema economico.  Spero di  non illudermi. Ma è il mio modesto contributo per non restare tutti in mutande, cullandosi in un ottimismo di maniera che pare a me largamente infondato.

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4 Responses

  1. vicenzo

    Stim.mo Dr. Giannino,

    apprezzo l’equilibrio dal quale fa discendere la prudenza della paternità dell’iniziativa, ma essendo amante delle verità, mi sembra importante affermare quanto necessario per capire e far capire come si sviluppano le situazioni a partire da intuizioni e da ragionamenti di stimolo come quelli da Lei costantemente evidenziati.

    Il senso di quanto sopra sta nell’idea, altrettanto apprezzata da una parte di Confindustria (come desunto dalla discussione interna aperta su quei tavoli nello scorso mese di Marzo), di garantire a tutte le imprese che comunque necessitano di investimenti l’accesso al credito per mezzo di una compartecipazione dell’impresa stessa alle erogazioni salvo privilegio su parte dei beni ed accessori oggetto dell’investimento, tagliando così fuori, i canoni di Basilea 2 per una gran parte del valore dell’investimento e tutto grazie ad un semplice fondo rotativo auto-alimentato dallo sviluppo stesso delle produttività aziendali.

    Si tratta di uno strumento tutto sommato di semplice applicabilità e che in Italia ha già prodotto in ca. 15 anni più di 80.000 posti di lavoro tutt’ora attivi, praticamente senza perdita alcuna per le erogazioni ciclicamente rientrate.

    L’effetto moltiplicatore, nel caso descritto, non è delle dimensioni previste dalla Sua idea, in quanto produce risultati consolidati tra i 10 ed i 12 anni, ma in questo lasso di tempo il “fattore”, pur non raggiungendo il limite di 12 dichiarato dal Governo a febbraio sfruttando le sue manovre, si attesta sul valore minimo di 4 (se non addirittura 5, con dotazioni sui livelli attuali, potendo migliorare le performances in caso di dotazioni aumentate.

    Ne scrivo qui, quale addetto ai lavori in economia, rispecchiando quanto da Lei ben espresso all’inizio del Suo testo, auspicando opportunità di scambio e confronto in merito, magari anche nell’ambito di uno dei Convegni e/o Meeting che si stanno predisponendo in merito.

    Vincenzo Bonasera – Asti

  2. oscar giannino

    Caro Vincenzo, sono al corrente dell’idea alla quale lei si riferisce, che appunto implica una compartecipazione dell’impresa beneficiaria del credito sulla base di un titolo su parte dei beni soggetti a investimento, titolo ancorato al fondo profitti realizzati a fronte dei tempi lunghi di ammortamento. In questo caso, invece, la base delle imprese non sarebbe partecipativa, in quanto gli interventi sarebbero diretti a rafforzare il capitale di rischio più che quello di debito: anche se, naturalmente, la cosa creerebbe inevitabili problemi di scelta in ordine all’esito delle istruttorie. Come ha visto dai numeri che cito, anch’io mi attengo a un moltiplicatore cpntenuto, nell’ordine di 4 o 5 rispetto alla raccolta complessiva del Fondo: il vero problema, per far raggiungere al Fondo stesso una massa critica nel’ordine di 40-50 miliardi, è quello di emissioni sul mercato molto ben congegnate, rispetto ai 10-12 miliardi al massimo che nella mia ipotesi si raggiungono cumulando la quota conferimenti da scudo di privati, apporti di banche e CDP. Tuttavia il successo che nei mercati da due mesi a questa parte stanno conoscendo emissioni corporate strutturate di buona solidità, a fronte degli spread tutto sommato modesti riconosciuti alla sottoscrizione, mi rendono abbastanza ottimista in quanto la parte di sottoscrizione pubblica del Fondo inevitabilmente trainerebbe verso l’alto la garanzia ai mercati. La ringrazio molto.

  3. Vincenzo Bonasera

    Gent.mo Dr. Giannino, La ringrazio io per la Sua cordiale, puntuale e chiara precisazione. Invero, il mio intervento originava dal pudico tentativo di rammostrare la paternità dell’iniziativa a suo tempo da me idealizzata e che, strano a dirsi, mai avrei pensato sarebbe stata esaminata in Confindustria come invece di fatto avvenuto, addirittura accettata di sviluppo da parte di una Fondazione in funzione dei Convegni di cui Le ho scritto. Peraltro, da semplice Consulente del Lavoro e Ragioniere Commercialista Revisore dei Conti, ma non anche esperto di Finanza, non avevo la capacità di discernere preventivamente quanto da Lei ben illustrato in base alle conoscenze specialistiche. Mi piacerà comunque seguire altri post per cogliere l’opportunità che Lei ci consente di interloquire apertamente con rinnovo di interesse, Le confermo, alle iniziative in corso di allestimento. Grazie ancora per la Sua disponibilità.

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