3
Mar
2010

Ue: ma un Hamilton, dov’è?

Non ha parole adeguate, per esprimere quel che di ora in ora penso di fronte alle vicende  della politica interna, ai convulsi preparativi per le elezioni regionali ricchi di colpi di scena, a un centrodestra che si trva nelle condizioni, a quest’ora e questo giorno, di non avere un presidente candidato né in Lazio né in Lombardia. Roba da perdere per sempre ogni diritto alla credibilità.  Questa è la mia opinione, senza mezzi termini né distinguo. Tuttavia, per delle classi dirigenti degne di questo nome, l’obbligo è a guardare insieme più in alto e più a fondo, concentrandosi su vicende più importanti anche se apparentemente meno ricche di echi popolari. Tra queste, una ci riguarda direttamente, come Italia e come Paese membro dell’euro e della più vasta Unione Europea, anche se apparentemente si limita a lambirci, senza metterci a serio rischio. E’ la crisi del debito pubblico greco, la febbre che da metà gennaio sale insieme al suo rischio di mercato. Ci vorrebbe un Alexander Hamilton, questa è la mia opinione: ma non c’è.  Non è l’Italia da sola, in crisi di credibilità.   Sono materie tecniche, ma toccano la vita di noi tutti. Perché il tasso d’interesse al quale si rifanno tutti i nostri mutui e rendimenti bancari è quello stabilito dalla BCE. Perché le nostre merci si vendono più o meno bene nel mondo e dunque ci sarà più o meno occupazione anche a seconda del cambio dell’euro sul dollaro. Perché l’energia che consumiamo viene per lo più dal petrolio, e se il dollaro si apprezza come sta capitando grazie ai timori per gli eurodebiti sovrani, la bolletta energetica italiana torna a salire.

Cerchiamo allora di mettere almeno due punti fermi. Com’è cambiata nella grande crisi la rischiosità di un Paese? Come è meglio uscire dalla crisi greca, chiedendo solo ad Atene più rigore o affiancandovi misure condivise nell’euroarea?

 Sono entrambe questioni che come Italia ci toccano. La prima dà la misura del come e del perché dopo la grande crisi il nostro Paese è percepito come assai meno a rischio di prima. In questi difficili mesi abbiamo imparato che la debolezza di un Paese non si misura più solo in termini di punti di Pil espressi dal suo debito pubblico: il criterio che ci esponeva come alla diffidenza universale. A quella grandezza, bisogna aggiungerne altre quattro. Il debito sul Pil delle famiglie. Il debito sul Pil delle imprese bancarie e finanziarie. Quello delle imprese non finanziarie. Infine, la posizione complessiva del Paese sull’estero, in termini di bilancia di pagamenti e cioè di flussi finanziari, e di bilancia commerciale, cioè di beni e servizi reali. In queste grandezze aggiuntive – dove l’Italia sta messa meglio di molti altri Paesi, per cui non siamo esposti ai “venticelli greci”- a contare è la salute del settore privato, non dello Stato molto indebitato in passato – come da noi – o troppo in via d’indebitamento oggi – come in tutti gli altri Paesi. Però non è solo cambiato “il metro” della rischiosità di un Paese. E’ cambiata anche “la bilancia”. Prima della crisi erano le agenzie internazionali di rating a esprimere giudizi sulla solvibilità dei Paesi, le stesse agenzie che davano i voti al debito delle società private. La loro credibilità, nella crisi, è però stata largamente compromessa. Di conseguenza oggi la bilancia dei debiti sovrani è espressa dalle scommesse che ogni giorno vengono espresse da milioni di operatori su opzioni a tempo relative al premio assicurativo dei debiti pubblici, i cosiddetti Credit Default Swap. Trattandosi di un mercato altamente speculativo – come tutti quelli dei derivati – ciò spiega perché in una sola settimana i CDS greci siano passati, a metà gennaio, da 150 punti a oltre 400. Qui di sicuro – anche per mercatisti quali siamo noi, a mio giudizio – c’è qualcosa da correggere. Quanto meno bisogna alzare i margini per consentire a operatori selezionati e istituzionali di partecipare a questo mercato, altrimenti i debiti pubblici si trovano esposti a volatilità molto ma molto pericolose. Non si tratta di essere contro i derivati, malattia che non ci riguarda. Si tratta di definire regole per le quali i CDS “sovrani” spettano a primary dealers, cioè a soggetti istituzionali del mercato.

La domanda più difficile è la seconda. E’ comprensibile che i tedeschi non vogliano addossarsi oneri a favore dei Paesi più indebitati, come non hanno voluto strumenti condivisi per il sostegno alla domanda e all’offerta europee colpite dalla crisi. Ma la storia ha un precedente importante, al quale guardare prima di dividersi ed esporsi all’inerzia. Quello degli Stati Uniti. Passarono 15 anni, prima che le 13 Colonie della Dichiarazione d’Indipendenza del 1776 adottassero in Congresso una risoluzione che lacerò letteralmente in due l’Unione. La decisione fu di istituire una prima Banca Nazionale degli Stati Uniti, con capitale in parte pubblico ma a maggioranza ancora privata, titolare del potere di credito a garanzia di un debito pubblico dell’Unione. Fino al 1790, ognuno dei 13 Stati rispondeva del proprio debito, senza averlo conferito in tutto o in parte all’Unione. Quando Alexander Hamilton propose l’istituzione di un debito federale e di una Banca Nazionale, gli Stati più virtuosi, quelli del Sud che avevano contratto meno debiti di guerra o che li avevano già parzialmente rimborsati, insorsero contro quelli più indebitati. Esattamente come oggi fa la Germania contro Grecia, Spagna e Portogallo. Tuttavia Hamilton – che di formazione era non solo giurista, ma banchiere – prevalse contro il veto di James Madison e Thomas Jefferson. Dimostrò che senza debito federale i titoli pubblici degli Stati più indebitati sulle piazze straniere avrebbero rapidamente perso valore, e ne sarebbe derivata a una crisi gravissima non solo per i loro emittenti, ma per l’intera Unione.

E’ esattamente la condizione nella quale si trova l’euroarea oggi. La differenza è che nel nostro continente non si sono ancora levati la voce e l’autorevolezza di un Hamilton, capace di convincere anche i Paesi più virtuosi che avere una banca e una moneta in comune ma senza un debito e una politica economica condivisi rende anche loro più deboli. Del resto l’euro c’è solo da 10 anni, e persino l’America ci mise di più, per capirlo. La differenza da non poco conto, però, è che il tempo del 1700 era più “lento” di quello attuale: nel mondo globalizzato, 15 anni sono un’era geologica, rispetto ad allora.

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6 Responses

  1. Questo post segna forse la “svolta” nella elaborazione teorica di Oscar, a favore di una misura di coordinamento fiscale tra paesi membri della Ue. Almeno, se ho inteso correttamente il senso dello scritto. Resta da capire se questo coordinamento fiscale deve realizzarsi attraverso esplicita cessione di sovranità, quindi magari ricorrendo ad una imposta europea, ovviamente sostitutiva (per ordine di grandezza) di quelle nazionali, oppure se sia possibile realizzare un intervento più circoscritto ma non meno utile, per ridurre gli effetti di shock asimmetrici: un sussidio di disoccupazione europeo, creato attraverso conferimento parziale di contributi sociali nazionali. In questo caso, in occasione di shock asimmetrici, il fondo-sussidi europeo agirebbe in senso assicurativo, evitando ai singoli paesi coinvolti di svenare le proprie finanze pubbliche per erogare sussidi di disoccupazione. Sarebbe utile leggere il pensiero di Oscar in materia, ma credo che il dibattito sia aperto: serve una Ue diversa dall’attuale. Lo scrivevo anche ai tempi di LiberoMercato, se posso permettermi l’autocitazione.

  2. …regolare i cds?
    Giannino, cosa succede? Ma il mercato non si autoregola? …o forse si autoregola con sobbalzi troppo forti?
    Benvenuto nel territorio del dubbio, molto più a Est di Chicago…e anche di New York!!

  3. Salve, non condivido per niente l’articolo di Oscar, la proposta Hamilton (ne avevo parlato profeticamente in un mio recente articolo) non soltanto è una bubbola utile per tirare avanti solo qualche decennio il baraccone europeo fallimentare, ma di fatto rischia di essere una pia illusione a fronte della dura realtà: un sistema politico-economico basato sul debito pubblico non può funzionare.
    Mai.
    Il modello Hamilton riproposto nel XX secolo con la Fed sta fallendo in questi anni con l’incremento del debito pubblico americano voluto dai governi centralisti federali e proprio dai banchieri.
    Ricordo come la California e altri Stati Usa siano indebitati fino al collo, questo nonostante il debito federale e aiutini da Washington D.C.
    E ricordo che se va avanti così l’incremento krugmaniano gli Usa finiscono male…..
    Il sistema non cambierebbe di molto rispetto a quello attuale europeo, se venisse adottato anche al di qua dell’Atlantico (se non che assisteremmo magicamente alla veloce crescita di un nuovo debito pubblico collettivo europeo).
    Non si può allora criticare Obama e poi invocarne analoghe soluzioni sul continente!.
    Hamilton poi aveva idee colbertiste e centraliste oltrechè contradditorie come emergono dai Federalist Papers.
    La proposta hamiltoniana equivale alla moltiplicazione dei debiti pubblici e all’incremento esponenziale delle cause della crisi attuale e delle responsabilità di banche e governanti senza minimamente risolverle
    Onestamente qui ci vorrebbero dei Ron Paul e dei Thomas Jefferson non certo Tremonti-Hamilton con eurobonds di cartastraccia gestiti dai banchieri centrali!.
    Dal debito non si creano ricchezze e capitali da investire!.
    E’ molto probabile semmai il suo contrario.
    Puntare a un debito pubblico europeo non si farebbe altro che resettare illusivamente per pochi decenni un sistema similare a quello attuale (se non peggiore per deresponsabilizzazione e imposizione di controllo politico europeo).
    Una volta creato un debito pubblico comunitario insostenibile cosa facciamo?.
    Creiamo nuove unioni panterritoriali di nuovo conio? o passiamo direttamente ad una guerra civile europea?…. (tanto per guardare al passato).
    Saluti da LucaF.

  4. Pietro M.

    Se le istituzioni politiche non sono responsabili a livello locale, regionale o nazionale, non si vede perché debbano esserlo a livello internazionale.

    Continuare a concentrare potere a livello sovranazionale non può che peggiorare gli inevitabili costi di public choice che la naturale inefficienza della politica comporta, in termini di accountability delle elite al potere, di inefficienza delle loro decisioni, di miopia, e di debolezza rispetto agli interessi organizzati (aziende o sindacati che dir si voglia).

    Nessuno va schermato dalle conseguenze delle proprie azioni, e questo vale a maggior ragione per i governi, che non sono che raramente in grado di controllare le proprie pulsioni populiste.

    Meglio la Grecia fallita che l’UE onnipotente. Soprattutto perché, appurato che gran parte dei probelmi greci è di salari reali troppo alti e non (solo) di conti pubblici disastrati, l’effetto contagio a paesi dove questi problemi non ci sono o dove i salari sono più flessibili diventa più improbabile.

  5. mario fuoricasa

    Nella speranza di una interpretazione autentica della “svolta” di Giannino, interessante per comprendere meglio l’infaticabile attitudine alla ricerca che tutti ammiriamo,
    constato, ad ogni livello, il disorientamento e la diffusa di incertezza implicata in ogni opzione.
    Alla mia vista con occhi con occhi tra lo scettico e lo smarrito, le parole di Schumann appaiono profetiche.

    “L’Europa non potrà farsi un una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto. L’unione delle nazioni esige l’eliminazione del contrasto secolare tra la Francia e la Germania: l’azione intrapresa deve concernere in prima linea la Francia e la Germania.”

    Viva pure la speculazione, ma credo che anche i CDS siano un invenzione di Mendella (onore al merito).
    I tassi di interesse che incorporano già il costo del danaro maggiorato del rischio debitore e dela componente inflazionaria dovrebbero essere sufficienti per un investitore per decidere se prendere il rischio o no.
    Se si pretende di annullare il rischio “coprendosi” in un’ottica win-win e magari sulla base della copertura, dato che non si patiscono rischi, moltiplicare l’offerta di moneta significa che opero in un mercato dove si è deciso che le stamperie di danaro risolveranno i problemi.
    Il problema non è offrire CDS il problema è crederci e pagare un premio aggiuntivo con denari altrui adducendo il motivo della prudenza.
    Così fan tutti, ma non è detto che sia una cosa saggia istituzionalizzare i CDS conferendo loro una dignità di alta finanza a queste operazioni di free bet without cap.

    Per quanto riguarda il tema europeo devo dire che col cuore ritengo i confini dell’Europa già piccoli, ma con la ragione devo constatare che Europa e’ rimasta un deserto da coltivare.
    Francia e Germania si consultano trattandosi ancora come custodi di pollaio nell’intento di proteggersi dalle volpi.
    L’Italia ha un peso, ma non ne è consapevole grazie anche alle sue zavorre.
    Il Regno Unito è un partner eventuale, come una “morosa” che, in costanza di rapporto, continua prendersi pause di riflessione.

    Temo che un debito unico europeo, fatto in condizioni di emergenza, sortisca l’effetto identico a quello ottenuto delle liste fatte all’ultimo secondo per concorrere alle elezioni. O non arrivano in tempo o fanno guai.

    mario fuoricasa

  6. eonia

    Stento a comprendere come il cds possa essere lo strumento di misura del rischio paese.
    Fino l’altro ieri i rischi si sono misurati in modi diversi, magari arcaici, approssimativi ma considerare lo strumento come scientifico è un po’ troppo.
    Certo la sua costruzione e messa a punto è stata scientifica ed ha richiesto risorse e tempo, prima di essere testato.
    Salvo che il test ha mostrato che veramente trattasi di “arma di distruzione di massa”.
    Fornirlo anche ad operatori istituzionali, confidando nella loro bontà d’animo e nella loro professionalità, sinceramente, sembra un atto sadomasochista di una pazzia umana infinità.
    L’ultimo atto di follia prima della fine.
    Specialmente in tempi in cui masse intere di capitali si possono spostare da un continente all’altro in frazioni di secondi.
    Abbiamo perso la guerra del benessere per tutti, attraverso il debito grazie al populismo delle classi dirigenti e dei responsabili economici che hanno iniziato con l’istituto della cartolarizzazione per giungere all’indebitamento anche degli indigenti ed ora si vuole dei professionisti per manovrare i cds, che per giunta si negoziano in mercati non regolamentati.
    Anziché mettere freno alla dissolutezza legislativa, comportamentale, educativa si desidera continuare con rinnovato vigore, visto che abbiamo affidato le nostre sorti a dei professionisti istituzionali.
    Quanto tempo ci resterà prima che gli istituzionali professionisti suonino il gong ed abbiano inizio le danze?
    Chi li controlla? Chi è in condizioni di controllarli visto che siamo fino il collo immersi nel debito noi e le generazioni che seguono?
    Se la situazione greca è l’imput per intraprendere tali decisioni, sicuramente l’UEM in concerto con l’UE hanno mostrato i loro limiti. Un’UEM che doveva essere per pochi mentre è diventata una barca di Noe pronta ad imbarcare ancora passeggeri. L’UE ha elargito capitali a piene mani senza neppure accorgersi se venivano spesi per i programmi finanziati. Le bastavano le scartoffie che la spesa era stata fatta a regola d’arte dai professionisti della politica.
    Si capisce: fra simili si intende sempre, anche se delle volte a fatica.
    E poiché il mondo cambia alla velocità della luce e le asimmetrie demografiche sono in evoluzione continua fra poco chi potrà, e chi meglio dei professionisti istituzionali, si trasferirà lì dove ancora si crea ricchezza, benessere, lavoro, business. E non c’è neppure bisogno di spostarsi fisicamente, basta qualche clik.

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